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lunedì 31 marzo 2014

Bonus Mobili 2014

Resta il doppio tetto di spesa per il bonus mobili. Il decreto casa (Dl 47/2014) pubblicato ieri in «Gazzetta Ufficiale» – diversamente da quanto ipotizzato nelle bozze iniziali – non elimina l'obbligo di non superare, per gli arredi, la spesa sostenuta per i lavori di recupero edilizio. Un limite in più, che si accompagna a quello dell'importo massimo di 10mila euro. Ad esempio, chi spende 2mila per ristrutturare un appartamento, potrà applicare la detrazione del 50% su una spesa massima di 2mila euro in mobili e grandi elettrodomestici. Mentre chi spende 20mila euro per i lavori potrà arrivare fino al tetto generale di 10mila euro.
Il nuovo limite rischia di creare una certa confusione tra contribuenti e operatori, ma è ragionevole ritenere che il vincolo di spesa non si applichi alle spese sostenute fino al 31 dicembre 2013. Vediamo perché.
La norma che ha istituito il vincolo non era prevista nel Dl 63/2013, che ha previsto il bonus per gli acquisti effettuati dal 6 giugno 2013, ma è stata introdotta dall'ultima legge di stabilità entrata in vigore il 1° gennaio 2014. Pochi giorni prima dell'inizio dell'anno, però, la nuova limitazione era stata cancellata – ancor prima della sua entrata in vigore – con il decreto salva Roma-bis (Dl 151/2013).
Solo che il provvedimento è stato lasciato decadere dal Governo Renzi e questa decisione ha travolto l'intervento correttivo riportando in vita l'obbligo. Tra l'altro, proprio la decadenza del provvedimento sembra essere una delle ragioni più plausibili che spiegano perché la norma non sia stata riproposta nel nuovo decreto casa. La reiterazione delle norme dei decreti legge è stata da tempo censurata dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (la prima pronuncia in tal senso è la 360/1996).
La legge di stabilità interviene sul testo originale della norma istitutiva del bonus mobili (articolo 16, comma 2, del Dl 63/2013), ma la correzione ha portata innovativa, non interpretativa. In più, le istruzioni al modello 730 e Unico 2014 – approvate dopo l'entrata in vigore della legge di stabilità – non menzionano il tetto di spesa legato all'importo dei lavori. Un dettaglio da considerare al momento in cui verranno effettuati i controlli nei prossimi anni.
Diventa determinante, allora, la data in cui sono state sostenute le spese. Per il bonus mobili – trattandosi di persone fisiche – bisogna fare riferimento alla data di effettuazione del bonifico bancario o postale di pagamento. Nel caso di acquisti eseguiti con moneta elettronica, la data di pagamento è il giorno di utilizzo della carta di credito o di debito da parte del titolare, evidenziata nella ricevuta telematica di avvenuta transazione.
L'altra incognita – in vista della prossima dichiarazione dei redditi – è individuare correttamente i lavori che danno diritto al bonus mobili. Le Entrate hanno chiarito a Telefisco 2014 che si deve trattare di interventi qualificabili almeno come manutenzione straordinaria, ma toccherà al contribuente stabilirlo caso per caso.
Fonte "Il sole 24 ore"

lunedì 24 marzo 2014

Aree emergenti in Europa

Il Nordreno Vestfalia è il land di Colonia e di Dusseldorf. Qui sono venute la Mitsubishi e la Bonduelle, i danesi della Donkervoort e gli sloveni della Kolektor. Qui arriva il 27% di tutti gli investimenti esteri diretti verso il colosso tedesco. Per l'Fdi Intelligence, il think-tank sui capitali stranieri che fa capo al Financial Times, questa è la regione più promettente di tutta Europa per il 2014 e il 2015. La palma della città del futuro, invece, va a Londra, la più vivace sul fronte dei nuovi progetti infrastrutturali e la più capace nell'attirare investimenti nei servizi e nell'It.
Il vero valore aggiunto di questa classifica, però, non è nel podio, ma va ricercato nelle pieghe delle sottoclassfiche per regioni medio-piccole e per macroaree europee. Per scoprire che a volte, i Paesi emergenti, ce li abbiamo nel giardino di casa. Sono province e città che hanno saputo uscire dalle secche della crisi prima di altre, e che ora vantano tassi di crescita degni di un Bric della prima ora. Luoghi vicini, luoghi sicuri: un vantaggio non da poco, in anni di primavere arabe, secessioni ucraine e rivolte sudamericane. Luoghi dove bisogna prendere in considerazione di investire, o quanto meno di esportare.
La Scozia, per esempio. Per anni è stata una delle aree più depresse del Regno Unito post-industriale. Ora occupa il secondo posto nella classifica delle regioni europee più promettenti. Si è rilanciata, e non certo per le spinte secessionistiche. La chiave è stata una politica aggressiva di attrazione degli investimenti esteri, che passa attraverso esenzioni fiscali per chi fa ricerca, burocrazia lampo e una corporate tax del 23% quest'anno e del 20 dall'anno prossimo.
L'altra destinazione emergente è la Spagna, che da economia a rischio default è rapidamente tornata a crescere, sulle ali di una flessibilità spinta. Certo, il caso spagnolo è più noto. L'abilità degli autori del report, però, è stata quella di aver individuato esattamente quali sono le città epicentro del miracolo: Barcellona innanzi tutto, ma anche Bilbao, Valencia, Madrid, Murcia, Siviglia e Malaga, tutte nella Top ten 2014 delle città più promettenti del Sud Europa (per inciso, nella lista non c'è nessuna italiana).
Guardando alle regioni più piccole, cioè a quelle con meno di 1,5 milioni di abitanti, la corona di regina va all'area attorno a Copenaghen, ma è il Regno Unito a fare la parte del leone, aggiudicandosi sei posizioni nella top ten: da Bristol al Dorset, passando per l'Oxfordshire e il Norfolk. Sul fronte dell'effervescenza nelle infrastrutture, invece, le opportunità migliori sono in Olanda, un Paese che sta investendo in maniera cospicua tanto sulle reti dei trasporti quanto in quelle delle comunicazioni. A sorpresa poi la città di Eindhoven, che è entrata per la prima volta quest'anno nella top 25 delle città più promettenti, è subito balzata al terzo posto della classifica. Merito dell'importanza riservata al comparto It: dagli incubatori di start up alla creazione dei poli di ricerca universitaria attorno all'Hi-Tech Campus e all'University of Technology Science Park.
La Francia, a parte la regione di Parigi, non sembra meritarsi i riflettori. Al contrario, l'area francofona più vitale appare quella belga della Vallonia, tra le meglio piazzate nella classifica delle regioni europee di medie dimensioni. Buona anche la performance della Polonia, dove a meritare i riflettori sono la Malopolska e l'area della Silesia.
Se invece non di crescita, ma di convenienza (quindi di costi) si parla, continua a non esserci regione della Vecchia Europa in grado di competere con l'Est. Con una differenza, però, rispetto al passato: che Paesi come la Romania o la Slovacchia non sono più le mete ideali. Al primo posto, ora, c'è la Macedonia, e in particolare la - pressoché sconosciuta ai più - regione di Ohrid-Struga. Mentre la Serbia, nella classifica delle aree a maggiore convenienza, piazza ben tre delle sue regioni.
Fonte "Il sole 24 ore"
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lunedì 17 marzo 2014

Condominio: legittimazione passiva (Cassazione 2859/2014)

on la sentenza n. 2859/2014, depositata il 07/02/2014, la Corte di Cassazione, Sezione II Civile, afferma che “in tema di condominio negli edifici, non rientra nelle competenze dell’amministratore di condominio, ex artt. 1130-1131 cod.civ., la resistenza nel giudizio promosso da un condomino (o da un terzo) ed avente ad oggetto il risarcimento dei danni da infiltrazioni provenienti dalle parti comuni”.
Tale pronuncia è assai interessante, da un lato perché non si rinvengono precedenti in materia, dall’altro perché conferma quale sia l’effettiva posizione della Suprema Corte sulla legittimazione passiva dell’amministratore.
Nel 2010, la Suprema Corte si è pronunciata sul tema della legittimazione passiva dell’amministratore del condominio a resistere in giudizio per le materie non espressamente incluse tra quelle di sua competenza, sostenendo che “l’amministratore del condominio, potendo essere convenuto nei giudizi relativi alle parti comuni ma essendo tenuto a dare senza indugio notizia all’Assemblea della citazione e del provvedimento che esorbiti dai suoi poteri, ai sensi dell’art. 1131, commi 2 e 3 c.c., può costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea, ma deve, in tale ipotesi, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea stessa, per evitare la pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione” (Cass. Civ., Sezioni Unite, sent. n. 18331/2010).
Nel 2012, invece, la stessa Corte di Cassazione, con sent. n. 16901/2012 ha stabilito che “ai sensi dell’art. 1131, comma 2, cod. civ., la legittimazione passiva dell’amministratore del condominio a resistere in giudizio, esclusiva o concorrente con quella dei condomini, non incontra limiti e sussiste anche in ordine alle azioni di natura reale relativa alle parti comuni dell’edificio, promosse contro il condominio da terzi o anche dal singolo condomino”.
Dunque, sembrerebbe che dal 2010 al 2012 la Corte sia passata da una prima posizione, per cui l’amministratore, nelle materie non espressamente incluse tra quelle di sua competenza, per resistere in giudizio doveva farsi autorizzare dall’assemblea condominiale, ad una seconda posizione, per cui il potere dell’amministratore di resistere in giudizio è autonomo e senza “limiti”.
Invece, oggi la Suprema Corte, con un’inversione di marcia in materia, conferma quanto sostenuto già nel 2010, e quindi che, come qualunque mandatario, l’amministratore, nello specifico in tema di legittimazione passiva, non può avere carta bianca nel proprio operato, ma necessariamente deve essere autorizzato, se non nei casi espressamente previsti, dal mandante, id est il condominio.

