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domenica 15 dicembre 2013

Ipoteca più tempo

Il debitore ha 60 giorni di tempo, decorrenti dalla data di conoscenza dell'atto cautelare

Se al debitore non è stata inviata la comunicazione di cui al comma 2-bis dell'articolo 77 del D.Lgs. 602/1973 - perché tale norma non era ancora entrata in vigore -, il termine di sessanta giorni per impugnare l'ipoteca decorre dal momento in cui l’interessato ha avuto materiale conoscenza della relativa iscrizione.

È quanto emerge dalla sentenza 111/32/2013 della Commissione Tributaria Regionale Lombardia.

Dal 2011 c’è il preavviso. Il contenzioso riguarda un’iscrizione di ipoteca avvenuta anteriormente all'entrata in vigore sia dell'articolo 35 del D.L. n. 223 del 2006 (decreto Bersani), che ha incluso l'ipoteca tra gli atti impugnabili davanti al giudice tributario, sia dell'obbligo a carico del Concessionario della riscossione di notificare la comunicazione preventiva per avvisare il debitore che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà iscritta ipoteca. L’obbligo di avvisare preventivamente il debitore è stato introdotto dal D.L. n. 70 del 2011 (c.d. Sviluppo), il quale ha aggiunto il comma 2-bis all'articolo 77 del D.P.R. n. 602 del 1973.

Il ricorso dopo 8 anni.
Il titolare dei beni ipotecati ha proposto ricorso in CTP chiedendo l’annullamento della misura cautelare. A detta del ricorrente, poiché nel caso in esame nessuna comunicazione era stata inviata dall'amministrazione, non esisteva alcun termine di decorrenza per l'impugnazione, con la conseguenza che il ricorso doveva ritenersi tempestivo, anche se l’iscrizione d’ipoteca risaliva a otto anni prima. Di diverso avviso Equitalia, la quale ha eccepito l'inammissibilità del ricorso per tardività dell'impugnazione.

Accolto l’appello del contribuente. Il giudice di primo grado ha ritenuto fondata l’eccezione di inammissibilità sollevata dell’esattore, respingendo il ricorso del contribuente. Di qui il giudizio di secondo grado che si è chiuso con la riforma della sentenza di prime cure.

La CTR della Lombardia ha ritenuto tempestivo il ricorso originario poiché al momento dell'iscrizione ipotecaria non vi era l'obbligo di comunicazione al debitore, né vi era una data di decorrenza su cui calcolare i 60 giorni concessi per l'impugnazione “e, pertanto, il termine poteva decorrere da quando il debitore era venuto a conoscenza dell'iscrizione ipotecaria”. Chiarificatrice sul punto – evidenzia la CTR - la sentenza della Cassazione n. 4777 del 2013.

Quanto alla possibilità di impugnare l'iscrizione ipotecaria, il collegio meneghino di secondo grado ricorda che con la riforma del 2006 si è espressamente prevista l’impugnabilità dell’ipoteca iscritta dal Concessionario. Pertanto, anche per questo punto della controversia, il ricorso è stato giudicato ammissibile.
 
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domenica 8 dicembre 2013

Casa: tutti gli interventi

Il Governo considera ormai l'emergenza casa una priorità assoluta ed è pronto a intervenire con un decreto legge. Il ministro per le Infrastrutture, Maurizio Lupi, ha messo a punto una prima ipotesi di testo che dovrebbe andare al Consiglio dei ministri la prossima settimana e che giovedì prossimo presenterà alla Conferenza unificata con regioni e città, interamente dedicata al tema. Lupi spera di scongiurare una proroga degli sfratti secca «anni '70», come pure molti sindaci gli chiedono. Punta invece a un pacchetto di misure articolato per allentare «strutturalmente» la tensione del mercato degli affitti: estensione del concetto di «morosità incolpevole» e istituzione del «voucher affitto», in modo da consentire la prosecuzione del contratto di affitto solo alle famiglie in grave difficoltà economica, sostenendo la loro spesa con un aiuto statale; rifinanziamento dei due fondi «affitti» e «morosità incolpevole» che attualmente possono contare rispettivamente su 100 e 40 milioni nel biennio 2014-2015; acquisto da parte degli Iacp a prezzi scontati di immobili invenduti dai costruttori; un piano di edilizia residenziale pubblica che preveda realizzazione di nuovi alloggi (senza consumo di suolo inedificato) ma anche riqualificazione leggera di almeno 20-25mila alloggi esistenti; sblocco dei progetti di social housing cofinanziati dalla Cassa depositi e prestiti con il Fondo investimenti per l'abitare (1,3 miliardi residui) con la previsione di una garanzia statale anti-morosità in modo da tutelare ulteriormente gli investitori sul cash flow del progetto.
Secondo le prime stime, il pacchetto varrebbe per le casse dello Stato non meno di 400 milioni ma il problema è che si tratterebbe di risorse tutte da trovare pronta cassa e questo non rende agevole il percorso del provvedimento nel confronto con il ministero dell'Economia. Lupi ne ha già a parlato la settimana scorsa a Palazzo Chigi con Enrico Letta che vede comunque di buon occhio la messa in campo di più strumenti per affrontare strutturalmente il mercato. Restano i due nodi politici della proroga degli sfratti e del parere di Regioni e Comuni che dovrebbe essere reso pubblico nella Conferenza unificata.
A fianco di queste misure messe a punto dal ministero delle Infrastrutture ce ne sono altre al setaccio del ministero di Porta Pia. Alcune arrivano dall'Ance che pure guarda di buon occhio la possibilità di cedere l'invenduto agli Iacp o a progetti di social housing. Un'ipotesi che piace ai costruttori è anche l'importazione in Italia del «metodo Scellier» adottato in Francia con deducibilità di parte dei costi di acquisto, mutui a tasso zero, permuta del vecchio con il nuovo abbassando l'imposta di registro all'uno per cento. A proposito di imposta di registro, l'ipotesi di fissare un importo minimo a mille euro non piace ai costruttori: la misura è già prevista a partire dal 1° gennaio, è circolata (ma ora sembra rientrata) un'ipotesi di anticiparla per decreto legge agli ultimi due mesi di quest'anno.
Sempre in fatto di emergenza casa, c'è l'altro tema già lanciato dal Governo: quello del rilancio dei mutui per l'acquisto della prima casa con il sostegno della Cassa depositi e prestiti. Così era nata la norma che poi si è andata allargando strada facendo. Oggi i mutui emessi dalle banche con la liquidità a basso costo fornita da Cdp possono finanziare anche l'acquisto di secondo case e lavori di ristrutturazione. La norma è nel decreto legge Imu, in via di definitiva conversione. L'Ance stima che possa garantire l'acquisto di 44mila abitazioni, un 10% più delle 444mila compravendite del 2012, considerando i due strumenti della liquidità prestata da Cdp alle banche e dell'acquisto da parte di Cdp di obbligazioni bancarie emesse a fronte di portafogli mutui garantiti da ipoteca. Il Parlamento ha introdotto un limite nella tipologia di abitazione, prevedendo che l'oggetto del mutuo debba essere una abitazione di classe energetica A, B o C. D'altro canto ha previsto che la convenzione Abi-Cdp definisca un contratto-tipo che trasferisca al mutuatario i vantaggi del basso costo della raccolta per le banche.
Proprio questa convenzione Abi-Cdp è l'anello che manca per dare il via operativo al nuovo sistema. Lupi è convinto che si farà in tempi strettissimi, sotto la sollecitazione del Governo.
I provvedimenti
VOUCHER AFFITTI
Per le famiglie in difficoltà
Tra le misure allo studio del governo c'è il «voucher affitto», con l'obiettivo di consentire la prosecuzione del contratto di affitto solo alle famiglie in grave difficoltà economica, sostenendo la loro spesa con un aiuto statale
SOSTEGNO INQUILINI
Aiuto a morosità incolpevole
Per allentare in maniera strutturale la tensione sugli affitti, l'esecutivo punta al rifinanziamento dei due fondi «affitti» e «morosità incolpevole» che attualmente possono contare rispettivamente su 100 e 40 milioni nel biennio 2014-2015
HOUSING SOCIALE
Coinvolta la Cdp
Allo studio lo sblocco dei progetti di social housing cofinanziati dalla Cdp con il Fondo investimenti per l'abitare (1,3 miliardi residui) con la previsione di una garanzia statale anti-morosità che tuteli ulteriormente gli investitori sul cash flow del progetto
FONDO IACP
Acquisto di immobili
È previsto anche l'acquisto da parte degli Iacp (ovvero gli Istituti autonomi case popolari) a prezzi scontati di immobili invenduti dai costruttori. Si tratta di una misura cui l'Ance (associazione dei costruttori) guarda con fiducia
MUTUI AGEVOLATI
Mutui con la Cdp
Previsto il rilancio dei mutui per l'acquisto della prima casa con il sostegno della Cdp. La norma si sta allargando. Oggi i mutui emessi dalle banche con la liquidità a basso costo fornita da Cdp possono finanziare anche l'acquisto di secondo case e lavori di ristrutturazione
I TEMPI
Pronta una prima bozza
Il ministro Maurizio Lupi ha messo a punto una prima ipotesi di testo che dovrebbe andare al Consiglio dei ministri la prossima settimana e che giovedì sarà presentato alla seduta della Conferenza unificata con Regioni e Comuni, interamente dedicata al tema

Fonte: Il Sole 24 Ore

lunedì 2 dicembre 2013

Acquisto casa tassazione nel 2014

La compravendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà della casa verso il corrispettivo di una somma di denaro (prezzo); più genericamente si può dire che la compravendita immobiliare è l’accordo formale con il quale una parte, detta venditrice, trasferisce ad un’altra, detta acquirente, la proprietà di un determinato immobile a fronte del pagamento del prezzo pattuito. Per questi elementi di scambio, la compravendita (scambio di cosa contro denaro) si distingue dalla permuta (scambio di cosa contro cosa). L'atto di compravendita, detto anche rogito, normalmente si stipula davanti al notaio, presenti il venditore e il compratore, ed è redatto in forma pubblica. In tal modo il notaio garantisce l’identità delle parti, la legalità dell’ato e la veridicità di quanto in esso dichiarato. Al notaio spettano i controlli formali sull’esistenza di ipoteche o altri vincoli, sul rispetto delle norme edilizie e la conformità del rogito con gli atti precedenti (ad es.: il compromesso). Il rogito è l'atto conclusivo della compravendita. A seguito degli aggiornamenti normativi disposti dalla legge finanziaria 2006 (266/2005) e del decreto Bersani 223 del 2006 (diventato poi legge 248/2006), nelle cessioni di immobili ad uso abitativo intercorse tra privati il rogito deve riportare, tra gli altri dati:
  • l’effettivo valore di cessione dell’immobile;
  • le indicazioni analitiche delle modalità di pagamento (assegno, bonifico, etc);
  • l’eventuale ricorso di una o di entrambe le parti ad attività di mediazione e, in caso affermativo, tutti i dati identificativi del titolare, se persona fisica, o la denominazione, la ragione sociale ed i dati identificativi del legale rappresentante, se soggetto diverso da persona fisica, ovvero del mediatore non legale rappresentante che ha operato per la stessa società, la partita IVA, il codice fiscale, il numero di iscrizione al ruolo degli agenti di affari in mediazione e della camera di commercio;
  • le spese sostenute per detta attività, con le analitiche modalità di pagamento della stessa.
In caso di assenza dell’iscrizione al ruolo di agenti di affari in mediazione, il notaio, inoltre, è obbligato ad effettuare apposita segnalazione all’Agenzia delle Entrate.