lunedì 10 marzo 2014

Affitti senza "Ape" - D.L. 145/2013

Dal 24 dicembre scorso non è più necessario allegare l'Ape (Attestato di prestazione energetica) al nuovo contratto di locazione per singole unità immobiliari. L'obbligo rimane solo per le locazioni di interi edifici, oltre che per i trasferimenti a titolo oneroso.
Per tutte le nuove locazioni, quelle cioè stipulate per la prima volta e fatta eccezione per quelle di durata complessiva inferiore a 30 giorni nell'arco dell'anno (non soggette a registrazione), resta il solo obbligo per il locatore di informare il proprio conduttore sulla prestazione energetica del bene immobile oggetto della locazione, così come la si deduce del relativo attestato che in ogni caso deve essere messo a disposizione dell'inquilino ancor prima di concludere il contratto di locazione, cioè nel momento in cui iniziano le trattative dirette a concedere il godimento del bene (art. 6, c.2, D.Lgs 192/05 modificato dalla L. 90/13).
L'adempimento di tale obbligo deve essere documentato attraverso l'inserimento nel contratto di apposita clausola con cui il conduttore dà atto di avere ricevuto le informazioni e la documentazione circa la prestazione energetica del bene locato (nuovo art. 6, c.3, D.Lgs. 192/05). Per l'effetto, è sufficiente riportare nel contratto la dichiarazione dell'interessato di avere ricevuto le opportune informazioni, senza che sia necessario specificare nel dettaglio il tipo e la qualità delle stesse, non richiedendo la norma alcuna altra particolare formalità.

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domenica 2 marzo 2014

Locazioni: morosità e fisco

In molti casi la morosità degli inquilini si riflette sul proprietario, costretto a pagare le imposte anche su canoni che non ha incassato: non si tratta, però, di una regola assoluta, dal momento che la legge prevede qualche (limitata) eccezione.
Ma andiamo con ordine. In generale i redditi delle persone fisiche – esclusi quelli conseguiti in regime di impresa – vanno dichiarati e assoggettati a tassazione soltanto nell'anno in cui avviene la loro materiale percezione: è il cosiddetto criterio di cassa. Questo principio incontra una deroga per i redditi fondiari – e in particolare dei fabbricati – che scontano il prelievo d'imposta semplicemente al verificarsi della loro maturazione.
L'articolo 26 del Tuir, infatti, presuppone il mero possesso dell'immobile (a titolo di proprietà, usufrutto e di ogni altro diritto reale), sia esso tenuto a disposizione che ceduto in locazione. Perciò, nell'ipotesi in cui l'inquilino non paghi i canoni, il locatore dovrà comunque farli concorrere alla formazione del proprio reddito complessivo.
Considerati gli effetti penalizzanti che derivano da questa norma, è previsto un temperamento – anche se articolato e circoscritto – che esclude l'imponibilità del reddito immobiliare non percepito (in questa eventualità, il possessore dell'unità immobiliare sarà, comunque, tenuto ad assoggettare a tassazione la rendita catastale), in presenza delle seguenti condizioni:
1) che la locazione sia a uso abitativo;
2) che il mancato pagamento dei canoni derivi dalla morosità del conduttore;
3) che quest'ultima venga accertata giudizialmente a seguito del procedimento per convalida di sfratto per morosità.
Queste condizioni devono essere concomitanti e, pertanto, se la morosità nel pagamento riguarda un immobile commerciale (negozio, ufficio, capannone), il locatore dovrà pagare l'Irpef, anche se ha esperito il procedimento di convalida di sfratto, poiché la norma in questo caso non gli attribuisce alcun effetto fiscale (circolare 150/1999 del ministero delle Finanze).
Questa "discriminazione" ha generato un inevitabile contrasto interpretativo, nell'ambito del quale, secondo un orientamento più garantista, anche la morosità che si manifesta nella locazione di immobili non abitativi autorizza a non dichiarare i canoni non percepiti, secondo il codificato principio di capacità contributiva (Cassazione, sentenza n. 6911/2003).
È importante mettere in evidenza che questa composita tematica è stata comunque riequilibrata dalla Corte costituzionale (sentenza n. 362 del 26 luglio 2000), attraverso la formulazione di principi perequativi di portata generale, che come tali trovano applicazione indistintamente, sia ai rapporti locativi di natura abitativa che commerciale. Nel dettaglio, la Consulta ha statuito che:
• il riferimento al canone di locazione potrà operare nel tempo solo fin quando risulterà in vita un contratto di locazione e quindi sarà dovuto un canone in senso tecnico;
• tornerà in vigore la regola generale, e quindi si potrà evitare la tassazione, quando la locazione sia cessata per scadenza del termine (articolo 1596 del Codice civile) e il locatore pretenda la restituzione dell'immobile essendo in mora il locatario per il relativo obbligo, oppure quando si sia verificata una qualsiasi causa di risoluzione del contratto, ivi comprese quelle di inadempimento in presenza di clausola risolutiva espressa e di dichiarazione di avvalersi della clausola (articolo 1456 del Codice civile), o di risoluzione a seguito di diffida ad adempiere (articolo 1454 del Codice civile).
Pertanto, la presenza nel contratto di una clausola risolutiva dello stesso e la dichiarazione di avvalersene al ricorrere dei sopravvenuti presupposti (quale, appunto, la morosità del locatario) sono da ritenere elementi sufficienti a legittimare il locatore a non dichiarare i canoni non riscossi (Cassazione sentenza n. 12905/2007), senza necessariamente attendere un eventuale pronuncia giudiziale: l'attivazione di quest'ultima sarà, invece, richiesta per far accertare anche la morosità di anni pregressi, finalizzata all'utilizzo del credito d'imposta.
Attenzione: queste regole di favore si estendono a qualsiasi tipologia di immobile compreso nel rapporto di locazione, dal momento che il giudice delle leggi non fa alcuna distinzione fra unità abitativa e commerciale.
È importante ricordare che qualora venga esercitata la facoltà di risolvere anticipatamente il rapporto contrattuale rispetto alla a scadenza naturale, occorre segnalare la circostanza all'anagrafe tributaria. L'esecuzione di questo obbligo persegue nel contempo anche lo scopo di dare coerenza e giustificazione alla più ridotta consistenza reddituale del locatore in conseguenza del mancato incasso dei canoni (si veda l'Esperto risponde del 10 febbraio 2014).
Tutte queste considerazioni valgono a prescindere dal regime impositivo prescelto dal contribuente, ordinario o della cedolare secca.
Il principio di tassazione in base alla maturazione del reddito fondario dei fabbricati trova infine un'ulteriore attenuazione nell'articolo 36, Tuir, che consente al contribuente di evitare il prelievo Irpef sul reddito derivante dall'immobile qualora quest'ultimo venga sottoposto a lavori di restauro, risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia. Gli interventi devono essere supportati dai titoli abilitativi richiesti dalla normativa edilizia, e l'esimente impositiva sarà conseguibile per tutto il periodo di validità del provvedimento amministrativo. Questa esimente opera sia per la rendita catastale che per i canoni di locazione: infatti, anche se ci fosse un rapporto locativo, sarebbe sospeso o risolto in anticipo per consentire i lavori. Anche in questo caso, questa eccezione vale sia in relazione agli immobili a destinazione abitativa che commerciale.

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lunedì 10 febbraio 2014

Contenzioso tributario - reclamo e profili di costituzionalità


 LA CONDIZIONE
La presentazione del reclamo è condizione di ammissibilità del ricorso (articolo 17-bis, comma 2, del Dlgs 546/1992). Si verifica, quindi, un obbligatorio differimento dell'esercizio dell'azione giudiziaria da parte
del contribuente
| I PRECEDENTI
In passato la Corte costituzionale ha stabilito che l'azione giudiziaria può essere differita legittimamente solo se ricorrono esigenze di ordine generale e superiori finalità di giustizia: tale principio è stato affermato con le sentenze 406/1993 (sull'imposta di bollo), 360/1994 e 56/1995 (sull'imposta sugli spettacoli e per la tassa annuale sulle società, ora abrogata)
 LE ESIGENZE
Non sembra che le esigenze di ordine generale e le superiori finalità di giustizia ricorrano per il ritardo all'instaurazione dell'azione giudiziaria che verifica in relazione all'obbligo di reclamo per le controversie (attualmente) di valore non superiore a 20mila euro
LE MANCATE TUTELE
Il reclamo/mediazione non dà alcuna tutela – diversamente da altri istituti deflattivi
(per esempio, l'accertamento con adesione) – circa gli effetti della sospensione della riscossione



L'adesione è solo uno dei numerosi istituti deflattivi del contenzioso. Basta leggere un atto di accertamento e verificare che servono due o tre pagine per elencare tutti quelli esistenti. L'elenco si è arricchito nel corso dell'ultimo anno anche del reclamo e della mediazione tributaria per gli atti delle Entrate di valore non superiore a 20mila euro notificati a partire dallo scorso mese di aprile.
Ma, in realtà, l'istituto si presta a una serie di interrogativi sulla legittimità costituzionale.
Innanzitutto, va rilevato che ancora oggi non si comprende se si tratta di un istituto amministrativo o processuale. Non si tratta di questione meramente teorica: si pensi alle conseguenze che l'attribuzione di un "vestito" oppure l'altro hanno sulla sospensione dei termini feriali processuali.
La questione più rilevante, però, resta quella dell'obbligatorietà del reclamo (visto che costituisce condizione di ammissibilità del ricorso), diversamente da quanto accade per gli altri istituti deflattivi delle liti presenti nell'ordinamento tributario. La prevista obbligatorietà del reclamo condiziona, infatti, l'immediato avvio del l'azione giudiziaria da parte del contribuente.
I precedenti
Per l'imposta di bollo la Consulta ha dichiarato incostituzionale la previsione che subordinava l'azione giudiziaria per il rimborso dell'imposta al previo ricorso gerarchico al ministero delle Finanze (sentenza n. 406 del 23 novembre 1993). Secondo la Consulta, il diritto di esperire l'azione giudiziaria da parte del contribuente può essere legittimamente differito solamente «se ricorrono esigenze di ordine generale e superiori finalità di giustizia». Lo stesso principio è stato affermato con le sentenze n. 360 del 27 luglio 1994 e n. 56 del 24 febbraio 1995, relativamente all'imposta sugli spettacoli e all'abrogata tassa annuale sulle società, in cui è stato ribadito che il differimento della proponibilità dell'azione giudiziaria deve intendersi costituzionalmente legittimo solo se giustificato da esigenze di ordine generale o da superiori finalità di giustizia.
Le questioni aperte
Si pone la questione – e la risposta sembra negativa – se ricorrono anche per il reclamo queste esigenze di ordine generale e superiori di finalità di giustizia, visto che l'istituto ritarda inevitabilmente l'accesso all'azione giudiziaria. Senza contare che il reclamo non dà alcuna tutela – anche qui diversamente da altri istituti deflattivi (si pensi all'accertamento con adesione) – relativamente alla sospensione della riscossione.
Devono inoltre essere considerati i problemi che si stanno presentando – sotto un profilo più strettamente operativo – visto quanto affermato dalle Entrate sull'individuazione del soggetto da chiamare in causa, a seconda che i vizi risultino imputabili al concessionario o all'Agenzia (non è stato considerato, tuttavia, quanto stabilito dalla Cassazione a Sezioni unite con la sentenza 16412/2007).
Aspetti da non sottovalutare se la prospettiva dovesse essere quella di un ampliamento e non di una rivisitazione. Così come s'impone anche la necessità di lavorare sul profilo qualitativo della pretesa nell'ottica di deflazionare il contenzioso.

domenica 2 febbraio 2014

APE - Attestato prestazione energetica

L'attestato di prestazione energetica, in sigla APE, e' un documento obbligatorio, descrive le caratteristiche energetiche di un immobile. Il documento, redatto al momento della progettazione e realizzazione dell'edificio, costituisce uno strumento di informazione per l'acquirente all'atto dell'acquisto dell'immobile o della stipula del contratto di locazione, serve per monitorare e migliorare le caratteristiche energetiche dell'immobile in questione. 
Obbligatorio dal 1 Luglio 2009, l'APE e' stato di recente oggetto di importanti modifiche, con l'entrata in vigore del Decreto "Destinazione Italia" del 23 dicembre 2013.

La mancata allegazione dell'Ape non e' piu' causa di nullita' del contratto: il nuovo DL "Destinazione Italia" ha abrogato la norma che aveva disposto la sanzione della nullita' dell'atto di trasferimento di proprieta' - a titolo oneroso o gratuito - di beni immobili e dei nuovi contratti di locazione, in mancanza di consegna dell'attestazione di prestazione energetica.
Il decreto legge Destinazione Italia ha introdotto una disposizione che sostituisce quella introdotta lo scorso giugno; queste le novita' introdotte:
  • nei contratti di compravendita immobiliare, negli atti di trasferimento di immobili a titolo oneroso o nei nuovi contratti di locazione di edifici o di singole unita' immobiliari soggetti a registrazione viene inserita una clausola con la quale l'acquirente o il conduttore "dichiarano di aver ricevuto le informazioni e la documentazione, comprensiva dell'attestato, in ordine alla attestazione della prestazione energetica degli edifici; copia dell'attestato di prestazione energetica deve essere altresi' allegata al contratto, tranne che nei casi di locazione di singole unita' immobiliari".
  • in caso di omessa dichiarazione o allegazione, se dovuta, le parti sono soggette al pagamento, in solido e in parti uguali, della sanzione amministrativa pecuniaria da 3mila a 18mila euro; la sanzione e' da mille a 4mila euro per i contratti di locazione di singole unita' immobiliari ; se la durata della locazione non eccede i tre anni, la sanzione pecuniaria e' ridotta alla meta'.
Nei contratti di compravendita, trasferimento a titolo oneroso e locazioni di edifici o singole unita' immobiliari, bisogna dunque inserire una clausola apposita dove l'acquirente o il conduttore dichiarano di aver ricevuto l'attestato di certificazione energetica.
E' quindi in vigore l'obbligo di allegare l‘APE al contratto, tranne per i contratti d'affitto di singole unita' immobiliari, in questi casi e' sufficiente che all'interno del contratto il conduttore specifichi di aver ricevuto tutta la documentazione.
Controlli e disamine di eventuali contestazioni sulle violazioni saranno svolti dalla Guardia di Finanza o dall'agenzia delle Entrate, all'atto della registrazione.

Il nuovo DL "Destinazione Italia" rassicura acquirenti, venditori, locatori, inquilini e principalmente notai e agenti immobiliari, in quanto la nullita' aveva di fatto bloccato o messo a rischio la validita' di numerosi contratti immobiliari.

Contratti gia' dichiarati nulli: viene introdotta una sorta di sanatoria; su richiesta di almeno una delle parti o di un suo "avente causa" , per le violazioni commesse prima dell'entrata in vigore del Dl Destinazione Italia, non si applica la nullita' bensi' la sanzione amministrativa. Nel caso in cui la nullita' non sia gia' passata in giudicato, infatti una delle due parti in causa ( acquirente o conduttore) puo' chiedere che questa sia sostituita con l'applicazione delle nuove sanzioni.