LE IMPOSTE SULL'ACQUISTO DELLA CASA

L'acquisto della casa comporta il pagamento di alcune imposte, che variano a seconda della destinazione dell'immobile e del soggetto venditore. Quando si acquista la “prima casa” si può godere di un regime fiscale agevolato che consente di pagare le imposte in misura inferiore rispetto a quelle ordinariamente dovute.

Per effetto degli articoli 10 del Dlgs 23/2011 e 26 del Dl 104/2013, a partire dal 1° gennaio 2014 le imposte relative al trasferimento di immobili verranno modificate con l’obiettivo di diminuire il carico fiscale sulle compravendita tra privati di immobili destinati all’utilizzo come prima casa.

Se oggetto dell'acquisto è la prima casa l'atto di compravendita è soggetto alle seguenti imposte fino al 31 dicembre 2013:
quando il venditore è un privato
  • imposta di registro del 3% (2% a partire dal 1° gennaio 2014)
  • imposta ipotecaria fissa di 168 euro (50 euro a partire dal 1° gennaio 2014)
  • imposta catastale fissa di 168 euro (50 euro a partire dal 1° gennaio 2014)
Nel caso l’immobile sia registrato al catasto come immobile di lusso (categorie A/1, A/8 e A/9) l’imposta di registro ha un valore del 7% sul valore dell’immobile fino al 31 dicembre 2013, per poi passare al 9% dal 1° gennaio 2014.

quando si acquista da impresa costruttrice (o di ristrutturazione) entro 4 anni dall’ultimazione lavori
  • IVA del 4%
  • imposta di registro fissa di 168 euro (200 euro a partire dal 1° gennaio 2014)
  • imposta ipotecaria fissa di 168 euro (200 euro a partire dal 1° gennaio 2014)
  • imposta catastale fissa di 168 euro (200 euro a partire dal 1° gennaio 2014)
quando si acquista da impresa non costruttrice che non ha eseguito lavori di restauro, risanamento o ristrutturazione oppure si acquista da impresa costruttrice (o di ristrutturazione) dopo 4 anni all’ultimazione lavori
  • IVA esente
  • imposta di registro del 3% (2% a partire dal 1° gennaio 2014)
  • imposta ipotecaria fissa di 168 euro (200 euro a partire dal 1° gennaio 2014)
  • imposta catastale fissa di 168 euro (200 euro a partire dal 1° gennaio 2014)
Se oggetto dell'acquisto è un immobile ad uso abitativo non prima casa l'atto di compravendita è soggetto alle seguenti imposte:
quando il venditore è un privato oppure un’impresa “non costruttrice”e che non ha eseguito lavori di restauro, risanamento o ristrutturazione, oppure un’ impresa “costruttrice” (o di ristrutturazione) che vende dopo 4 anni dalla data di ultimazione dei lavori
  • imposta di registro del 7% (9% a partire dal 1° gennaio 2014)
  • imposta ipotecaria del 2% (50 euro a partire dal 1° gennaio 2014)
  • imposta catastale del 1% (50 euro a partire dal 1° gennaio 2014)
quando il venditore è un’impresa costruttrice (o di ristrutturazione) che vende entro 4 anni dall’ultimazione lavori
  • IVA del 10% (22% se immobile di lusso)
  • imposta di registro fissa di 168 euro (200 euro a partire dal 1° gennaio 2014)
  • imposta ipotecaria fissa di 168 euro (200 euro a partire dal 1° gennaio 2014)
  • imposta catastale fissa di 168 euro (200 euro a partire dal 1° gennaio 2014)
Le imposte di registro, ipotecaria e catastale sono versate dal notaio al momento della registrazione dell’atto. Dal 1° gennaio 2007 ( per effetto della legge finanziaria per il 2007), soltanto per le compravendite di immobili ad uso abitativo, comprese le relative pertinenze (box, garage, cantine) a favore di un privato (acquirente), si può assumere come base imponibile il valore catastale, anziché dal corrispettivo pagato.

Per tutte le altre compravendite in cui l’acquirente non è un privato e/o che riguardano terreni, negozi o uffici, la base imponibile è costituita dal prezzo pattuito e dichiarato nell’atto dalle parti e non dal valore catastale.

Quando la vendita della casa è soggetta ad Iva, la base imponibile è costituita dal prezzo pattuito e dichiarato nell’atto dalle parti e non dal valore catastale. Relativamente a queste cessioni, le nuove disposizioni consentono all’ufficio di rettificare direttamente la dichiarazione annuale Iva del venditore se il corrispettivo dichiarato è inferiore al “valore normale” del bene. La legge definisce come valore normale “…il prezzo o il corrispettivo mediamente praticato per beni o servizi della stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui è stata effettuata l’operazione o nel tempo e nel luogo più prossimi” (articolo 14 del D.P.R. n. 633 del 1972).

L’acquirente può chiedere al notaio che la base imponibile ai fini dell’applicazione delle imposte (registro, ipotecaria e catastale) sia costituita dal valore catastale dell’immobile, indipendentemente dal prezzo dichiarato dalle parti. In tal caso il rogito deve riportare anche il valore catastale dell’immobile. L’agevolazione spetta a condizione che nell’atto sia indicato l’effettivo importo pattuito per la cessione.

Nel caso in cui la compravendita sia tassata sulla base del valore catastale la legge stabilisce, inoltre, che le tariffe notarili devono essere ridotte del 30%.

Se, però, per l’acquisto della casa, l’acquirente ha contratto un mutuo o chiesto un finanziamento bancario, la base imponibile non può essere inferiore all’ammontare del mutuo o del finanziamento erogato. Allo stesso tempo, non è possibile detrarre ai fini Irpef interessi passivi derivanti da importi di mutuo superiori al prezzo di acquisto.

L’omissione, la falsa o incompleta dichiarazione comportano (oltre all’applicazione della sanzione penale) l’assoggettamento, ai fini dell’imposta di registro, ad accertamento di valore dei beni trasferiti. In sostanza, l’ufficio applicherà le imposte sul valore di mercato dell’immobile, anche se le parti avevano richiesto la tassazione sulla base del valore catastale. Inoltre sono previste onerose sanzioni pecuniarie amministrative.

Dal 2007 è possibile detrarre fiscalmente ai fini Irpef (nella misura del 19%) i compensi corrisposti agli intermediari immobiliari per l'acquisto dell'unità immobiliare da adibire ad abitazione principale. La detrazione è fruibile per un importo comunque non superiore a 1.000 euro e la possibilità di portare in detrazione questa spesa si esaurisce in un unico anno d’imposta. Se l’acquisto è effettuato da più proprietari, la detrazione, nel limite complessivo di 1.000 euro, dovrà essere ripartita tra i comproprietari in ragione della percentuale di proprietà.

L’acquirente, per poter fruire dell'applicazione delle imposte (di registro, ipotecaria, catastale) sul valore catastale dell'immobile, deve farne esplicita richiesta al notaio

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lunedì 25 novembre 2013

Il riscaldamento non si taglia!

Il servizio di riscaldamento non si tocca anche se il condomino è moroso: lo ha stabilito il Tribunale di Milano nel procedimento (ruolo generale 72656/13, sexione XIII civile) promosso in via d’urgenza da un condominio che, sul presupposto dell’esistenza di una sua morosità nel pagamento delle quote dovute, si era visto sospendere l’erogazione del riscaldamento da parte di altro condominio tenuto per contratto a fornirgliela.
Tra le due parti era sorta contestazione circa l’ammontare del debito dell’una verso l’altra proprio in relazione al riscaldamento erogato e così all’amministratore del condominio erogante non era parso vero di dare esecuzione al nuovo disposto dell’articolo 63, terzo comma, delle disposizioni attuative del Codice civile che lo autorizza, pur in difetto di qualsivoglia autorizzazione contenuta nel regolamento (invece richiesta nel vecchio testo pre riforma) a sospendere il condominio moroso dalla fruizione dei servizi suscettibili di godimento separato e di quello del riscaldamento. Detto e fatto e un elevato numero di famiglie si è trovata all’improvviso al freddo, senza alcun preavviso e/o avvertimento.
Il ricorso al giudice è stato fulmineo proprio per ottenere la ripresa del servizio e altrettanto rapida è stata la decisione del giudice.
«La privazione di una fornitura essenziale per la vita, quale il riscaldamento in periodo invernale, è suscettibile di ledere diritti fondamentali delle persone, di rilevanza costituzionale, quale il diritto alla salute (articolo 32 Costituzione)», argomenta il giudice. Comunque, «il diritto che con la sospensione del servizio si intende tutelare è puramente economico e sempre riparabile». Di qui, ricorrendo i presupposti di pericolo di danno grave ed irreparabile alla salute dei condomini, l’ordine impartito all’amministratore di provvedere subito a garantire l’erogazione del servizio di riscaldamento ai presunti morosi. È vero che la legge consente all’amministratore, nel caso di morosità del condomino che si protrae per un semestre, di sospendergli l’erogazione di quei servizi che possono essere da lui goduti separatamente, fermo comunque il diritto del condominio di procedere per il recupero della morosità maturata e che eventualmente andrà a maturare. Altrettanto vero è, però, che il terzo comma dell’articolo 63 delle disposizione attuative del Codice civile va applicato con estrema prudenza da parte dell’amministratore e in situazioni talmente gravi da non consentirgli diversa soluzione, proprio per il rispetto dovuto verso coloro che invece adempiono con regolarità i propri obblighi pecuniari verso il condominio.
Rimane dunque preferibile che il regolamento, o in ultima analisi l’assemblea, continui a indicare le modalità ed i casi in presenza dei quali l’amministratore può avvalersi del rimedio in esame, ad esempio individuando una soglia minima di mora in presenza della quale scatta la sospensione dal servizio. Nel silenzio, è chiaro però che il nuovo potere discrezionale conferito all’amministratore dal nuovo terzo comma dell’articolo 63 deve essere da lui dosato con la diligenza del buon padre di famiglia, rimanendo comunque salvo il sindacato dell’autorità giudiziaria sul suo operato e dunque sulla sua personale responsabilità.
Resta poi da stabilire, nel silenzio della legge, da quando decorre il semestre scaduto il quale si possa procedere alla sospensione della fruizione dei servizi comuni