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giovedì 30 gennaio 2014

TRUST - Parte 2 - Imposte dirette



L’art. 1, commi da 74 a 76 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (di seguito legge finanziaria 2007), ha introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento tributario delle disposizioni in materia di trust.
Il comma 74, modificando l’art. 73 del TESTO UNICO DELLE IMPOSTE SUI REDDITI del 22.12.1986, n. 917, include i trust tra i soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società (IRES). In tal modo è stata riconosciuta ai trust un’autonomia soggettività tributaria rilevante ai fini dell’imposta tipica delle società, degli enti commerciali e non commerciali.
In particolare, sono soggetti all’imposta sul reddito delle società:
i trust residenti nel territorio dello Stato che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (enti commerciali);
i trust residenti nel territorio dello Stato che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (enti non commerciali);
i trust non residenti, per i redditi prodotti nel territorio dello Stato (enti non residenti).
Avendo presente la flessibilità dell’istituto, il legislatore all’art. 73 ha individuato, ai fini della imposizione dei redditi, due principali tipologie di trust:
trust con beneficiari individuati, i cui redditi vengono imputati per trasparenza ai beneficiari stessi (trust trasparenti)
trust senza beneficiari individuati, i cui redditi vengono tassati direttamente in capo al trust (trust opachi).
I redditi imputati al beneficiario sono stati qualificati come redditi di capitale, con l’inserimento della lettera g-sexies) al comma 1 dell’art. 44 del TUIR
Dopo aver determinato il reddito del trust, il trustee indicherà la parte di esso attribuito al trust – sulla quale il trust stesso assolvera l’IRES – nonché la parte imputata per trasparenza ai beneficiari – su cui questi ultimi assolveranno le imposte sul reddito.
In alternativa all’imposizione in capo al trust o ai beneficiari, taluni redditi di natura finanziaria sono soggetti a ritenuta a titolo d’imposta o ad imposta sostitutiva. Un trust che non esercita attività commerciale, compreso, quindi, tra i soggetti di cui all’art. 73, comma 1 lett. c), e che possiede, ad es., titoli soggetti alle disposizioni del d.lgs. 1 aprile 1996, n. 239 vede gli interessi, premi ed altri frutti relativi a detti titoli sottoposti ad imposizione sostitutiva, ai sensi dell’art. 2 del decreto sopra richiamato
Per quanto riguarda la disciplina dei redditi del beneficiario del Trust il comma 74, lett. b), dell’articolo unico della finanziaria 2007 aggiunge al comma 2 dell’art. 73 del TUIR il seguente periodo: “nei casi in cui i beneficiari del Trust siano individuati, i redditi conseguiti dal Trust sono imputati in ogni caso ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell’atto costitutivo del Trust o in altri successivi documenti ovvero in loro mancanza in parti uguali”.
Premesso che il presupposto di applicazione dell’imposta è il possesso di redditi, per “beneficiario individuato” è da intendersi il beneficiario di “reddito individuato”, vale a dire il soggetto che esprime, rispetto a quel reddito, una capacità contributiva attuale.
È necessario, quindi, che il beneficiario non solo sia puntualmente individuato, ma che risulti titolare del diritto di pretendere dal trustee l’assegnazione di quella parte di reddito che gli viene imputata per trasparenza.
Infatti, a differenza dei soci delle società trasparenti, che possono autonomamente stabilire i criteri di distribuzione degli utili societari, i beneficiari di un trust non hanno alcun potere in ordine all’imputazione del reddito del trust, cui provvede unicamente il trustee sulla base dei criteri stabiliti dal disponente.
Il comma 75 poi prosegue precisando che sono redditi di capitale “i redditi imputati al beneficiario di trust ai sensi dell’art. 73, comma 2, anche se non residenti”
In materia di imposizione indiretta, puntuali disposizioni sono state introdotte:
dapprima con l’art. 6 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 che ha previsto l’applicazione dell’imposta di registro sulla costituzione dei vincoli di destinazione sui beni e diritti;
poi con la legge di conversione 24 novembre 2006, n. 286 che, senza convertire la disposizione dell’art. 6 del decreto, ha invece assoggettato la costituzione dei vincoli di destinazione sui beni e diritti all’imposta sulle successioni e donazioni
e in ultimo con la finanziaria 2007 che ha introdotto alcune franchigie ed esenzioni.
Com’è noto con l’art 2 del d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, così come modificato in sede di conversione, ha “re-istituio” <>.
Le innovazioni più rilevanti dal punto di vista testuale consistono nella sostituzione degli “atti a titolo gratuito” alle “altre liberalità tra vivi” e nell’aggiunta “e sulla costituzione di vincoli di destinazione”, tali novità sono il risultato della trasposizione senza sostanziali modifiche, nei commi 47 e 49 dell’art. 2 legge 286/2006, delle espressioni già contenute nell’art. 6, comma 5, comma 5 d.l. 262/2006, ispirato dall’originario intento di inserire definitivamente l’imposizione delle successioni e delle donazioni nella struttura e quindi nella sistematica del tributo di registro
Secondo l’Agenzia delle Entrate (CIRCOLARE N. 48/E/2007 – CIRCOLARE N. 3/E/2008), l’atto di costituzione del trust, che realizza il trasferimento della proprietà dei beni segregati, integra la fattispecie impositiva del tributo sulle successioni e donazioni. Qualora, invece, l’atto istitutivo di trust non sia anche atto di dotazione patrimoniale, avvenendo la segregazione dei beni in un momento successivo, lo stesso, se redatto per atto pubblico o scrittura privata autenticata, è tassato con imposta fissa di registro, ai sensi dell’art. 11 Tariffa, parte prima, allegata al TUIR, in quanto atto privo di contenuto patrimoniale. L’interpretazione fornita dall’Amministrazione finanziaria vede emergere la unitarietà causale del trust, ai fini dell’imposizione indiretta, e quindi dei diversi momenti giuridici e diversi effetti traslativi. L’Agenzia mostra di considerare la costituzione del vincolo di destinazione quale fattispecie impositiva autonoma, in grado, quando accompagnata dal trasferimento di beni, di comportare l’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni. Tale impostazione, insieme alla considerazione del trust quale “rapporto giuridico complesso con un’unica causa fiduciaria che caratterizza tutte le vicende del trust”, ha condotto a ritenere che il presupposto si realizzi solo nel momento della costituzione del vincolo con contestuale trasferimento della titolarità giuridica dei beni. Il supporto teorico di tale interpretazione è quello, fatto proprio anche da parte della dottrina, secondo cui il trust sarebbe idoneo, in quanto “vincolo di destinazione”, a realizzare “una prospettiva, giuridicamente inequivoca e suscettibile di tutela, di un vantaggio patrimoniale tangibile in favore del soggetto beneficiario, diverso dall’autore del vincolo funzionale”.Ogni successiva attribuzione ai beneficiari risulta, infatti, irrilevante ai fini del tributo in oggetto, sia nel caso in cui il trasferimento riguardi gli stessi beni segregati, sia quando ai beneficiari vengano trasferiti gli “incrementi” del patrimonio del trust. Non solo, ma la valorizzazione del momento in cui il vincolo è costituito in funzione dell’arricchimento futuro, comporta per la determinazione dell’imposta dovuta e quindi per individuare l’aliquota applicabile, così come le fattispecie di esenzione, occorre considerare il rapporto tra il disponente ed il beneficiario. Nei casi di trust senza beneficiari diretti (come è nei trust di scopo), così come quando non vi è nessun rapporto di parentela tra i soggetti indicati, la tassazione si realizzerebbe, secondo l’Agenzia, con l’aliquota più elevata, senza applicazione di franchigie. In modo molto chiaro la circolare n. 3/E/2008 ha affermato che il rapporto tra il disponente e beneficiario deve essere considerato all’atto di segregazione del patrimonio, il beneficiario dovendo essere determinato in questo momento. Quando, invece, all’atto di segregazione il beneficiario non sia ancora determinato (per esempio, nelle ipotesi in cui il disponente si riserva di nominare il beneficiario o quando l’atto istitutivo prevede una successiva individuazione da parte del trustee), l’imposizione non può tenere conto di alcun legame di parentela e sarà, di conseguenza, quella più elevata.
In questo contesto anche alla luce delle pronunce giurisprudenziali formatesi sull’argomento possiamo mettere in evidenza gli aspetti di criticità che si sono formati nel corso degli anni e valutare nel contempo le soluzioni alternative che si sono create sul punto. Con riferimento all’interpretazione della prassi amministrativa, appare certamente problematica la tassazione dei trust c.d. “di scopo” ai fini del tributo in esame. Se il trust ha per oggetto il perseguimento di un fine e non, invece, l’arricchimento di determinati soggetti (individuati oppure no al momento della istituzione del trust), potrebbe, infatti, non realizzarsi alcun incremento patrimoniale, connesso al trasferimento della ricchezza. È quindi possibile affermare che la costituzione di un trust di scopo, con segregazione dei beni, non determina normalmente la prospettiva certa sul piano giuridico di un futuro arricchimento patrimoniale. Affermare la tassazione all’atto di segregazione dei beni significherebbe, allora, una sostanziale violazione del principio di capacità contributiva, perché il momento giuridico della costituzione del vincolo (con segregazione dei beni) non coincide con nessuna manifestazione di ricchezza, attuale e futura.
Inoltre, occorre sottolineare che il rilievo della costituzione del vincolo di destinazione, in quanto collegato ad un futuro trasferimento di ricchezza, pone al di fuori del campo applicativo dell’imposta quei trust nei quali i trasferimenti si realizzano nell’ambito di sequenze negoziali onerose. Sono ad esempio i casi dei trust di garanzia o con funzioni solutorie oppure preordinati “alla semplice amministrazione di un pacchetto azionario al fine di dare efficacia reale alle statuizioni contenute in una convenzione parasociale”>. L’estraneità di tali atti dal campo applicativo del tributo, affermato da tempo in dottrina è ora sostenuto anche dalla più recente giurisprudenza di merito.
SENTENZA N. 120 DEL 30/12/2009 CTP BOLOGNA: in un caso di trust realizzato al fine di costituire una reciproca garanzia tra due soggetti disponenti. Tale sentenza ha affermato la sola imposizione fissa del registro per l’atto di trust, data l’assenza sia dell’intento liberale sia dell’arricchimento, ritenute entrambe condizioni fondamentali per integrare il presupposto dell’imposta sulle successioni e donazioni.
SENTENZA N. 287 DEL 09/08/2010 CTP PESARO: alla stessa conclusione è giunta anche la Commissione marchigiana. Infatti, in un caso di un trust con finalità liquidatorie che ad avviso di questi giudici non farebbe sussistere “alcun arricchimento patrimoniale dei beneficiari, in quanto l’attribuzione finale dei beni nei loro confronti rappresenta un adempimento del debito che il disponente aveva verso gli stessi e non un arricchimento privo di giustificazione”.
SENTENZA N. 12 DEL 12/01/2009 CTP LODI: un altro caso analogo è quello di un trust istituito da una società, che aveva segregato il proprio patrimonio, affinché il trustee procedesse alla liquidazione nell’interesse dei creditori e dei soci e rispetto al quale l’Agenzia delle Entrate richiedeva la tassazione proporzionale dell’atto di segregazione dei beni in trust, ai fini della imposta sulle successioni e donazioni, con l’aliquota dell’8%. La Commissione lombarda ha invece affermato la non applicabilità della imposta sulle successioni e donazioni, visto che nel caso in esame il trust “ha finalità liquidatorie del patrimonio conferito, ed al trustee è concessa la più ampia facoltà di operare con piena autonomia decisionale”. Pertanto, a giudizio della Commissione, “non si ravvisa alcun vincolo di destinazione e non è applicabile l’imposta sulle donazioni”>
Di contro abbiamo una SENTENZA DEL 06.12.2010 CTP FORLI’, per un trust che aveva come scopo principale la costituzione di una garanzia patrimoniale necessaria al reperimento di una nuova finanza per la risoluzione della crisi di impresa e, in subordine, la liquidazione dei beni segregati; in caso di impossibilità nel raggiungimento dello scopo, ovvero al termine della durata stabilita, il fondo in trust sarebbe tornato ai disponenti. Ma tale sentenza non è entrata nel merito ed ha sancito la decadenza ad impugnare degli altri disponenti e de trustee non autorizzando l’integrazione del contraddittorio.
La lettura fornita dall’Agenzia pone un importante problema in tutti quei casi in cui il vantaggio per i beneficiari non si configuri in termini di sicuro arricchimento, di posizione giuridica incontrovertibile e tutelata. Il che avviene quando il diritto dei beneficiari è sottoposto a condizione (tipico è il caso del bene attribuito al beneficiario se e quando quest’ultimo conseguirà un determinato risultato, come ad esempio la laurea, il matrimonio, ecc), come in talune ipotesi di trust discrezionale in cui non sia certa la futura attribuzione a beneficiari
In simili circostanze, la legittimità dell’imposizione al momento della costituzione del vincolo non appare giustificabile, visto che, proprio per la specifica struttura negoziale del trust, non è possibile considerare quest’ultimo espressivo di un incremento patrimoniale certo, ancorché futuro, connesso al trasferimento di ricchezza.
Sembrerebbe invece maggiormente coerente nelle fattispecie prese in esame il dover applicare in via analogica l’art. 58, secondo comma, D.Lgs. 346/190 e rinviare al momento della attribuzione al beneficiario o, quanto meno, al momento in cui è determinata la posizione giuridica del beneficiario stesso. Tale è peraltro la soluzione accolta dalla giurisprudenza di merito.
In riferimento a tale situazione si segnalano:
SENTENZA N. 481 DELL’11/06/2009 CTP CASERTA E SENTENZA N. 120 DEL 30/10/2009 CTP BOLOGNA, nelle quali si afferma che, quando i beneficiari del trust siano titolari di una mera aspettativa giuridica, la tassazione deve avvenire considerando il diritto del soggetto come sottoposto a condizione sospensiva, mancando del tutto l’arricchimento tassabile; con applicazione della imposta fissa di registro, ai sensi dell’art. 58, comma 2, d. lgs. N. 346/1990 ed integrazione del presupposto impositivo solo nel momento in cui il trust realizzerà il programma predisposto dal disponente: altra soluzione dal punto di vista teorico potrebbe essere quella dell’applicazione analogica dell’art. 42, primo comma, lett. E) D. Lgs. 346/90 e quindi del rimborso della maggiore imposta pagata al momento della segregazione.
Considerazioni in parte analoghe sembrano doversi fare per le ipotesi di trust con beneficiari non ancora determinati al momento della istituzione del trust e segregazione dei beni. Secondo la prassi amministrativa, quando l’individuazione sia rimessa ad un atto successivo (normalmente, del disponente o del trustee), l’imposizione dovrà essere la più elevata, perché nessuna franchigia e nessuna esenzione potrà applicarsi, perché dovrà essere considerata l’aliquota massima dell’8%.
Una simile soluzione appare criticabile, perché non in linea con le stesse giustificazioni che stanno alla base della stessa scelta dell’Agenzia di tassare il trust al momento della costituzione del vincolo sui beni segregati. Scelta che, lo si è visto, si motiva, alla luce del presupposto dell’imposta ed in modo conforme all’art. 53 Cost., solo in quanto sia possibile determinare un collegamento, rilevante giuridicamente, tra la costituzione del vincolo e l’incremento patrimoniale connesso al futuro trasferimento di ricchezza. Collegamento che, nel caso del trust, si evidenzia nella struttura del negozio e che ha alla base l’unitarietà in termini causali delle diverse fattispecie negoziali poste in essere.
In questa prospettiva, l’incremento patrimoniale connesso al trasferimento futuro di ricchezza in favore del beneficiario rappresenta la capacità contributiva colpita dal tributo e la tassazione, che avviene in un momento precedente, si giustifica solo in quanto il vincolo è costituito in funzione di tale successivo trasferimento di ricchezza al beneficiario. Da una tale ricostruzione teorica dovrebbe discendere, a nostro avviso, che la tassazione non possa prescindere dalla considerazione dei concreti caratteri negoziali del trust e, in particolare, dalla individuazione del beneficiario, che pure può avvenire in un momento successivo alla segregazione dei beni.
Affermare il contrario significherebbe spezzare quel legame tra tassazione immediata del vincolo e futuro “arricchimento” su cui si regge l’imposizione, sia in termini di costruzione del presupposto, sia in termini di determinazione della base imponibile.
Anche in queste ipotesi, sembra che lo strumento normativo più appropriato per consentire il rinvio dell’imposizione al momento dell’individuazione del beneficiario debba essere quello di cui all’art. 58, secondo comma, d. lgs. 346/90 equiparando l mancata individuazione del beneficiario alla previsione della condizione sospensiva. In questo senso, si è espressa con SENTENZA N. 30 DEL 12.02.2009 CTP DI FIRENZE, che ha esaminato il caso della istituzione di un trust, avente ad oggetto beni immobili, con contestuale segregazione e con scadenza definita. Il trust prevedeva che, al termine del medesimo, i beni venissero attribuiti ad un beneficiario finale che però non era già determinato al momento della istituzione del trust, ma solo determinabile. A seconda del verificarsi di condizioni previste nell’atto istitutivo, beneficiario finale del trust poteva essere il coniuge oppure il figlio oppure altri parenti fino al IV grado
Secondo quanto afferma la stessa prassi amministrativa l’elemento che invece deve necessariamente verificarsi al momento della costituzione del vincolo, affinché il presupposto si realizzi, è il trasferimento dei beni. L’Agenzia ritiene che la “costituzione di vincoli non traslativi non è soggetta all’imposta sulle successioni e donazioni” (CIRC. 3/E/2008, par. 5.3), valorizzando il disposto dell’art. 1, d.lgs. 346/1990 che prevede l’applicazione dell’imposta sui “trasferimenti di beni e diritti”. Ed è proprio sulla distinzione tra vincoli di destinazione traslativi e non traslativi che la circolare da ultimo citata fonda la propria ricostruzione teorica, così come le specifiche soluzioni interpretative. Distinzione da cui dovrebbe conseguire l’estraneità al campo applicativo dell’imposta in esame del trust auto-dichiarato. Nella fattispecie non si realizza, infatti, alcun effetto traslativo, in quanto il bene rimane nella titolarità giuridica del disponente e non si trasferisce ad un terzo.
La mancata imposizione sulla costituzione del vincolo non traslativo, eventualmente rilevante ai fini del tributo di registro, dovrebbe però completarsi con l’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni in relazione alle successive attribuzioni a favore di beneficiari (se poste in essere), in quanto atti che naturalmente rientrano nel campo dell’imposta
La scelta interpretativa dell’Agenzia di considerare rilevante il trust si fini del tributo sulle successioni e donazioni al momento della segregazione dei beni pone dunque diversi problemi interpretativi.
In primo luogo, dovrebbe affermarsi il non assoggettamento al tributo per i casi di trust c.d. “non liberali”, in quanto in grado di riflettere assetti di interessi sicuramente onerosi.
Inoltre, nelle ipotesi in cui i trust abbiano beneficiari, oppure questi non siano determinati, oppure non sia individuabile un diritto certo all’arricchimento futuro oppure si tratti di un trust auto-dichiarato, anche volendo seguire l’impostazione dell’Agenzia, dovrebbe comunque affermarsi una imposizione fissa (di registro) al momento dell’istituzione del trust con eventuale tassazione proporzionale (successioni e donazioni) in un momento successivo
Negli anni precedenti l’abrogazione dell’imposta sulle successioni e donazioni, in dottrina si era affermato che, nel caso del trust, l’imposizione dovesse realizzarsi solo al momento delle attribuzioni dal trust fund ai beneficiari, divenendo definitivo ed effettivo il trasferimento gratuito di ricchezza, con rilevazione della capacità economica colpita dal tributo, cui è preordinato il complessivo meccanismo negoziale.
L’unitarietà giuridica dei diversi negozi che compongono il trust si fondava sull’intento liberale che è alla base dell’effetto finale dell’arricchimento non oneroso di un soggetto, realizzato per il tramite di diversi strumenti negoziali, aventi causa giuridica differente da quella del contratto tipico di donazione. Si potrebbe ribattere che tale soluzione non sia conciliabile con la formulazione del comma 47 dell’art. 2 d.l. 262/2006, da cui sembrerebbe derivare l’autonomo rilievo della costituzione del vincolo.