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domenica 10 novembre 2013

Condominio: Cassazione Sent. 22313/2013 - Amministratore Parcella in chiaro

La Cassazione, con la sentenza 22313 depositata il 30 settembre scorso, è tornata a occuparsi del compenso dell'amministratore di condominio per i lavori straordinari.
La prassi e le sentenze
Di norma, si ritiene che il compenso stabilito forfettariamente in occasione dell'assunzione o del rinnovo dell'incarico sia limitato alla gestione ordinaria (che include, ad esempio, spese amministrative, servizi condominiali, piccola manutenzione, energia, acqua) ma non comprenda la gestione di lavori straordinari («lavori di rilevante entità» per il Codice civile), da liquidare a parte, in genere in percentuale sul costo dei lavori.
Ma l'orientamento della giurisprudenza (a parte alcuni precedenti di merito) va nel senso che, se l'assemblea non approva espressamente il compenso straordinario, nulla è dovuto all'amministratore. Quindi, il compenso pattuito all'assuzione dell'incarico annuale comprende ogni attività, anche relativa alla gestione di manutenzione di rilevante entità delle parti comuni.
La riforma
La riforma del condominio (legge 220/2012, in vigore dal 18 giugno scorso) ha cercato di arginare gli abusi di alcuni amministratori che, raggiunto l'accordo sul compenso per la gestione ordinaria, al momento dell'approvazione inseriscono nel consuntivo altre spese, ad esempio, per partecipazione ad assemblee straordinarie, gestione sinistri, stampa rendiconti. Il nuovo articolo 1129 del Codice civile stabilisce che l'amministratore, in occasione della nomina o del rinnovo, debba analiticamente specificare l'importo dovuto per la sua attività, a pena di nullità della nomina. Certo, sarebbe stata preferibile una formulazione meno radicale, che prevedesse l'inesigibilità delle voci del compenso non indicate espressamente. In teoria, questa disposizione rischia di fare dichiarare nulla la nomina dell'amministratore che non specifica, in maniera minuziosa, tutte le possibili voci, il che è praticamente impossibile. La norma dovrebbe quindi essere interpretata nel senso che è nulla la nomina se la specifica del prezzo non sia determinata o determinabile o lasci spazio ad abusi.
Il preventivo
Sono due i tipi di preventivo che possono essere presentati all'assemblea. Il primo è "modulare" e consiste nell'elenco analitico delle attività con un prezzo per ognuna. Il secondo è a forfait, con un prezzo comprensivo di tutta l'attività. In genere, per non avere brutte sorprese, i condomini preferiscono il preventivo forfetizzato; quello modulare non ha invece avuto fortuna, se non nella forma attenuata, che prevede un prezzo forfetizzato, ma con diverse attività indicate come "extra", come le assemblee straordinarie.
Un preventivo misto non dovrebbe (il condizionale è d'obbligo) essere sanzionato con la nullità della nomina se riporta la clausola per cui è compresa nel prezzo forfettizzato ogni attività non indicata a parte, in modo da evitare che il prezzo lieviti in occasione del consuntivo. Per quanto concerne i lavori di rilevante entità, il candidato amministratore potrà presentare, nel suo preventivo, una quota percentuale sull'importo di eventuali opere ma tale proposta dovrà essere espressa all'accettazione dell'incarico o del rinnovo e non potrà essere rimandata all'approvazione dei lavori.

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lunedì 4 novembre 2013

Condominio: avviso anticipato per l'assemblea ( Cass. Sent. 22047/2013)

La sentenza della Cassazione - Una recente sentenza della cassazione (n. 22047 del 26 settembre scorso) si è occupata della nuova Legge 220/2012 sulla riforma del condomino, e ha chiarito che l'avviso di convocazione dell'assemblea deve pervenire ai condomini almeno cinque giorni prima della data fissata per la riunione in prima convocazione. La Suprema Corte in pratica si è così pronunciata sulla questione del termine di legge da rispettare per la convocazione dell'assemblea condominiale, anche alla luce delle nuove disposizioni di cui all'art. 66 delle disposizioni di attuazione del codice civile.

Il caso in questione - La vicenda portata all'attenzione della Suprema Corte nasce dall'impugnazione di due deliberazioni condominiali ritenute invalide perché adottate nel corso di una riunione assembleare irregolarmente convocata. In particolare un condomino si era rivolto al giudice eccependo il fatto che, dopo un primo tentativo di recapito dell'avviso di convocazione non andato a buon fine, aveva ricevuto la comunicazione solo un giorno prima della data fissata per l'assemblea condominiale in prima convocazione, e due giorni prima della seconda convocazione della stessa. Inizialmente il tribunale aveva però dato ragione al condominio, osservando come la convocazione assembleare fosse stata inviata dall'amministratore nei termini previsti dalla legge, senza invece prendere in considerazione la data in cui il condomino aveva potuto prendere effettivamente visione dell'avviso. Anche in secondo grado veniva confermata la decisione del tribunale, i giudici affermavano che, in assenza di particolari prescrizioni di legge, per la comunicazione ai condomini della convocazione assembleare, il termine di cinque giorni dovesse essere interpretato con riguardo alla seconda convocazione dell'adunanza condominiale, essendo prassi comune dei condomini di non presentarsi alla prima, ma solo alla seconda convocazione. I giudici di appello avevano evidenziato la circostanza che nella fattispecie la delibera impugnata era stata adottata in seconda convocazione, a riprova del fatto che la prima riunione fosse andata deserta.

Le indicazioni della Corte – Contro le decisioni di merito la questione è stata portata davanti alla Cassazione che ha ribaltato le precedenti sentenze e ha accolto i motivi di impugnazione. I giudici hanno principalmente evidenziato il fatto che ogni condomino ha diritto di intervenire all'assemblea, con la conseguente necessità che l'avviso di convocazione sia non solo inviato, ma anche ricevuto entro il termine previsto dalla legge. In particolare, il predetto avviso deve essere ricevuto da ogni condomino almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza in prima convocazione. Secondo la Cassazione, contrariamente a quanto affermato in appello, non è corretto sostenere che, considerata la normale partecipazione dei condomini alla seconda convocazione assembleare più che alla prima, il giorno da considerare per accertare il rispetto del termine di legge debba essere quello della seconda convocazione. Quindi, ai fini del conteggio di tale termine, occorre considerare esclusivamente la data dell'assemblea fissata in prima convocazione.

In accordo con la giurisprudenza - La conclusione della Cassazione ha trovato sempre d’accordo la giurisprudenza che sosteneva tale tesi anche prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina del condominio. Attualmente, questa interpretazione risulta pienamente confermata dall'intervento del legislatore che, al nuovo art. 66, comma 3, delle disposizioni di attuazione del codice civile, stabilisce espressamente che il termine di cinque giorni deve essere riferito alla prima convocazione dell'assemblea, non rilevando la data di svolgimento dell'assemblea in seconda convocazione.

Il decorrere dei cinque giorni - Per la Cassazione, la comunicazione dell'avviso di convocazione si considera avvenuta nel momento in cui la stessa giunge a conoscenza del condomino e da tale momento comincia a decorrere, a ritroso, il predetto termine di cinque giorni, prendendo a riferimento la data di prima convocazione dell'assemblea. I giudici di legittimità hanno evidenziato come la Corte d'appello non abbia minimamente preso in considerazione il dato temporale relativo alla conoscenza, da parte del condomino della data di svolgimento dell'assemblea condominiale. L’accertamento di come il condomino era stato messo in condizione di partecipare all'assemblea condominiale, ovvero un solo giorno prima della prima convocazione e due giorni prima della seconda convocazione, avrebbe indotto i giudici di merito a rilevare la tardività della convocazione dell'assemblea e conseguentemente ad annullare le delibere adottate.

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lunedì 28 ottobre 2013

La "tasi" converrà?

Tasse più leggere per le abitazioni principali di valore fiscale medio e alto, a patto però che non ci siano figli (e quindi detrazioni Imu) a cambiare i conti, e richieste più elevate per tutti gli altri: abitazioni principali di valore catastale medio-basso, seconde case vuote o affittate, negozi e così via.
Si presenta con queste caratteristiche il passaggio alla Tasi, il nuovo tributo che debutterà il prossimo anno per finanziare i «servizi indivisibili dei Comuni», quando si ragiona ad aliquota standard, cioè senza contare le possibili scelte fiscali dei sindaci. Scelte che, con la Tasi, potranno contare su spazi molto più ampi degli attuali, al ribasso ma anche al rialzo.
I tetti massimi previsti dalla legge di stabilità, 2,5 per mille (solo per il 2014) sull'abitazione principale e 11,6 per mille per la somma di Imu e Tasi sugli altri immobili, possono infatti far volare il nuovo tributo fino a quota 9 miliardi di gettito: una dote da aggiungere ai 17,6 miliardi dell'Imu sugli altri immobili (sempre ad aliquota standard) e alla tassa rifiuti.
Guardando i casi concreti, sull'abitazione principale il primo nodo da rilevare è una certa "regressività" nel passaggio alla Tasi, che finisce per colpire le abitazioni più modeste per beneficiare invece quelle che secondo il Fisco valgono di più. A determinare questo effetto è l'addio alle detrazioni (quella da 200 euro di base e quella "provvisoria" da 50 euro per ogni figlio) che nel regime attuale hanno escluso dall'Imu quasi 5 milioni di case, di valore fiscale medio-basso e in genere abitate da famiglie con redditi leggeri. Per verificarlo basta osservare che cosa accade alle abitazioni principali nel grafico qui a destra: il monolocale vede peggiorare il conto dai 90 euro del 2012 ai 139 del 2014, il bilocale passa da 220 a 262 euro mentre il trilocale passa dai 450 euro versati nel 2012 ai 415 del prossimo anno, dopo averne versati 345 nel 2013. Nel trilocale si ipotizza una famiglia "media", con un figlio, ma se i figli sono due l'Imu 2012 sarebbe scesa a 150 euro, e il 2014 vedrebbe un aggravio di 15 euro: discorso opposto, naturalmente, se i figli non ci sono.
Nel calcolo ministeriale, diffuso domenica, si mette a confronto la Tasi con l'Imu sull'abitazione principale e la maggiorazione Tares, cioè l'imposta statale da 30 centesimi al metro quadrato che si dovrà pagare a dicembre, e si considera anche l'addio alle detrazioni da 50 euro per i figli (400 milioni in tutto) non più previsti per il 2014. In questo modo il nuovo tributo (3,7 miliardi) risulta più leggero della somma di Imu (3,3 miliardi, sempre ad aliquota standard, più 400 milioni di detrazioni) e maggiorazione Tares (un miliardo). Questa impostazione riflette in termini di copertura, perché calcola le poste da finanziare nei saldi del bilancio pubblico; dal punto di vista degli effetti sul contribuente, occorre però tenere conto anche del fatto che l'Imu si è pagata nel 2012 e non nel 2013 (il Governo progetta lo stop anche alla seconda rata), e la maggiorazione Tares da 30 centesimi al metro quadrato si paga nel 2013 e non nel 2012 (non c'era).
Un'altra dinamica si prospetta poi fuori dalle abitazioni principali, dove di partenza l'aliquota standard della Tasi (1 per mille) si aggiunge alla situazione attuale, perché la somma di Imu più Tasi non può superare l'aliquota massima (10,6 per mille) ma secondo l'ultima versione del Ddl stabilità il calcolo va effettuato «al netto» dell'1 per mille della Tasi. Guardando ancora una volta alla situazione "standard", quindi, il conto appare destinato ad aumentare sia rispetto al 2012 sia rispetto al 2013, considerando o meno anche il passaggio da Tarsu a Tares.
Fin qui il quadro di base, senza l'intervento dei Comuni. A loro tocca però l'ultima parola sulle scelte effettive, che possono ridurre fino ad azzerare oppure moltiplicare le richieste della Tasi. L'esperienza recentissima dell'Imu, con gli aumenti 2012 concentrati sugli «altri immobili» e quelli 2013 che recuperano anche l'abitazione principale in attesa delle compensazioni statali, non alimenta l'ottimismo, anche perché il continuo lavorio su tutte le voci-chiave della finanza locale ha confuso il quadro fino a spostare a fine anno il termine dei preventivi. Resta da chiarire, poi, la dotazione di partenza per il 2014, alla luce del dare-avere scritto nella legge di stabilità: con l'addio all'Imu su abitazione principale e fabbricati e terreni agricoli spariranno le compensazioni statali (4,8 miliardi calcolati sulle aliquote reali 2012), la Tasi porterà 3,7 miliardi e il miliardo mancante è dato dall'aumento del fondo di «solidarietà comunale» già deciso dal Governo. Il livello di partenza, in termini di dote finanziaria, sarebbe analogo a quella di inizio 2013. Un altro miliardo è stanziato sul Patto, per liberare i pagamenti in conto capitale, ma per pagare servono le entrate: senza contare che molti sindaci, da Milano a Brescia, da Bologna a Roma, hanno deciso o stanno decidendo aumenti di aliquota, e chiedono che gli indennizzi statali ne tengano conto: un meccanismo che farebbe lievitare di almeno 260 milioni il conto da saldare a carico dello Stato, ma che è ancora tutto da costruire.

lunedì 14 ottobre 2013

Cass 20707 2013 - Appalto e vizi non contestati

La Cassazione ha chiarito che l’appaltatore ha l’obbligo di fornire una garanzia per le eventuali difformità dell’opera realizzata. L’obbligo viene meno se il committente accetta l’opera e conosce i vizi che la caratterizzano, tranne nel caso in cui l’appaltatore non abbia nascosto i difetti in mala fede.