Tuttavia, la persistente validità della soluzione interpretativa esposta potrebbe affermarsi considerando che la espressa menzione normativa dei vincoli di destinazione dovrebbe, quantomeno con riferimento al trust, essere letta come volontà legislativa di considerare unitariamente il programma negoziale in cui s’inserisce il vincolo e attraverso il quale si realizza l’incremento patrimoniale connesso al trasferimento della ricchezza. Anche perché, come già detto, la lettera della norma non può essere di per sé significativa, visto che la mera costituzione di un vincolo di destinazione non risulta in grado di esprimere nessuna capacità contributiva, tale da giustificare l’imposizione
L’imposizione proporzionale immediata del Trust avrebbe infatti come effetto quello di determinare la tassazione ai fini della imposta sulla successioni e donazioni su una ricchezza espressa dal patrimonio segregato, che può non coincidere con il (futuro) vantaggio patrimoniale. L’ipotesi in cui il bene è conferito in trust ed il beneficiario riceve, in termini di attribuzione, solo e proprio quello stesso bene è, infatti, la più semplice e nemmeno la più diffusa. È però possibile parlare di vantaggi patrimoniali per i beneficiari anche quando si costituisce un trust, segregando uno o più beni, con lo scopo di produrre ricchezza e distribuire le utilità corrispondenti, ma con la previsione della successiva “restituzione” degli stessi beni segregati al disponente: o si pensi al caso in cui l’atto istitutivo di un trust segreghi un immobile ad uso abitativo ed attribuisca al beneficiario il diritto, reale o personale, di godimento per un determinato periodo di tempo, trascorso il quale il bene sarà ritrasferito al disponente. ’imposizione, in questi casi, sembrerebbe comunque collegata ad una situazione che esprime una capacità contributiva, ossia il futuro vantaggio economico dei beneficiari. Tuttavia, si deve considerare che l’imposta sulle successioni e donazioni non colpisce genericamente le “utilità economiche” attribuite in occasione del passaggio non oneroso di un bene, ma specificatamente l’incremento patrimoniale connesso al trasferimento di ricchezza espressa dal bene trasferito, che rappresenta “il presupposto imponibile, ma anche il parametro di commisurazione del tributo”.
In questa prospettiva, non appare soddisfacente, in termini di coerenza logica del tributo (che rappresenta un corollario del principio di capacità contributiva), una interpretazione che giunga ad affermare la tassazione in funzione di un futuro vantaggio patrimoniale, parametrando l’imposta al valore del bene segregato, quando al ricchezza successivamente trasferita non coincida con quest’ultimo. A meno di non ritenere immediatamente rilevante, in termini impositivi, l’istituzione di trust con segregazione del bene, solo quando sia negozialmente previsto il successivo trasferimento del bene segregato (o, in generale, delle utilità economiche che ne rappresentano il valore, in cui eventualmente il bene è stato convertito) ai beneficiari; in tutte queste ipotesi, quando cioè si prevede l’attribuzione di altri vantaggi ma non il trasferimento del bene, rinviando la tassazione al momento delle effettive attribuzioni ai beneficiari.
Occorre notare che la prospettiva della generalizzazione della imposta fissa di registro per tutti i casi di trust, con rinvio della imposizione ai fini del tributo successorio al momento dell’effettivo trasferimento di ricchezza, pare emergere dalla stessa giurisprudenza di merito.
SENTENZE N. 47 E N. 48 DEL 30/042009 CTP TREVISO, le quali affermano chiaramente che la tassazione proporzionale del trust, nelle imposte indirette, può essere affermata solo nel “momento in cui effettivamente si realizza il trasferimento definitivo del patrimonio, a conclusione e scioglimento del trust”. Invero, “fino a quel momento ...l’attribuzione comporta semplicemente una separazione di patrimonio …con una consolidazione finale ed effettiva dell’esito traslativo in quel preciso momento”. Nel trust “assimilabile a donazione liberale, perciò e infatti solo a quel punto si concreta l’incremento patrimoniale del soggetto come era in animo del disponente, mentre prima, secondo ragione, il fisco può ambire semplicemente alla misura fissa, vista la ancora persistente mancanza di incremento patrimoniale in capo al beneficiario”.
Tali considerazioni sembrano cioè affermare che in ogni caso la costituzione di un trust deve essere tassata con imposta fissa di registro, per rinviare l’imposizione proporzionale al momento dell’effettivo arricchimento del beneficiario. Ciò non solo nelle ipotesi, prima esaminate, in cui i beneficiari siano, nell’atto istitutivo del trust, non determinati o abbiano solo una generica aspettativa. Secondo il giudice veneto, infatti, la segregazione dei beni in trust non sarebbe in grado di comportare un “effetto traslativo pieno e perfetto”, che resta invece “condizionato all’obiettivo finale”. Fino a tale momento, “rimane dunque in essere un fenomeno di separazione patrimoniale al più vario scopo e titolo, che per certo toglie provvisoriamente la disponibilità gestionale al disponente.. ma non altera definitivamente consistenze e capacità degli interessati”, derivandone la non applicazione delle imposte proporzionali ipotecarie e catastali, ma la sola imposizione in misura fissa. Questo in senso del tutto opposto a quanto detto dall’Agenzia delle Entrate, secondo cui ogni trasferimento immobiliare dal disponente al trustee e da questi al beneficiario deve essere tassato secondo le ordinarie aliquote delle imposte ipo-catastali.
In materia di imposte ipotecaria r catastale l’Agenzia si è espressa nel senso che le stesse debbano essere applicate in misura proporzionale tanto al momento del passaggio dei beni dal disponente al trustee quanto al momento della devoluzione finale, in quanto considerate quale “corrispettivo” per l’esecuzione delle formalità di trascrizione. Secondo l’agenzia, ciò che rileva ai fini dell’applicazione delle menzionate imposte in misura proporzionale è solo la presenza o meno, nella singola fattispecie dell’effetto traslativo. Nonostante il testo degli artt. 1 e 10 d.lgs. 347/1990 (T.U. delle imposte ipotecarie e catastali) indichi come “oggetto” delle relative imposte, rispettivamente, le “formalità di trascrizione” e le “volture catastali”, secondo alcuni la fattispecie imponibile coincide, da tempo, con quella delle imposte di registro e sulle successioni e donazioni e la “nuova istituzione” dell’imposta sulle successioni e donazioni ha confermato l’originaria correlazione fra disciplina di quest’ultima e quelle dei tributi “connessi”. Seguendo questa logica il presupposto delle imposte ipotecaria e catastale, nei casi esaminati, dovrebbe quindi definirsi con riferimento alla fattispecie già assunta come presupposto dell’imposta sulle successioni e sulle donazioni e la disciplina relativa a tale imposta dovrebbe definire anche i profili soggettivi della fattispecie imponibile. Muovendo da tale ricostruzione parrebbe dunque logico ritenere che l’applicazione delle imposte in considerazione possa essere effettuata, in misura proporzionale, solo all’atto del trasferimento “finale” tramite il quale si realizza il presupposto del tributo. Anche per l’applicazione delle imposte ipotecaria e catastale, infatti, è necessario che il presupposto d’imposta sia manifestativo di capacità contributiva, talché si comprende come in ipotesi di trasferimento di beni dal disponente al trustee l’arricchimento, che è presupposto del tributo fin qui considerato e, conseguentemente, anche delle imposte ipotecaria e catastale, difetti e che pertanto non appaia appropriata una imposizione della vicenda traslativa con ricorso a criteri impositivi in misura proporzionale.
In primo luogo che non possono essere incluse nella fattispecie imponibile dell’imposta sulle donazioni tutte le ipotesi di trasferimenti di situazioni giuridiche soggettive a contenuto patrimoniale con funzione solo “strumentale” alla realizzazione di assetti finali “onerosi”. Ma, anche laddove l’assetto negoziale complessivo sia diretto a risultati liberali, il trasferimento “iniziale” non giustifica, di per sé l’applicazione dell’imposta, in quanto l’indice di capacità contributiva, si realizzerà solo successivamente. Il beneficiario “finale” risulta essere, quindi, l’unico soggetto passivo dell’imposta. Solo in capo a quest’ultimo, infatti, si producono stabilmente quegli incrementi patrimoniali che costituiscono presupposto de tributo in considerazione Per l’atto negoziale in cui l’effetto dispositivo-destinatorio si accompagna ad un effetto traslativo, occorrerà aver riguardo alla finalità per cui lo stesso negozio (complessivamente considerato) è posto in essere. Conseguentemente, laddove sia già previsto nel programma negoziale il trasferimento finale di un bene ad un soggetto terzo rispetto al disponente ed anche all’attuatore, il trasferimento strumentale dovrebbe risultare fuori dal campo di applicazione dell’imposta di donazione, la quale dovrebbe essere applicata solo al momento dell’eventuale trasferimento al beneficiario finale ovverosia al prodursi dell’effetto liberale Il rilievo unitario della sequenza negoziale e poi completato, secondo il pensiero dell’Agenzia, valorizzando il rapporto tra disponente e beneficiario, per quanto attiene la determinazione delle franchigie, delle aliquote e delle fattispecie di esenzione. Nella relazione si è avuto modo di delimitare il campo applicativo della imposta, escludendo le fattispecie di trust “non liberali” e mettendo in luce le contraddizioni in cui cade la stessa Agenzia nelle ipotesi di trust “auto-dichiarato”. Proprio in relazioni a tali fattispecie, la recente giurisprudenza ha scelto quindi di percorrere strade abbastanza diverse da quelle indicate dall’Agenzia, rinviando l’imposizione ad un momento successivo e considerando tassabile l’atto istitutivo del trust (con segregazione di beni) con la sola imposta fissa di registro. A questa soluzione la giurisprudenza è arrivata equiparando la mancata individuazione del beneficiario alla previsione della condizione sospensiva, nonché condividendo la soluzione per cui il perfezionamento della fattispecie traslativa si verifica solo nel momento della effettiva attribuzione ai beneficiari.