Una volta presa visione dei difetti nell’opera consegnata, il committente può esigere la riparazione a spese dell’appaltatore, chiedere uno sconto sul prezzo pattuito o pretendere la risoluzione del contratto.

Al contrario, se il committente conosce i vizi, ma chiede solo un risarcimento, dovrà comunque pagare all’appaltatore il corrispettivo previsto.

La pronuncia della Cassazione si è basata sul ricorso con cui un committente aveva chiesto il risarcimento dei danni riscontrati a seguito di alcuni lavori. Il committente, però, non aveva pagato l’appaltatore né gli aveva chiesto di eliminare i difetti dall’opera.

La Cassazione ha concluso che la domanda di risarcimento dei danni è autonoma rispetto a quella per l’eliminazione dei difetti. Presentando richiesta di risarcimento, il committente non può quindi ottenere l’eliminazione dei danni e deve comunque pagare la prestazione.


AmministrazioniAC - AffinatiConsultingITALIA

domenica 6 ottobre 2013

L'affitto viene meno se è stato nascosto un vizio essenziale (Cass.19806/13)

Il proprietario che ha nascosto i difetti dell'abitazione affittata non può appellarsi alle clausole contrattuali di gradimento per limitare la propria responsabilità. È il principio applicato di recente dalla Cassazione (sentenza n. 19806/2013), secondo cui il locatore risponde dell'occlusione dello scarico dell'inutilizzabilità dei servizi igienici se al momento della stipula del contratto nulla è stato detto al conduttore. Il vizio occultato, infatti, è a carico del proprietario e le clausole di gradimento del bene – contenute nel contratto – non operano se i difetti lo rendono inidoneo all'uso.
La Cassazione ha respinto il ricorso presentato dal locatore contro alla pronuncia dei giudici d'appello, che avevano accolto la domanda di risoluzione per inadempimento proposta dal conduttore. I giudici di merito, infatti, avevano ritenuto provato – sia documentalmente sia in base alle prove orali – che nella fase di stipula del contratto la parte locatrice aveva fornito al conduttore una rappresentazione delle caratteristiche e condizioni dell'immobile diversa da quella reale. In particolare, era stata mostrata al futuro inquilino una planimetria che indicava lo scarico del wc dotato di collegamento alla pubblica fognatura e un'altezza del locale conforme a quella richiesta dal regolamento comunale.
Di conseguenza, dell'occlusione dello scarico e dei servizi igienici inutilizzabili risponde il locatore. A meno che la situazione non sia stata portata a conoscenza del conduttore al momento della firma dell'accordo. Precisano inoltre i giudici che «le clausole contrattuali di gradimento del bene e di accollo da parte del conduttore di ogni onere di adattamento del bene all'uso pattuito non possono operare quando i vizi definitivamente riscontrati nel bene oggetto di locazione sono tali da renderlo inidoneo a quell'uso. Il patto con cui si limita o si esclude la responsabilità del locatore per i vizi della cosa non ha effetto se il locatore li ha in mala fede taciuti al conduttore o se i vizi sono tali da rendere impossibile il godimento della cosa».
Sul punto resta valido quanto affermato dalla Cassazione nel 2000, con la sentenza 14342. Infatti, la disposizione dell'articolo 1579 del Codice civile, che sancisce l'inefficacia del patto di esonero della responsabilità del locatore per i vizi che rendano impossibile il godimento della cosa locata, si applica anche ai difetti conosciuti o riconoscibili dal conduttore, dal momento che «la conoscibilità o meno dei vizi assume rilevanza, ai sensi del precedente articolo 1578 del Codice civile – escludendo la risoluzione del contratto di locazione o la riduzione del corrispettivo – nei soli casi in cui i vizi stessi incidano solo parzialmente sul godimento della cosa locata, senza escluderlo, onde possa risultare ragionevole la preventiva e concorde valutazione delle parti di addossare al conduttore i rischi ad essi relativi».

domenica 29 settembre 2013

Se il mutuo è sospeso il debito residuo non genera interessi

La possibilità di sospendere il pagamento delle rate di un mutuo a seguito di eventi negativi è prevista da due fonti normative:
il cosiddetto Fondo di solidarietà, di emanazione legislativa, che prevede l'intervento della Consap (per i casi di morte, handicap grave o condizione di non autosufficienza, perdita del posto di lavoro a tempo determinato o indeterminato o dei rapporti lavorativi);
- il cosiddetto piano famiglie, frutto di un accordo tra l'Abi e le associazioni dei consumatori, rinnovato nel 2013 per la quinta volta consecutiva (per i casi di morte, perdita dell'occupazione, insorgenza di condizioni di non autosufficienza, ingresso in cassa integrazione).
A queste si aggiunge poi la sospensione disposta per legge come è accaduto a seguito del grave sisma che ha colpito l'Abruzzo il 6 aprile 2009 (articolo 5, comma 3, Dl 39/2009, convertito dalla legge 77/2009).
In tutti questi casi si pone il problema delle modalità di calcolo degli interessi sulle rate sospese quando è prevista la sospensione integrale delle stesse, e in particolare se tali interessi debbano essere calcolati sulle rate il cui pagamento è stato sospeso ovvero sull'intero capitale residuo.
Al riguardo l'Arbitro bancario finanziario (Abf) ha avuto modo di affermare di recente che gli interessi devono calcolarsi sull'importo delle sole rate venute a scadenza nel periodo di sospensione e non sul l'intero debito residuo. E questo per lo stesso fondamento di tali interessi "di sospensione", aggiuntivi rispetto a quelli contrattuali, che risultavano già ab origine calcolati nel l'importo complessivo delle rate in cui la restituzione del mutuo era stata suddivisa secondo il piano di ammortamento. Le rate sospese, infatti, sono collocate in coda al piano di ammortamento, che viene così a prolungarsi per una durata corrispondente. Peraltro, l'interesse di sospensione dovrà essere calcolato sulla sola quota capitale delle rate interessate (Coll. Roma, dec. n. 3257/2013).
Ma l'Abf ancor più recentemente è pervenuto a dichiarare anche la nullità di una clausola del contratto di sospensione sulla base della verifica della causa concreta, sussistendo nel caso deciso una evidente sproporzione tra l'importo delle rate sospese e quello degli interessi richiesti dalla banca per la sospensione; ciò che ha condotto a ritenere la nullità della clausola, risultando gravoso e modificativodel l'equilibrio complessivo del contratto che una sospensione delle rate finalizzata ad alleggerire la situazione di crisi nella quale versava il mutuatario potesse condurre ad applicare gli interessi secondo un criterio privo di giustificazione e tale da risultare in concreto palesemente abnorme (Coll. Roma, dec. n. 4574/013).
Esistono due possibilità per chiedere e ottenere la sospensione del pagamento delle rate di un mutuo a seguito di eventi negativi. Esse sono:

1. il cosiddetto Fondo di solidarietà, previsto dalla legge, che prevede l’intervento della Consap (per i casi di morte, handicap grave o condizione di non autosufficienza, perdita del posto di lavoro a tempo determinato o indeterminato o dei rapporti lavorativi);

2. il cosiddetto Piano famiglie, frutto di un accordo tra l’Abi e le associazioni dei consumatori, rinnovato nel 2013 per la quinta volta consecutiva (per i casi di morte, perdita dell’occupazione, insorgenza di condizioni di non autosufficienza, ingresso in cassa integrazione).

In tali casi, il beneficiario è tenuto a versare anche gli interessi “di sospensione”, aggiuntivi e ulteriori rispetto a quelli contrattuali pattuiti alla stipula del prestito.

Le rate sospese sono collocate in coda al piano di ammortamento, che viene così a prolungarsi per una durata corrispondente.

Ebbene, come si calcolano gli interessi sulle rate sospese? Si potrebbe infatti porre il dubbio se essi vadano calcolati sulle rate il cui pagamento è stato sospeso oppure sull’intero capitale residuo.

Al riguardo l’Arbitro bancario finanziario (Abf) ha chiarito, di recente, che gli interessi devono calcolarsi sull’importo delle sole rate venute a scadenza nel periodo di sospensione e non sul l’intero debito residuo. Questo vuol dire che il debito residuo non produce interessi.

Inoltre, precisa l’Abf, tali interessi di sospensione non possono arrivare ad essere abnormi, sino a creare una evidente sproporzione tra l’importo delle rate sospese e quello degli interessi richiesti dalla banca per la sospensione. In tali casi, si avrebbe la nullità della una clausola del contratto di sospensione. Sarebbe infatti illogico che una sospensione delle rate, finalizzata ad alleggerire la situazione di crisi nella quale versava il mutuatario, possa portare a un calcolo di intessi troppo gravoso.
- See more at: http://www.laleggepertutti.it/36489_mutuo-sospeso-no-interessi-sul-debito-residuo#sthash.BtpJ2RBl.dpuf
Esistono due possibilità per chiedere e ottenere la sospensione del pagamento delle rate di un mutuo a seguito di eventi negativi. Esse sono:

1. il cosiddetto Fondo di solidarietà, previsto dalla legge, che prevede l’intervento della Consap (per i casi di morte, handicap grave o condizione di non autosufficienza, perdita del posto di lavoro a tempo determinato o indeterminato o dei rapporti lavorativi);

2. il cosiddetto Piano famiglie, frutto di un accordo tra l’Abi e le associazioni dei consumatori, rinnovato nel 2013 per la quinta volta consecutiva (per i casi di morte, perdita dell’occupazione, insorgenza di condizioni di non autosufficienza, ingresso in cassa integrazione).

In tali casi, il beneficiario è tenuto a versare anche gli interessi “di sospensione”, aggiuntivi e ulteriori rispetto a quelli contrattuali pattuiti alla stipula del prestito.

Le rate sospese sono collocate in coda al piano di ammortamento, che viene così a prolungarsi per una durata corrispondente.

Ebbene, come si calcolano gli interessi sulle rate sospese? Si potrebbe infatti porre il dubbio se essi vadano calcolati sulle rate il cui pagamento è stato sospeso oppure sull’intero capitale residuo.