lunedì 27 gennaio 2014

TRUST - Parte 1 - Natura e struttura

Dedichiamo la nostra attenzione a un istituto che personalmente reputiamo il più efficiente strumento di tutela del patrimonio.

La prima parte è dedicata alla natura e alla struttura del trust - la seconda parte che pubblicheremo nel corso della settimana è dedicata alla fiscalità italiana nei confronti dei trust presenti in Italia.

Buona lettura



Il trust si sostanzia in un rapporto giuridico fondato sul rapporto di fiducia tra disponente (settlor) e trustee. Il disponente, di norma trasferisce, per atto inter vivos o mortis causa, taluni beni o diritti a favore del trustee il quale li amministra, con i diritti e poteri di un vero e proprio proprietario, nell’interesse del beneficiario o per uno scopo prestabilito. Caratterizzato da una dual ownership, vale a dire da una doppia proprietà, l’una ai fini dell’amministrazione – in capo al trustee – e l’altra, ai fini del godimento – in capo al beneficiario – il trust esprime un concetto di proprietà non proprio allineato a quello conosciuto nei paesi di civil law. È evidente come, in base ai canoni tradizionali del nostro ordinamento, non sia agevole comprendere un simile sdoppiamento di proprietà, né la compressione del diritto di godimento dei beni affidati al trustee che ne è il proprietario. In sostanza, mentre la titolarità del diritto di proprietà è piena, l’esercizio di tale diritto è invece limitato al perseguimento degli scopi indicati nell’atto istitutivo. Il Trust normalmente viene istituito come un negozio unilaterale, cui si affiancano spesso uno o più atti dispositivi
Avendo riguardo allo sua struttura, il trust può considerarsi come:
a) trust “di scopo”, se funzionale al perseguimento di un determinato fine (es. il trust di garanzia)
b) trust “con beneficiario”, quando i beni in trust vengono gestiti nell’interesse di un determinato soggetto
I beneficiari possono essere individuati nell’atto istitutivo o in un secondo momento, direttamente dal disponente o da un terzo designato (proctector); inoltre, possono essere designati nominativamente o quali appartenenti a una determinata categoria. Essi hanno azione verso il trustee per rivendicare i loro diritti
L’atto istitutivo del trust può indicare un protector con il compito di vigilare sull’operato del trustee.
La residenza è individuata, con taluni adattamenti che tengono conto della natura dell’istituto, secondo i criteri generali utilizzati per fissare la residenza dei soggetti di cui all’art. 73 del TUIR. Ai sensi del comma 3 di tale articolo si considera residente nel territorio dello Stato al verificarsi di almeno una delle condizioni indicate per la maggior parte del periodo di imposta:
sede legale nel territorio dello Stato
sede dell’amministrazione nel territorio dello Stato
oggetto principale dell’attività svolta nel territorio dello Stato.
Considerando le caratteristiche del trust, di norma i criteri di collegamento al territorio dello Stato sono la sede dell’amministrazione e l’oggetto principale. Il primo di essi (sede dell’amministrazione) risulterà utile per i trust che si avvalgono, nel perseguire il loro scopo, di un’apposita struttura organizzativa (dipendenti, locali, ecc..). In mancanza la sede coinciderà con il domicilio fiscale.
Il secondo criterio (l’oggetto principale) è strettamente legato alla tipologia di trust. Se l’oggetto del trust (beni vincolati in trust) è dato da un patrimonio immobiliare situato interamente in Italia, l’individuazione della residenza è agevole; se invece i beni immobili sono situati in Stati diversi occorre fare riferimento al criterio della prevalenza. Nel caso di patrimoni mobiliari o misti l’oggetto dovrà essere identificato con l’effettiva e concreta attività esercitata.
Per individuare la residenza di un trust si potrà fare utile riferimento alle convenzioni per evitare doppie imposizioni.
Come è noto, le convenzioni bilaterali per evitare doppie imposizioni si applicano alle persone residenti di uno o entrambi gli Stati contraenti che, in qualità di soggetti passivi d’imposta, subiscono una doppia imposizione internazionale.
È possibile che i trust diano luogo a problematiche di tassazione transfrontaliera con eventuali fenomeni di doppia imposizione o, all’opposto, di elusione fiscale.
Un trust, infatti, può realizzare il presupposto impositivo in più Stati, quando ad esempio, il trust fund sia situato in uno Stato diverso da quello di residenza del trustee e da quello di residenza del disponente e dei beneficiari.
La nuova disciplina fiscale contiene anche disposizioni che mirano a contrastare possibili fenomeni di fittizia localizzazione dei trust all’estero con finalità elusive.
Sul punto, il comma 3 dell’art. 73 del TUIR, introduce due casi di attrazione della residenza del trust in Italia:
1. Si considerano residenti nel territorio dello stato, salva prova contraria, i trust e gli istituti aventi analogo contenuto istituiti in Paesi che non consentono lo scambio di informazioni (paesi della c.d. white list) quando almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato.
2. Si considerano, inoltre, residenti nel territorio dello Stato i trust istituiti in uno Stato che non consente lo scambio di informazioni, quando, successivamente alla costituzione, un soggetto residente trasferisca a favore del trust la proprietà di un bene immobile o di diritti reali immobiliari ovvero costituisca a favore del trust dei vincoli di destinazione sugli stessi beni e diritti. In tal caso, è proprio l’ubicazione degli immobili che crea il collegamento territoriale e giustifica la residenza in Italia
Quale soggetto passivo d’imposta, sia esso “trasparente” o “opaco”, il trust è tenuto ad adempiere gli specifici obblighi previsti per i soggetti IRES, ad iniziare dall’obbligo di presentare annualmente la dichiarazione dei redditi. Inoltre il trust residente dovrà necessariamente dotarsi di un proprio codice fiscale e, qualora eserciti attività commerciale, di una propria partita IVA.
Il comma 76 dell’articolo unico della finanziaria 2007, nel modificare l’art. 13 del DPR 600/1973, ha incluso fra i soggetti obbligati a tenere le scritture contabili:
i trust che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale (primo comma, lettera b)
i trust che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale (primo comma, lettera g).
I trust che hanno per oggetto esclusivo l’esercizio di attività commerciali sono pertanto obbligati alla tenuta delle scritture contabili previste dall’art. 14 del decreto citato. Analogamente, i trust che esercitano attività commerciali in forma non esclusiva sono obbligati alla tenuta delle scritture secondo le disposizioni dell’art. 20

Diamo più valore alle vostre attività.

 
 

lunedì 20 gennaio 2014

Condominio: Posteggio

La controversia è stata decisa con sentenza n. 27940 della seconda sezione civile depositata il 13 dicembre 2013 riguardava la presunta illegittimità del parcheggio di autovetture effettuato da due condomini nel cortile condominiale che impediva ad altro soggetto di accedere all'autorimessa di sua proprietà. Il tribunale aveva ritenuto che il cortile era di proprietà comune, secondo la presunzione ex art. 1117 n. 1 c.c., per cui l'uso, ai sensi dell'art. 1102 c.c., avrebbe alterato la destinazione del bene, impedendone il concorrente normale uso agli altri condomini, secondo il proprio diritto. Nel caso particolare si trattava del cortile di un antico stabile, destinato soltanto a dare aria e luce agli immobili circostanti e non poteva ammettersi il parcheggio di autoveicoli, costituendo l'ingombro dell'area con autovetture un uso non rispettoso dei concorrenti diritti di comproprietà. La Corte di Appello confermava questa decisione che inibiva il parcheggio rilevando che "pur ipotizzando il riconoscimento" ai condomini convenuti della qualità di comproprietari pro quota del cortile, in mancanza di prova della proprietà esclusiva in capo all'attore che contestava il parcheggio dei primi, doveva confermarsi l'esclusione del diritto di parcheggiare degli appellanti", in quanto il relativo esercizio, "oltre a rendere scomodo il raggiungimento a piedi delle singole unità immobiliari", avrebbe impedito all'altro condomino di utilizzare il cortile "per l'introduzione di automezzi nei vani di sua proprietà posti a pianterreno, destinati in parte... a rimessa, stalla, garage"; tanto in considerazione delle caratteristiche di forma e grandezza del cortile "nonché della posizione e strumentalità dello stesso in relazione alle altre parti dello stabile", desumili dall'esame "della documentazione grafica e fotografica fornita dalle parti, oltre che dalle descrizioni contenute negli atti di causa.
Tale sentenza è stata impugnata dai condomini "parcheggianti" per Cassazione e la controversia è stata definita con la decisione in oggetto che ha confermato le precedenti di merito a scapito di costoro quindi confermando l'inibizione al parcheggio nell'area condominiale. L'accertamento compiuto dal giudice di merito sulla base di una incensurabile valutazione in concreto delle caratteristiche dimensionali e funzionali del cortile, era pervenuto alla motivata conclusione dell'inidoneità obiettiva dello stesso a consentire l'esercizio della facoltà di parcheggio. La valutazione delle specifiche caratteristiche dell'area portava alla conclusione che questa non era idonea al parcheggio di autovetture, ma soltanto al passaggio delle persone ed al transito dei veicoli diretti nelle rimesse, aventi accesso dal medesimo, facoltà il cui esercizio sarebbe stato ostacolato o reso incomodo dalla presenza di veicoli in sosta. A tale riguardo è decisiva la regola di cui all'art. 1102 co. 1 c.c., secondo la quale l'uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante non può alterarne la destinazione, da intendersi in concreto in considerazione delle caratteristiche obiettive e funzionali, e non impedire il concorrente uso degli altri comunisti, secondo il loro diritto.


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La controversia è stata decisa con sentenza n. 27940 della seconda sezione civile depositata il 13 dicembre 2013 riguardava la presunta illegittimità del parcheggio di autovetture effettuato da due condomini nel cortile condominiale che impediva ad altro soggetto di accedere all'autorimessa di sua proprietà. Il tribunale aveva ritenuto che il cortile era di proprietà comune, secondo la presunzione ex art. 1117 n. 1 c.c., per cui l'uso, ai sensi dell'art. 1102 c.c., avrebbe alterato la destinazione del bene, impedendone il concorrente normale uso agli altri condomini, secondo il proprio diritto. Nel caso particolare si trattava del cortile di un antico stabile, destinato soltanto a dare aria e luce agli immobili circostanti e non poteva ammettersi il parcheggio di autoveicoli, costituendo l'ingombro dell'area con autovetture un uso non rispettoso dei concorrenti diritti di comproprietà. La Corte di Appello confermava questa decisione che inibiva il parcheggio rilevando che "pur ipotizzando il riconoscimento" ai condomini convenuti della qualità di comproprietari pro quota del cortile, in mancanza di prova della proprietà esclusiva in capo all'attore che contestava il parcheggio dei primi, doveva confermarsi l'esclusione del diritto di parcheggiare degli appellanti", in quanto il relativo esercizio, "oltre a rendere scomodo il raggiungimento a piedi delle singole unità immobiliari", avrebbe impedito all'altro condomino di utilizzare il cortile "per l'introduzione di automezzi nei vani di sua proprietà posti a pianterreno, destinati in parte... a rimessa, stalla, garage"; tanto in considerazione delle caratteristiche di forma e grandezza del cortile "nonché della posizione e strumentalità dello stesso in relazione alle altre parti dello stabile", desumili dall'esame "della documentazione grafica e fotografica fornita dalle parti, oltre che dalle descrizioni contenute negli atti di causa.