Al riguardo l’Arbitro bancario finanziario (Abf) ha chiarito, di recente, che gli interessi devono calcolarsi sull’importo delle sole rate venute a scadenza nel periodo di sospensione e non sul l’intero debito residuo. Questo vuol dire che il debito residuo non produce interessi.

Inoltre, precisa l’Abf, tali interessi di sospensione non possono arrivare ad essere abnormi, sino a creare una evidente sproporzione tra l’importo delle rate sospese e quello degli interessi richiesti dalla banca per la sospensione. In tali casi, si avrebbe la nullità della una clausola del contratto di sospensione. Sarebbe infatti illogico che una sospensione delle rate, finalizzata ad alleggerire la situazione di crisi nella quale versava il mutuatario, possa portare a un calcolo di intessi troppo gravoso.
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lunedì 23 settembre 2013

Impianto Termico ed ecobonus

Ora che il  Decreto Legge 63/2013 è stato definitivamente convertito in legge (90/2013), portando dei nuovi limiti al suo piano di applicabilità, soprattutto per quanto riguarda la tipologia di opere che beneficieranno della detrazione del 65%; ad essere rivisti anche i tempi dell'agevolazione, che prevede validi i bonifici giunti entro il 31 dicembre 2013, fatta eccezione per i condomìni che in certi casi avranno tempo fino al 30 giugno 2014.
Queste le quattro categorie principali per il rinnovamento energetico che saranno oggetto degli incentivi con i relativi limiti di spesa e di detrazione fiscale:
  • isolamento termico con sostituzione degli infissi, coibentazione di coperture e pareti. E' stata determinata una spesa massima di 92.307,69 euro, con detraibilità massima di 60mila euro
  • sostituzione di vecchie caldaie con adeguati impianti a risparmio energetico. Vengono considerate anche le sostituzioni con pompe di calore o impianti geotermici a bassa entalpia, oltre alla sostituzione di vecchi scaldabagni elettrici con pompe di calore. In questo caso verrà applicata una detrazione massima di 30mila euro e una soglia massima di spesa di 46.153,84 euro
  • riqualificazione globale dell'edificio sotto l'aspetto energetico. La soglia massima di detraibilità è fissata in 100mila euro, per una spesa massima di 153.846,15 euro
  • installazione di pannelli solari termici. Anche in questo caso la detraibilità è fissata a 60mila euro con una spesa massima di 92.307,69 euro
Cosa succede, invece, per il bonus del 50% sulle opere volte alla ristrutturazione edilizia? Qui resta invariato ciò che era già stato confermato, ovvero la soglia di spesa massima di 96mila euro e una detrazione massima di 48mila euro. Da ricordare che nel caso di interventi su più fronti, per esempio intervento di risparmio energetico abbinato ad opere edilizie di riqualificazione, il contribuente può beneficiare di entrambe le detrazioni. Nel caso, invece, di più interventi che prevedono la detrazione del 65% (sostituzione infissi e sostituzione caldaia), le detrazioni verranno sommate.

lunedì 16 settembre 2013

legge 98/2013 Immobili

L'art.30 modifica in più punti il DPR 380/2001 Testo Unico dell'Edilizia. Di seguito ne delineo i principali.
  • Le Regioni possono modificare le distanze tra edifici e gli standard del DM 1444/1968. Il comma 1 introduce nel TUE l'art. 2 bis che consente alle Regioni, di fare leggi di deroga al DM 2.4.1968 n.1444 "Limiti inderogabili di densità edilizia, altezza, distanza tra i fabbricati….". La misura appare foriera di rischi per l'assetto dei centri urbani, visto che le Regioni possono operare senza limiti, e senza alcuna omogeneità tra loro. Va anche considerato che il DM 1444/1968 è un caposaldo normativo perché costituisce la principale norma nazionale per la pianificazione urbanistica ed un riferimento unificante a livello nazionale in un campo che da tempo è di prevalente competenza regionale. In ogni caso lo stesso DM con l'art.9 già consente distanze tra edifici inferiori, ma solo nell'ambito di piani attuativi del PRG.
  • SCIA per demolizione-ricostruzione con modifiche alla sagoma. Il comma 1 modifica l'art.3 c.1 d) del TUE, stabilendo che le demolizioni-ricostruzioni con modifiche alla sagoma dell'edificio, ma con volume inalterato, rientrano nella ristrutturazione leggera e pertanto non richiedono più il permesso di costruire: basta presentare la SCIA. A mio avviso, su questo punto occorrerebbe che il Ministero chiarisca ufficialmente che nel Testo Unico dell'Edilizia per "volume" si intende non la forma dell'edificio, ma la quantità di metri cubi della costruzione. Infatti il significato della parola "volume" è anche "spazio limitato da superficie chiusa", cioè forma. In tale accezione sarebbe inutile aver eliminato il rispetto della sagoma, perché la sagoma determina il volume e pertanto resterebbe l'obbligo di mantenere sia la cubatura che la forma dell'edificio. L'eliminazione del rispetto della sagoma potrebbe significare solo che non occorrerebbe rispettare i cornicioni, i marcapiani, le modanature delle finestre, i porticati e le altane. Pertanto può succedere che in qualche Comune l'ufficio tecnico ritenga che la forma volumetrica dell'edificio non debba essere modificata, se si intende applicare la SCIA.
    Continuando ad illustrare la norma, è da sottolineare la novità che essa si applica anche al caso di edifici crollati per sisma, sempre che sia possibile dimostrare la consistenza dell'edificio. Si applica inoltre alle varianti al permesso di costruire. Resta l'obbligo di rispetto della sagoma nel caso di edifici vincolati come bene culturale. La liberalizzazione si applica anche nei centri storici ma, per limitare il rischio di brutture, i Comuni possono delimitare all'interno del centro storico zone di maggiore pregio, nelle quali le demolizioni-ricostruzioni senza rispetto della sagoma richiedono comunque il permesso di costruire. Tali delibere devono essere assunte entro il 30 giugno 2014. In caso di inadempienza subentra la Regione ed eventualmente il Ministero delle infrastrutture, per nominare un commissario ad acta che dovrà assumere la delibera. In mancanza della delibera non si può ricostruire con la SCIA. Invece, nelle aree del centro storico che non saranno perimetrate, le demolizioni-ricostruzioni senza rispetto della sagoma, ma con rispetto del volume, potranno essere realizzate con semplice SCIA. Occorrerà comunque attendere 30 giorni dopo la consegna della SCIA per iniziare i lavori. Ma la norma ribadisce che se l'edificio è vincolato occorrerà il permesso di costruire. A parere di chi scrive, la norma ha un valore positivo perché facilita il rinnovo dell'edilizia esistente e così riduce il consumo di suolo inedificato. Inoltre lascia maggiore libertà ai progettisti nelle demolizioni-ricostruzioni con mantenimento del volume esistente, e consentirà perciò l'inserimento di architetture moderne nella città otto-novecentesca. Il che appare utile a tutti coloro che pensano che la città è un organismo vivente che non si può ingessare, pena la sua decadenza. In ogni caso la maggiore libertà è necessaria per consentire la modernizzazione degli edifici, il contenimento dei consumi energetici e la risposta dell'edificio a nuove esigenze funzionali. Ciò vale anche per i centri storici, per i quali vanno ovviamente salvaguardati gli edifici vincolati e le aree di maggiore compattezza storica, ma va lasciata la possibilità di modificare singoli edifici o gruppi di edifici, che pur essendo interni al centro storico, non hanno pregio storico-artistico e perciò non sono vincolati. Pertanto occorre augurarsi che i Comuni si comporteranno in modo equilibrato, evitando di stabilire che tutto il centro storico è zona pregiata, ma stabilendo congrue aree nelle quali, mantenendo la volumetria, sia possibile modificare la sagoma dell'edificio, nel rispetto di tutte le norme sulle distanze, sull'igiene edilizia ecc. Come è noto la progettazione degli interventi su edifici vincolati è competenza esclusiva degli architetti (ma gli ingegneri possono partecipare per la parte tecnica). Ritengo che all'interno dei centri storici, a garanzia della qualità dell'architettura e dell'armonia con l'edilizia circostante, dovrebbe essere statuito per legge che gli architetti hanno la competenza esclusiva anche per gli edifici non vincolati.
  • CIL non più riservata ai liberi professionisti. Lo stesso comma 1 modifica l'art.6 c.4 per cancellare che, nella Comunicazione d'Inizio Lavori, il progettista non deve essere un dipendente del committente. Pertanto ora i progetti possono essere firmati anche dai dipendenti dell'impresa o dell'ente committente. La disposizione cancella una norma che stabiliva una posizione di indipendenza del progettista nei confronti del committente. Una posizioni di terzietà del progettista, in quanto equidistante tra gli interessi del committente e l'interesse della collettività rappresentato dal rispetto delle regole. E' stata sacrificata, in nome della semplificazione, una garanzia per il rispetto delle norme. Il CNAPPC ha ignorato il problema (forse non si è accorto della norma)!
  • Permesso di costruire: silenzio-assenso e silenzio-rigetto. Lo stesso art.30 comma 1 sostituisce i commi 8 e 9 dell'art.20 del TUE stabilendo che se il Comune non ha opposto motivato diniego, si intende formato il silenzio-assenso. Sono fatti salvi i casi di presenza di vincoli ambientali, paesaggisti o culturali: in caso di diniego dell'atto di assenso, decorso il termine, la domanda di rilascio del permesso di costruire si intende respinta e il responsabile del procedimento trasmette al richiedente il provvedimento di diniego. Ciò consente all'interessato di impugnare il provvedimento.
  • SCIA e CIL: lo sportello unico acquisisce preliminarmente gli atti di assenso. Viene aggiunto nel TUE l'art.23-bis che dà all'interessato la possibilità di chiedere allo sportello unico, prima della presentazione della SCIA, di provvedere all'acquisizione degli atti di assenso di Soprintendenza ecc. necessari per eseguire i lavori. Nel caso l'interessato presenti le richieste di assenso contestualmente alla presentazione della SCIA, può dare inizio ai lavori solo dopo l'acquisizione degli atti di assenso.
  • Agibilità per parti di edifici. Viene modificato l'art.24.4 del TUE per stabilire che il certificato di agibilità può essere richiesto anche per singoli edifici o singole porzioni della costruzione, o per singole unità immobiliari, purché funzionalmente autonomi, qualora siano state realizzate e collaudate le opere di urbanizzazione primaria relative all'intero intervento edilizio e siano state completate e collaudate le parti strutturali connesse, nonché collaudati e certificati gli impianti relativi alle parti comuni; all'art.25 TUE viene aggiunto il comma 5 bis che stabilisce che se l'interessato non presenta la domanda del certificato di agibilità, fermo restando la presentazione del certificato di collaudo statico, del certificato regionale per le zone sismiche e della dichiarazione sulle barriere architettoniche, può presentare la dichiarazione del Direttore dei lavori o di un professionista abilitato, con la quale si attesta la conformità dell'opera al progetto e la sua agibilità, corredata della richiesta di accatastamento che lo sportello unico trasmette al Catasto, e della dichiarazione dell'impresa sulla conformità degli impianti relativa a sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico.
  • Inizio e fine dei lavori. L'art.30 comma 3 proroga, per i permessi già rilasciati, i termini di cui all'art.15 del TUE portando da uno a tre anni il limite per l'inizio dei lavori e da tre a cinque anni il termine per l'ultimazione. La proroga si applica sia al permesso di costruire che alla SCIA e alla DIA. Il comma 3bis proroga di tre anni il termine di validità nonché i termini di inizio e fine lavori nell'ambito delle convenzioni di lottizzazione stipulate entro l'anno 2012.
  • Esercizi commerciali (articolo 30, comma 5-ter). Regioni ed enti locali non possono prevedere aree interdette agli esercizi commerciali, ovvero limitazioni ad aree dove possano insediarsi attività produttive e commerciali.
 
Alcuni provvedimenti relativi ad altri articoli della legge 98/2013.
  • Edilizia scolastica. L'art. 18, commi 8 e 8-ter stabilisce che le risorse messe a disposizione dall'Inail - fino a 100 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2014 al 2016 - vengono destinate a un piano di interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici e di costruzione di nuovi edifici scolastici.
  • Piano 6000 campanili. L'art.18.9 stanzia fondi per mini opere in comuni con meno di 5000 abitanti.
  • Piano città. L'art. 9.3 bis rende possibile utilizzare fondi europei per finanziare il piano città.
  • Lavori pubblici. L'art.26.2 semplifica, fino a fine 2015, i requisiti per i progettisti che partecipano alle gare. L'art.26 ter stabilisce, fino a fine 2014, l'obbligo di anticipare all'impresa appaltatrice il 10% dell'importo dei lavori. Esclusi gli appalti di servizi.
  • DURC. È trattato nell'art.31
  • Sicurezza cantieri. L'art.32 modifica il DLgs 81/2008 e l'art.131.2 DLgs 163/2006, disponendo una serie di semplificazioni. Tra l'altro, stabilisce che mediante decreto ministeriale, entro 60 giorni, verranno definiti modelli semplificati per la redazione del piano operativo di sicurezza, del piano di sicurezza e di coordinamento e del fascicolo dell'opera. La semplificazione del piano di sicurezza è del tutto necessaria per evitare che il piano diventi un elaborato troppo complesso e voluminoso, difficilmente leggibile da parte di coloro che sul cantiere devono applicarlo. Inoltre, sono dell'avviso che occorra superare la calcolazione analitica dei costi della sicurezza, che non riduce il rischio di incidenti e complica la progettazione del piano. Tra l'altro i costi della sicurezza nell'appalto non vengono calcolati separatamente negli altri paesi UE, eccetto forse la Spagna.
  • Antincendi. L'art.38 tratta della presentazione dell'istanza preliminare di cui al DPR 151/2011. Semplifica gli adempimenti di prevenzione incendi per i soggetti responsabili delle attività sottoposte alla disciplina antincendi solo in seguito all'emanazione del DPR 151/2011.
  • Beni culturali. L'art.39 stabilisce che la validità dell'autorizzazione paesaggistica è prorogata fino alla fine dei lavori e che è ridotto da 90 a 45 giorni il tempo per l'emissione del parere del Sovrintendente, decorso il quale decide il Comune.
Case mobili nei camping, senza permesso di costruire. L'art.41.4 apporta una nuova modifica al TUE art. 3.1, e5), per escludere dall'obbligo del permesso di costruire le installazioni posizionate, con temporaneo ancoraggio al suolo, all'interno di strutture ricettive all'aperto per la sosta ed il soggiorno di turisti, a condizione che la loro collocazione sia effettuata in conformità alle leggi regionali. Si applica ai camping, spesso in aree di pregio paesaggistico. Al posto delle tende, vedremo case mobili, che già vengono prodotte dall'industria, fissate al suolo "temporaneamente". Nuovo pericolo per l'ambiente, anche perché chi interverrà per evitare che le nuove costruzioni con "temporaneo ancoraggio al suolo" diventino definitive

Legge 98/2013 il testo ufficiale

Si allega il link alla Gazzetta Ufficiale

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"Decreto del Fare" in Condominio

La mediazione ritorna in condominio e la procedura speciale, in pratica mai entrata in vigore, ora è impiegabile; infatti nelle votazioni finali della legge 220/2012, Camera e Senato decisero di non modificare il testo già votato per scongiurare che la fine della legislatura facesse fallire la legge. In questo modo, nonostante pochi giorni prima la Corte costituzionale avesse già eliminato la mediazione obbligatoria, venne  lasciato stare il nuovo articolo 71 quater delle disposizioni di attuazione del Codice civile, che regolavano la questione a livello condominiale.
Adesso il decreto legge “del fare”, 69/2013, ha inserito nuovamente la mediazione obbligatoria come condizione di procedibilità anche nelle cause condominiali, come quelle sulle parti comuni, sulle morosità dei condomini sul regolamento contrattuale, escludendo invece quelle di vicinato che siano concernenti solo ai rapporti privati.
Si può riscontrare che le due norme si sovrappongono solamente per la disciplina di competenza per territorio, per la quale mostrano la medesima soluzione, imponendo di presentare l’istanza presso un organismo abilitato e nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. A norma dell’articolo 23 del Codice di procedura civile, la competenza risulta stabilita laddove si trova il condominio, per il resto l’articolo 71 quater riguarda argomenti specifici dell’ambito condominiale e non trattati dalla legge generale sulla mediazione nelle controversie civili.
La riforma del Condominio è volta a circoscrivere i poteri di rappresentanza dell’amministratore e di permettere un frequente intervento dell’assemblea ed ha chiarito che sono da considerarsi controversie nell’ambito del condominio quelle provenienti da violazione o errata applicazione degli articoli da 1117 a 1139 del Codice civile o da 61 a 72 delle disposizioni per l’attuazione.
E’ stato chiarito che l’amministratore è legittimato a partecipare al procedimento, ma solo previa autorizzazione di apposita delibera assembleare d assumere con la maggioranza di cui all’articolo 1136, secondo comma, del Codice; se il termine per comparire davanti al mediatore non permette all’assemblea di pronunciarsi deve essere disposta una proroga proporzionata, su istanza del condominio. La proposta di mediazione, inoltre, deve essere approvata dall’assemblea con la maggioranza di cui all’articolo 1136, secondo comma, del Codice. Se non si raggiunge questa maggioranza, la proposta si deve ritenere non accettata.
Per assicurare il funzionamento concreto dell’assemblea è richiesto al mediatore di stabilire il termine per l’esame della proposta conciliatoria, considerando la necessità per l’amministratore di procurarsi la delibera assembleare. Nessuno degli elementi appena menzionati è in contrasto formale con la nuova mediazione obbligatoria. La legge di conversione del Dl 69/2013 impone l’assistenza dell’avvocato in tutte le fasi del procedimento e introduce un regime di gratuità per il caso di mancato accordo e per chi è ammesso al gratuito patrocinio.
Negli altri casi saranno validi i compensi  minimi e massimi fissati dal decreto governativo. Ad ogni modo, alcune preoccupazioni rimangono; infatti dato che le nuove regole stabilivano un primo incontro esplorativo e almeno un altro incontro, in ambito condominiale si rischia che il numero minimo di incontri arrivi a tre, laddove si debba permettere all’assemblea di pronunciarsi. In pratica, c’è il rischio di stabilire un un indesiderabile aumento dei costi.
Sarà necessario, quindi, che tutti, in primo luogo gli organismi di mediazione, si preoccupino di dotarsi di schermi di funzionamento idonei ad evitare il pericolo.