Fonte: Condominio, parcheggio area condominiale. Cassazione civ. II, 27940/2013. | immobilio - Forum Immobiliare
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venerdì 10 gennaio 2014

Immobili - Nuovi obblighi per i notai

Cosa dice la legge.
Il comma trentacinque impone ai notai (o altri pubblici ufficiali) per tutti gli atti stipulati, di versare su un conto corrente dedicato:
a) tutte le somme dovute a titolo di onorari, diritti, accessori, rimborsi spese e contributi, nonché a titolo di tributi per i quali il medesimo sia sostituto o responsabile d’imposta, in relazione agli atti dallo stesso ricevuti o autenticati e soggetti a pubblicità immobiliare, ovvero in relazione ad attività e prestazioni per le quali lo stesso sia delegato dall’autorità giudiziaria;
b) ogni altra somma affidatagli e soggetta ad obbligo di annotazione nel registro delle somme e dei valori di cui alla legge 22 gennaio 1934, n. 64, comprese le somme dovute a titolo di imposta in relazione a dichiarazioni di successione;
c) l’intero prezzo o corrispettivo, ovvero il saldo degli stessi, se determinato in denaro, oltre alle somme destinate ad estinzione delle spese condominiali non pagate o di altri oneri dovuti in occasione del ricevimento o dell’autenticazione, di contratti di trasferimento della proprietà o di trasferimento, costituzione od estinzione di altro diritto reale su immobili o aziende.
Il comma 36 dice che:
la disposizione di cui al comma 35 non si applica agli importi inferiori ad euro 100.000 e per la parte di prezzo o corrispettivo oggetto di dilazione; si applica in relazione agli importi versati contestualmente alla stipula di atto di quietanza. Sono esclusi i maggiori oneri notarili.
Il comma 37 specifica che le somme depositate presso il conto corrente di cui al comma 35 costituiscono patrimonio separato, quindi non sono nè del notaio nè del venditore e sono impignorabili a richiesta di chiunque.
Nel comma 38 si specifica che tali somme restano vincolate fino alla registrazione e pubblicità dell’atto ed alla verifica dell’assenza di ulteriori formalità pregiudizievoli. Se nell’atto le parti hanno previsto che il prezzo o corrispettivo sia pagato solo dopo l’avveramento di un determinato evento o l’adempimento di una determinata prestazione, il notaio o altro pubblico ufficiale svincola il prezzo o corrispettivo depositato quando gli viene fornita la prova, risultante da atto pubblico o scrittura privata autenticata, ovvero secondo le diverse modalità probatorie concordate tra le parti, che l’evento dedotto in condizione si sia avverato o che la prestazione sia stata adempiuta.
Gli interessi sulle somme depositate, al netto delle spese di gestione del servizio, sono finalizzati a rifinanziare i fondi di credito agevolato, riducendo i tassi della provvista dedicata, destinati ai finanziamenti alle piccole e medie imprese.
Il comma 39 da120 giorni di tempo per definire i termini, le condizioni e le modalità di attuazione dei commi da 35 a 38.
Perchè questa legge.
Lo scopo di questa legge è di garantire all’acquirente che gli importi versati per l’acquisto dell’immobile vengano consegnati agli aventi diritto solamente dopo che il trasferimento della proprietà è regolarmente avvenuto o comunque dopo che il venditore ha adempiuto a tutte le proprie obbligazioni.
Potrebbe accadere infatti che un venditore disonesto, nel periodo che va dalla stipula alla trascrizione dell’atto (il termine massimo è di 30 giorni), riesca a vendere lo stesso immobile più volte ad acquirenti diversi che si troverebbero in seguito a dover recuperare le somme versate con non poche difficoltà.
Infatti l’articolo 2644 del codice civile stabilisce che “Gli atti enunciati nell’articolo precedente non hanno effetto riguardo ai terzi che a qualunque titolo hanno acquistato diritti sugli immobili in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione degli atti medesimi.Eseguita la trascrizione, non può avere effetto contro colui che ha trascritto alcuna trascrizione o iscrizione di diritti acquistati verso il suo autore, quantunque l’acquisto risalga a data anteriore”. In pratica l’unico acquirente che acquisisce realmente la proprietà dell’immobile è colui che registra per primo l’atto di acquisto, tutti gli altri atti anche se stipulati in precedenza ma non ancora registrati sono nulli.

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Tassazione compravendite immobiliari 2014

Ecco le novità del 2014:

a) si abbassa l'imposta di registro per l'acquisto della prima casa dal 3 al 2% (ma con un minimo di mille euro);
b) ogni altro trasferimento immobiliare a pagamento verrà invece tassato con l'aliquota del 9% (oggi si spazia dal 3 al 15%, a seconda dei casi), anche qui con un minimo di mille euro; faranno eccezione i conferimenti di immobili strumentali in società (non imponibili a Iva), che rimarranno soggetti all'attuale aliquota del 4 per cento.

Inoltre, in tutti i casi in cui si applicheranno queste nuove aliquote del 9 e del 2 per cento:
a) le imposte ipotecaria e catastale saranno dovute nella nuova misura fissa di 50 euro ciascuna (al di fuori di questo perimetro, tutte le attuali imposte fisse di 168 euro – e quindi, l'imposta fissa di registro e ogni altra imposta fissa ipotecaria e catastale – saranno dovute nella nuova misura di 200 euro);
b) si avrà esenzione completa dall'imposta di bollo, dai tributi speciali catastali e dalle tasse ipotecarie.

 Infatti, il principio generale è quello per il quale la tassazione va fondata sulla data di formazione dell'atto soggetto a registrazione, se certa e opponibile all'amministrazione finanziaria. Ne deriva che:
a) per un atto pubblico stipulato nel 2013 e registrato nel 2014, si applica la tassazione del 2013;
b) per una scrittura privata autenticata nel 2013 e registrata nel 2014, si applica la tassazione del 2013;
c) per un atto giudiziario formato nel 2013 e registrato nel 2014, si applica la tassazione del 2013;
d) per una scrittura privata non autenticata formata nel 2013 e registrata nel 2014, si applica la tassazione del 2014.

Ci sarà poi il problema degli atti sottoposti a condizione sospensiva, stipulati nel 2013, con verificazione della condizione nel 2014. In base alla legge di registro (il testo unico contenuto nel Dlgs 131/1986) quando dunque la condizione si verifica deve essere versata l'eventuale differenza tra l'imposta «dovuta secondo le norme vigenti al momento della formazione dell'atto» (articolo 27, comma 2) e quella pagata (di solito, in misura fissa) in sede di registrazione: in sostanza, non rilevano le eventuali variazioni di aliquota intervenute successivamente alla formazione dell'atto e fino al verificarsi della condizione.
In altri termini, rapportandosi la tassazione definitiva al momento della formazione dell'atto, si valorizza il naturale effetto retroattivo della condizione, espresso nell'articolo 1360, codice civile, per il quale, di regola, «gli effetti dell'avveramento della condizione retroagiscono al tempo in cui è stato concluso il contratto».

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mercoledì 8 gennaio 2014

Condominio: Amministratore e appropriazione indebita

Appropriazione indebita per l’ex amministratore che non riconsegna la documentazione al condominio reputandosi ancora in carica dopo la revoca. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza 29451/2013.


La Suprema corte in primis ricorda che per la configurazione del delitto previsto dall’articolo 646 c.p. basta che l’ingiusto profitto sia potenziale, non essendo necessario che esso si realizzi effettivamente, il che emerge pacificamente dal rilievo che la norma richiede solo che il soggetto attivo agisca “per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto”. In altre parole basta il mero intento di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, a prescindere dalla concreta sua realizzazione.

“Nel caso di specie - argomenta la sentenza -, correttamente i giudici del merito hanno ravvisato il fine di profitto perseguito dall’odierno ricorrente nel fatto di continuare ad amministrare il condominio, il che lo poneva (e ciò non costituisce mera ipotesi, ma oggettiva constatazione) in condizioni di accampare ulteriori pretese o comunque di rendere più difficoltosa (se non di paralizzare) l’amministrazione del condominio stesso, giacché - come emerge dalla gravata pronuncia - il M. continuava a considerarsi amministratore del condominio ritenendo illegittima la delibera assembleare che lo aveva revocato, al punto da invitare i condomini dissenzienti a sottoscrivere un documento in suo sostegno”.

Infine, rammentano i giudici, l’ingiusto profitto non deve necessariamente connotarsi in senso patrimoniale.

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Buon 2014

Buongiorno,
inizio l'anno lavorativo con alcune considerazioni,

La prima è quella che non abbiamo bisogno di sovvenzioni ma di lasciarci lavorare, mi spiego, non è possibile aprire un'attività in Svizzera in 4 ore e da noi in 4 mesi.
la volontà del sottoscritto e dei partner che collaborano con le mie attività è quella, nei limiti del possibile , di semplificare e di divenire tutor delle giovani imprese.

La seconda, rimbocchiamoci tutti, ma veramente tutti, le maniche, mi spiego anche in questo caso: nel nostro paese vige il famigerato principio dell'"armiamoci e partite", invece dovremmo tutti dal più piccolo al più grande darci da fare.
L'impresa è nel DNA della nostra Nazione, ma forse preferiamo troppo spesso il posticino fisso al creare e rischiare qualcosa in proprio.

Detto questo, ho fiducia nel 2014, e se lavoriamo bene tutti insieme, potrà essere concretamente un anno di svolta,

BUON ANNO

Jacopo M.D. Affinati