"Decreto del fare" in Edilizia

Dal 21 agosto 2013 è in vigore la legge 9 agosto 2013, n. 98 di conversione del decreto “del Fare” (Decreto Legge del 21 giugno 2013, n. 69).
Con la legge di conversione sono state introdotte alcune modifiche e integrazioni all’art. 30 - relativo alle misure di semplificazione in materia edilizia - che accolgono molte delle proposte dell’Associazione dei costruttori edili.
IL COMMENTO ANCE
Di seguito pubblichiamo il commento dell'Ance sulle norme della legge relative alle semplificazioni in materia di ristrutturazione edilizia (articolo 30, comma 1, lett. a), c), e)).
Durante l’iter di conversione del decreto legge l’Ance ha svolto un’intensa azione a livello sia politico che istituzionale che ha portato alla conferma delle seguenti previsioni normative: A. eliminazione del vincolo della sagoma come prescrizione necessaria ai fini dell’inquadramento degli interventi di demolizione e ricostruzione nella categoria edilizia della ristrutturazione edilizia; B. previsione nell’ambito della categoria della ristrutturazione edilizia anche degli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti, purché si possa accertarne la preesistente consistenza; C. salvo alcuni casi, estensione della Scia agli interventi di ristrutturazione edilizia nonché delle cd. “varianti minori” ai permessi di costruire in caso di modifica della sagoma.
Le suddette disposizioni non si applicano agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del Dlgs 42/2004.
La legge di conversione ha, inoltre, introdotto un’ulteriore limitazione con riferimento agli interventi ricadenti nei centri storici. In particolare, nel nuovo articolo 23 bis del Dpr 380/2001, come introdotto dal dall’art. 30, comma 1, lett. f del decreto legge 69/2013, poi modificato dalla legge di conversione, è stato specificato che all’interno delle zone A di cui al Dm 1444/68 e in quelle equipollenti, i Comuni dovranno entro il 30 giugno 2014 individuare, con propria deliberazione, le aree nelle quali non è consentito eseguire con SCIA un intervento di demolizione e ricostruzione, o presentare una variante al permesso di costruire, che comportino modifica della sagoma. Decorso tale termine e in mancanza di un intervento sostitutivo della Regione la norma prevede la nomina di un Commissario ad acta nominato dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Nelle aree in cui sarà consentito eseguire i lavori con SCIA gli stessi non potranno iniziare immediatamente, ma decorsi 30 giorni.
A seguito delle modifiche apportate in sede di conversione la possibilità di eseguire un intervento di demolizione e ricostruzione, o presentare una variante al permesso di costruire con SCIA che comportino modifiche della sagoma è, quindi, esclusa per gli immobili:
- soggetti a vincolo ai sensi del Dlgs 42/2004 (in questo caso è necessario sempre il permesso di costruire o la Dia in alternativa);
- ricadenti nella zona A del DM 1444/68 o in quelle equipollenti, fino a quando il comune non abbia assunto il provvedimento di individuazione (termine massimo 30/06/2014) o al successivo intervento sostitutivo.
Si richiama l'attenzione sul fatto che non è stato previsto né un termine, né le modalità per l'esercizio di tale potere sostitutivo il cui esercizio potrebbe essere oggetto anche di istanza da parte del soggetto interessato.
Demolizione e fedele ricostruzione senza vincolo della sagoma (comma 1, lett. a)
L’art. 30, comma 1, lett. a), accogliendo la proposta Ance, rivede la definizione di ristrutturazione edilizia contenuta nel Testo Unico Edilizia eliminando all’art. 3, comma 1, lett. d) del Dpr 380/2001 il riferimento alla “sagoma”.
Tali interventi anche senza il rispetto della sagoma originaria (intesa come conformazione planovolumetrica della costruzione e del suo perimetro considerato in senso verticale e orizzontale) non saranno più inquadrati come nuove costruzioni, ma rientreranno nell’alveo delle ristrutturazioni edilizie salvo, come detto si tratti di interventi:
- su immobili soggetti a vincolo ai sensi del D.lgs. 42/2004. In tali casi la demolizione e ricostruzione con modifica della sagoma sarà considerata sempre nuova costruzione e soggetta a permesso di costruire o Dia in alternativa;
- su immobili ricadenti nei centri storici. In tali casi saranno i Comuni che entro il 30/06/2014 dovranno decidere in quali aree non sarà consentito eseguire l’intervento di demolizione e ricostruzione con modifica della sagoma con Scia.
Al fine di comprendere la portata della norma si ritiene necessario riassumere brevemente i termini della questione.
Il decreto legge 69/2013, come convertito in Legge 98/2013 dirime, infatti, una delle questioni di maggior dibattito a livello giurisprudenziale e dottrinale la cui soluzione è stata sollecitata in passato dall’Ance.
Il Dpr 380/2001 ricomprende all'interno della "ristrutturazione edilizia" (art. 3, comma 1, lett. d) l'intervento di demolizione e fedele ricostruzione dell'immobile.
Il successivo D.lgs. 301/2002 che ha coordinato il Testo Unico Edilizia con la legge 443/2001 c.d. Legge obiettivo, ha ampliato la nozione di demolizione con successiva ricostruzione, indicando come elementi limitativi unicamente il rispetto della stessa volumetria e sagoma dell'edificio preesistente, mentre sono stati eliminati il rispetto dell'area di sedime e dei materiali originari.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 309/2011, ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 27 della legge della Regione Lombardia 12/2005 nella parte in cui escludeva il rispetto della sagoma nella ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione.
In particolare, la Corte ha ribadito la titolarità dello Stato nell’individuazione delle categorie di intervento in quanto principi fondamentali dato che è in conformità a queste ultime che viene disciplinato il regime dei titoli abilitativi con riguardo al procedimento e agli oneri, nonché agli abusi ed alle relative sanzioni, anche penali.
Gli effetti di tale pronuncia hanno creato molti problemi non solo per gli interventi futuri, ma anche pericolosi vuoti normativi e situazioni di incertezza nei confronti di interventi in corso ed oggetto di legittimi titoli abilitativi edilizi.
Le azioni dell’Ance sono state, pertanto, finalizzate a rimuovere tale ostacolo nella consapevolezza che gli interventi di sostituzione edilizia rappresentano una tipologia di intervento in espansione (vedi anche decreto legge 70/2011) e quindi di importanza vitale per il settore delle costruzioni.
Molteplici sono i riflessi che determina l’inquadramento della demolizione e ricostruzione con modifica della sagoma nell’alveo della ristrutturazione edilizia anziché della nuova costruzione.
Si evidenzia che, come affermato anche dalla giurisprudenza, in caso di ristrutturazione edilizia, anche mediante la demolizione e ricostruzione, ai fini della conformità urbanistica la normativa di riferimento sarà quella vigente all’epoca della realizzazione del manufatto e, non invece, quella sopravvenuta al momento dell’esecuzione dei lavori (Tar Puglia n. 2341/2006; Tar Puglia n. 3210/2004).
Ne consegue che, diversamente da un intervento qualificato di “nuova costruzione”, si potranno mantenere i parametri edilizi e urbanistici (es. distanze, altezze ecc.) esistenti al momento della realizzazione del fabbricato senza necessità di doversi conformare alle successive e mutate discipline urbanistiche.
Ristrutturazione edilizia - interventi di ricostruzione di edifici crollati o demoliti (comma 1, lett. a)
L’art. 30, comma 1, lett. a), aggiunge all’art. 3, comma 1, lett. d) del Testo Unico Edilizia, relativo agli interventi di ristrutturazione edilizia, anche gli “interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”.
La modifica, che accoglie una proposta Ance, definisce in via legislativa un'ulteriore questione dibattuta a livello giurisprudenziale.
La qualificazione come ristrutturazione della demolizione e successiva fedele ricostruzione richiede necessariamente la sussistenza del fabbricato da ristrutturare.
Una struttura identificabile come organismo edilizio del quale rimangano soltanto pochi residui e tracce, la cui opera muraria non consenta, in realtà, la sicura individuazione dei connotati essenziali del manufatto originario e, quindi, la sua fedele ricostruzione, ha portato la giurisprudenza ad essere concorde nel considerare l’immobile un rudere e la relativa ricostruzione come intervento di “nuova costruzione” non equiparabile alla ristrutturazione edilizia (tra le tante Cons. Stato n. 5375/2006), con tutte le conseguenze negative del caso in merito alle disposizioni in tema di distanze, altezze ecc.
In particolare, la demolizione per essere ricondotta alla nuova nozione legislativa di “ristrutturazione edilizia” deve essere contestualizzata temporalmente nell’ambito di un intervento unitario volto nel suo complesso alla conservazione di un edificio che risulti ancora esistente e strutturalmente identificabile al momento dell’inizio dei lavori (Cass. pen. n. 14455/2003).
Con le modifiche al Testo Unico Edilizia previste dal decreto legge 69/2013, come convertito nella Legge 98/2013, gli interventi di ripristino di edifici o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione saranno considerati “ristrutturazione edilizia” purché sia possibile “accertarne la preesistente consistenza”.
Ciò potrà essere dimostrato, ad esempio, con documentazione catastale, tecnica, iconografica al fine di fornire all’amministrazione comunale elementi utili per poter ricavare l’effettiva consistenza del fabbricato (il Consiglio di Stato con la sentenza n. 5791 del 2004 ha stabilito che sulla base delle planimetrie in possesso del Comune era “tecnicamente verificabile” la ricostruzione della volumetria).
Anche in questo caso si specifica che tale modifica non si applica agli interventi su immobili soggetti a vincolo ai sensi del Dlgs 42/2004. In tali casi la fattispecie integrerà la nuova costruzione.
Scia per gli interventi di ristrutturazione edilizia nonché delle varianti minori ai permessi di costruire con modifica sagoma (comma 1, lett. c , e)
Conseguenziali alle modifiche apportate con l’eliminazione della sagoma sono quelle relative al regime dei titoli abilitativi necessari alla realizzazione degli interventi di ristrutturazione edilizia o delle cd. “varianti minori” ai permessi di costruire.
In particolare, viene eliminato il riferimento della sagoma all’art. 10, comma 1 lett. c) e specificato, all’art. 22, comma 2 del Dpr 380/2001, che le varianti ai permessi di costruire sono realizzabili con DIA (ora SCIA) purché non alterino la sagoma dell’immobile “qualora sottoposto a vincolo ai sensi del Dlgs 42/2004”.
Pertanto, gli interventi di ristrutturazione edilizia nonché le cd “varianti minori” ai permessi di costruire ai sensi dell’art. 22, comma 2 Dpr 380/2001 che comportino modifiche della sagoma non saranno più soggette a permesso di costruire o a Dia in alternativa al permesso di costruire, ma a Scia.
Tale semplificazione non sarà applicabile nei casi di interventi su immobili vincolati per i quali sarà sempre necessario il permesso di costruire o in alternativa la Dia

domenica 8 settembre 2013

Legge 90: certificazione energetica


Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 3 agosto 2013 la Legge 90/2013 di conversione con modificazioni del D.L. 63/2013.

In vigore già dal 4 agosto, il provvedimento recepisce la Direttiva 2010/31/Ue, dettando le nuove regole sulla prestazione energetica degli edifici nuovi e di quelli oggetto di notevoli ristrutturazioni, attraverso un aggiornamento del D.Lgs. 192/2005.

Tra le novità più rilevanti c'è l'obbligo per chi vende o affitta un immobile di allegare al contratto l'attestato di prestazione energetica dell'edificio, a pena di nullità.
Sono confermate le proroghe al 31 dicembre 2013 delle detrazioni del 65% per interventi di riqualificazione energetica degli edifici e del 50% per le ristrutturazioni edilizie, con estensione della detrazione 50% all'acquisto di mobili ed elettrodomestici relativi all'unità ristrutturata.

Rispetto al D.L. 63/2013, la Legge di conversione presenta alcune novità e precisazioni, tra cui:
  • anticipo al 30 giugno 2014 (anziché 31 dicembre) del “Piano d'azione” destinato ad aumentare il numero di edifici a energia quasi zero richiesti dalla Direttiva Europea;
  • anticipo al 31 dicembre 2013 (anziché 30 aprile 2014) della messa a punto da parte dei Ministeri competenti dell'elenco di misure finanziarie atte a favorire l'efficienza energetica e la transizione verso gli edifici a energia quasi zero;
  • obbligo di produzione ed affissione entro 180 giorni (anziché 120) dall’entrata in vigore dell'attestato di prestazione energetica da parte degli edifici delle pubbliche amministrazioni superiori a 500 m²;
  • nuova definizione di impianto termico, in cui vengono inclusi anche apparecchi fissi a servizio della singola unità immobiliare, quali stufe e caminetti e dispositivi ad energia radiante, con potenze nominali la cui somma sia uguale o superiore a 5 kW;
  • obbligo di dotare gli edifici di nuova costruzione o oggetto di ristrutturazioni importanti di APE prima del rilascio del Certificato di Agibilità;
  • obbligo di rilascio dell’APE anche in caso di trasferimento di un immobile a titolo gratuito;
  • obbligo di allegare l’APE al contratto di vendita, agli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito o ai nuovi contratti di locazione, pena la nullità degli stessi contratti;
  • nelle more dell'aggiornamento delle specifiche norme, le metodologie di calcolo delle prestazioni energetiche degli edifici sono, oltre alle norme UNI/TS 11300 parti 1, 2, 3 e 4 e Raccomandazione CTI 14/2013, anche la UNI EN 15193 (Prestazione energetica degli edifici - Requisiti energetici per illuminazione)
  • ammessi agli incentivi anche gli interventi finalizzati all’incremento dell’efficienza idrica e gli interventi di installazione di impianti di depurazione delle acque da contaminazione di arsenico di tipo domestico, produttivo e agricolo
  • annullata l’esclusione dagli incentivi delle spese per l’installazione di pompe di calore, impianti geotermici a bassa entalpia e scaldacqua a pompa di calore; quindi anche questi impianti risultano incentivati;
  • i decreti attuativi che definiranno le nuove metodologie di calcolo della prestazione energetica degli edifici dovranno essere emanati entro 180 giorni dall’entrata in vigore della Legge (180 gg. dal 4 agosto 2013).

Tutte le disposizioni si applicano alle Regioni e alle Province autonome che non hanno ancora provveduto al recepimento della direttiva 2010/31/Ue fino all'entrata in vigore della specifica normativa locale.

Il testo completo clicca QUI

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domenica 28 luglio 2013

condomini morosi

Il creditore di un condominio, per ottenere il pagamento, può azionare il titolo esecutivo ottenuto nei confronti del condominio anche contro i singoli proprietari, ma solo in proporzione delle rispettive quote. Lo ha ribadito la Cassazione con la sentenza 4238 del 20 febbraio scorso, che ha applicato il principio fissato dalle Sezioni unite della Corte con la sentenza 9148 del 2008.
Il principio della «responsabilità parziale», tuttavia, sta per essere attenuato dalla legge di riforma del condominio (legge 220/2012). Le nuove disposizioni in vigore dal prossimo 18 giugno, infatti, stabiliscono che i creditori potranno agire anche nei confronti dei condòmini in regola con i pagamenti dopo aver tentato, senza successo, di riscuotere dai condòmini morosi.
Nel caso deciso dalla Cassazione con la sentenza 4238/2013, il titolo esecutivo era costituito da una sentenza di condanna del condominio a pagare la somma di denaro per danni provocati da infiltrazioni nel locale a uso magazzino in comproprietà tra due condomini. Sulla base di quel titolo, dato che il condominio non aveva pagato per intero, uno dei due danneggiati aveva notificato il precetto e il pignoramento per l'intero importo nei confronti dell'altro condomino, come coobbligato (all'epoca la Cassazione a Sezioni unite non aveva ancora pronunciato la sentenza 9148/2008); quest'ultimo, a sua volta, aveva già definito la controversia con il condominio in via transattiva.
Ma il proprietario chiamato a pagare aveva fatto opposizione, precisando che, al massimo, avrebbe potuto rispondere per la somma corrispondente alla propria quota e non per l'intero debito. Il tribunale aveva accolto l'opposizione all'esecuzione, dichiarando che il danneggiato aveva diritto a procedere a esecuzione nei confronti del soggetto ingiunto nei limiti della propria quota.
A questo punto il condomino ingiunto aveva impugnato la sentenza per Cassazione, sostenendo che non avrebbe potuto essere destinatario degli effetti poiché aveva definito il giudizio con transazione, determinando la cessazione della materia del contendere. La Corte ha però precisato che per individuare i soggetti legittimati ad agire e a subire l'esecuzione occorre rifarsi solo al titolo esecutivo; mentre non rileva – contrariamente a quanto sembrava sostenere il condomino ingiunto – che nel giudizio concluso con la sentenza che costituisce titolo esecutivo fossero parti altri soggetti. È quindi corretta, secondo la Cassazione, la decisione del tribunale, che aveva ritenuto validi il precetto e il pignoramento nei confronti del condomino.
La sentenza ha affrontato così il problema della responsabilità solidale o parziale dei condomini per i debiti del condominio. In particolare, la Cassazione ha condiviso la pronuncia del tribunale, che, applicando il principio stabilito dalla Cassazione a Sezioni unite 9148/2008, aveva stabilito che l'importo da ingiungere all'opponente dovesse essere stabilito nei limiti della sua quota. Prima della sentenza 9148/2008, vigeva il principio della responsabilità solidale dei condomini verso i terzi per le obbligazioni assunte dal condominio (e per i debiti del condomino verso il condominio) e la regola della parziarietà nei rapporti interni tra i condomini. In pratica ogni condomino, ligio e preciso nei pagamenti, poteva essere ingiunto a pagare l'intero debito altrui, fermo restando il diritto di agire per farsi rimborsare dai condomini morosi, ma verso ognuno per la sua quota.

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domenica 14 luglio 2013

Locazioni: MOROSITA' Come difendersi



Per evitare quanto più possibile l'instaurazione di procedimenti di sfratto per morosità, i proprietari hanno dovuto ricorrere sempre più spesso a forme di "garanzia".
Clausole da inserire
Per quanto riguarda il puntuale pagamento dei canoni, la prima regola per il locatore è quella di predisporre un "buon" contratto di affitto. In particolare, occorre inserire pattuizioni chiare e tassative circa il pagamento del canone e delle spese accessorie, il numero delle rate, con relativa scadenza, i mezzi di pagamento (assegno, bonifico bancario o contante), il luogo del pagamento, le conseguenze dell'inadempimento dell'inquilino. Il pagamento del corrispettivo e delle spese costituisce infatti una delle obbligazioni principali del conduttore, a norma dell'articolo 1587 del Codice civile.
Circa la scelta del numero delle rate di canoni e spese, occorre distinguere tra locazioni abitative e locazioni cosiddette "a uso diverso". Per le locazioni abitative, disciplinate dalla legge 431/1998, le parti possono liberamente determinare il numero delle rate anticipate (mensili, trimestrali, semestrali eccetera). Per le locazioni commerciali – tuttora vincolate dal più rigido regime imposto dall'articolo 79 della legge 392/1978 – si registrano invece contrasti giurisprudenziali. Secondo la sentenza della Cassazione 25 maggio 1992, n. 6247, «sono valide le clausole di pagamento anticipato del canone annuo di locazione degli immobili urbani per uso non abitativo, soggetti al regime della legge sull'equo canone, non essendo applicabile il divieto dell'articolo 11 di tale legge, che si riferisce esclusivamente al deposito cauzionale». Di segno opposto, Cassazione 10 luglio 1996, n. 6274, secondo cui «nelle locazioni di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo è nulla la clausola che preveda il pagamento anticipato del canone in misura superiore a tre mensilità».
Quanto al mezzo di pagamento, si privilegiano in genere il bonifico bancario – anche online – o l'assegno. Perde "appeal" il contante, posto che per l'articolo 49, comma 1, del Dlgs 231 del 21 novembre 2007, in materia di antiriciclaggio, «è vietato il trasferimento di denaro contante... quando il valore di trasferimento, è complessivamente pari o superiore a 1.000 euro».
Nel contratto deve anche essere inserita una serie di clausole relative all'inadempimento del conduttore all'obbligazione di pagamento. È per esempio opportuna una clausola riproduttiva del contenuto dell'articolo 5 della legge 392/1978, secondo il quale «...il mancato pagamento del canone decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, ovvero il mancato pagamento, nel termine previsto, degli oneri accessori quando l'importo non pagato superi quello di due mensilità del canone, costituisce motivo di risoluzione, ai sensi dell'articolo 1455 del Codice civile».
Per i contratti a canone concordato di cui all'articolo 2, comma 3, della legge 431/1998 e per quelli transitori e per studenti universitari, di cui all'articolo 5 della stessa legge 431/1998, valgono invece i contratti tipo allegati al Dm delle Infrastrutture e dei trasporti 30 dicembre 2002.
Mancato pagamento
Nelle locazioni abitative, il conduttore – secondo la prassi prevalente nelle aule di Tribunale – avrà diritto di chiedere al giudice il cosiddetto "termine di grazia", previsto dall'articolo 55 della legge 392/1978, per sanare la morosità. Secondo parte della giurisprudenza infatti, gli articoli 5 e 55 della legge 392/1978 rimangono tuttora norme in stretta correlazione tra loro, e inderogabili anche nel regime della legge 431/1998.
È comunque pacifico che i richiamati articoli 5 e 55 della legge 392/1978 non operano con riferimento alle locazioni commerciali (si veda Cassazione, 31 maggio 2010, n. 13248). Per queste ultime, è opportuno l'inserimento di una clausola risolutiva espressa, che preveda la risoluzione di diritto del contratto, secondo lo schema dell'articolo 1456 del Codice civile, in caso di morosità del conduttore.
A evitare sorprese, sarebbe anche opportuno uno "screening" sull'inquilino, sul suo lavoro e sul suo patrimonio, per verificarne la solvibilità.
Molti proprietari, invece, anche a causa degli obsoleti modelli contrattuali reperiti in rete, rimangono ancorati alla richiesta del deposito cauzionale, previsto dall'articolo 11 della legge 392/1978 – norma tuttora vigente, anche se derogabile quanto alle locazioni abitative "libere" – per il quale «il deposito cauzionale non può essere superiore a tre mensilità del canone. Esso è produttivo di interessi legali che debbono essere corrisposti al conduttore alla fine di ogni anno». Il deposito cauzionale presenta limiti evidenti, il primo dei quali è la sua modesta entità – tre mensilità del canone – rispetto ai tempi lunghi di un'azione di sfratto (10/12 mesi circa, compresa la fase di esecuzione). Il secondo è il fatto di essere fruttifero di interessi legali, spesso superiori a quelli bancari percepiti dal locatore.
Infine, può anche essere chiesta al conduttore, in aggiunta al deposito cauzionale, una polizza fideiussoria, cioè una fideiussione bancaria o assicurativa
Bancaria o assicurativa:
Nelle locazioni la forma di garanzia più utilizzata è tuttora costituita dal deposito cauzionale, che consiste nella consegna (tramite assegno) di una somma di denaro, in genere pari a tre mensilità del canone di locazione. Al termine della locazione – previa verifica del buono stato dei locali e dell'adempimento delle obbligazioni contenute nel contratto – il locatore riconsegna la somma, con conguaglio degli interessi maturati.
Il limite di tale forma di garanzia  è costituito dall'entità delle somme garantite. Per le locazioni "commerciali", in particolare, l'articolo 11 della legge 392/1978 è norma inderogabile. Si ritiene, invece, che – relativamente ai contratti di locazione disciplinati dalla legge 431/1998 – il deposito cauzionale possa avere entità superiore alle tre mensilità e possa anche essere infruttifero di interessi o fruttifero di interessi bancari. In questo senso, il Tribunale di Modena, 23 luglio 2004.
Il contenuto
In alternativa, il locatore può chiedere al conduttore il rilascio di una polizza fideiussoria, bancaria o assicurativa, per l'eventuale inadempimento dell'inquilino a tutti gli obblighi derivanti dal contratto: mancato versamento dell'affitto o delle spese accessorie, danni all'immobile eccetera. È comunque opportuno convenire che la polizza fideiussoria garantisca un importo pari ad almeno un anno del canone di locazione e delle spese accessorie preventivate
In ogni caso, conviene pretendere che la fideiussione garantisca l'eventuale periodo di rinnovo. Secondo la Cassazione – sentenza 6 novembre 2008, n. 26611 – «la fideiussione instauratasi a garanzia di un rapporto di locazione si estende all'intero periodo di durata del rapporto locatizio, compreso, quindi, quello conseguente alla rinnovazione tacita del contratto di locazione. Nella specie non ricorre un'ipotesi di fideiussione omnibus: e ciò perché, da un lato, non si tratta di obbligazioni future o condizionali, ma di quelle nascenti dal contratto di locazione originariamente concluso, e, dall'altro, perché le obbligazioni sono determinate (o quantomeno determinabili) con riferimento alle parti e all'entità dei canoni locativi, il cui importo è determinato sulla base delle previsioni contrattuali».
Generalmente, il contratto di fideiussione viene consegnato dal conduttore al locatore prima o contestualmente alla stipula del contratto di locazione. Ove questo non sia possibile, può convenirsi che la fideiussione venga consegnata dall'inquilino entro un certo termine, decorso il quale il contratto si risolverà di diritto per inadempimento grave, a norma dell'articolo 1456 del Codice civile.
Quanto alle differenze tra "fideiussione" bancaria e "fideiussione" assicurativa, la prima garantisce l'adempimento del conduttore per tutta la durata del contratto di locazione previo versamento di somme, titoli o altro, che rimangono a tal fine vincolati. La seconda è invece legata al pagamento di un premio annuale o di un premio unico da parte del conduttore, sicché, in caso di inadempimento all'obbligo di versare il premio, la compagnia può recedere dal contratto, facendo venir meno la garanzia.
A prima richiesta
Ancorché l'articolo 1944, comma due, del Codice civile disponga che «...le parti però possono convenire che il fideiussore non sia tenuto a pagare prima della escussione del debitore principale...», nel contratto è opportuno inserire una clausola per la quale il pagamento da parte dell'istituto di credito o della compagnia di assicurazione deve avvenire a prima richiesta del locatore senza preventiva necessità di escussione dell'inquilino, rinunciata preventivamente qualunque eccezione da parte del fideiussore.
Molti proprietari, comunque, si assicurano anche con polizze di tutela legale, che garantiscono quantomeno il rimborso di somme prestabilite, per le spese legali (ripetibili o non) sostenute per il procedimento di sfratto e conseguente azione di rilascio, oltre al procedimento di recupero coattivo dei canoni di locazione e delle spese accessorie.

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