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giovedì 30 giugno 2011

Locazione commerciale: requisito abitabilità Cassazione Sent. 12286/11

La Cassazione (sentenza 12286/2011) si è pronunciata in materia ribadendo che, se mancano (e non siano ottenibili) le autorizzazioni o le concessioni amministrative che condizionano la regolarità dell'immobile sotto il profilo edilizio (in particolare l'abitabilità) e la sua idoneità all'esercizio di attività commerciale, ciò costituisce un grave inadempimento del locatore che giustifica la risoluzione del contratto ai sensi dell'articolo 1578 del Codice civile, a meno che il conduttore fosse a conoscenza della situazione dell'immobile e non l'avesse consapevolmente accettata.

Le eccezioni da parte del conduttore possono riguardare, pertanto, vizi che diminuiscono, in modo apprezzabile, l'idoneità del bene all'uso pattuito, salvo che si tratti di vizi a lui noti o facilmente conoscibili (articolo 1578 del Codice civile). E, invero, il mancato rilascio di tali concessioni relative alla destinazione d'uso di un bene non è di ostacolo di per sé alla valida costituzione del rapporto di locazione purché vi sia stata da parte del conduttore concreta utilizzazione del bene secondo la destinazione d'uso convenuta.

Il locatore è, in ogni caso, responsabile della mancata regolarizzazione urbanistica qualora la destinazione particolare dell'immobile costituisca il contenuto «dell'obbligo specifico dello stesso locatore di garantire il pacifico godimento dell'immobile in rapporto all'uso convenuto». Così in Cass. 14772/2009. In questo caso, però, il conduttore aveva stipulato un contratto di locazione per uso laboratorio odontotecnico, mentre in realtà il bene aveva come destinazione d'uso quella di "magazzino", deducendo poi di non aver potuto utilizzare l'immobile perché, in caso contrario, sarebbe andato incontro a sanzioni amministrative previste dal regolamento comunale di igiene che prevedeva, per lo svolgimento dell'attività artigiana, un'apposita autorizzazione comunale subordinata alla verifica dell'idoneità dei locali. Il proprietario, al contrario, aveva evidenziato che il conduttore non solo era a conoscenza dei problemi inerenti la regolarizzazione sotto il profilo urbanistico sin dalla sottoscrizione del contratto, ma, soprattutto, che egli aveva utilizzato il bene senza dedurre né provare che alcuna lesione era avvenuta al pacifico godimento del bene, per cui il ricorso venne rigettato.

In assenza di tale violazione, ma anche di tali concessioni/autorizzazioni, i giudici di legittimità ritengono irrilevante la circostanza secondo cui il conduttore abbia, in seguito, proposto la domanda di concessione in sanatoria perché – secondo la sentenza 12286/2011 – «la domanda di risoluzione del contratto può essere proposta soltanto dopo che il provvedimento autorizzatorio sia stato definitivamente negato unicamente quando il conduttore sia a conoscenza della situazione dell'immobile alla data della conclusione del contratto o ne abbia accettato il rischio, non dichiarando l'uso al quale intende destinare i locali o manifestando di voler accettare l'immobile nello stato di fatto e di diritto in cui si trova». Qualora il certificato non sia ottenibile, infatti, si ha una situazione grave di inadempimento del locatore a fronte della quale il conduttore può richiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno (Cassazione, sentenza 8409/2006)

domenica 26 giugno 2011

Condominio:beni comuni divisibili? - Cassazione 8092/2011

La Sentenza n. 8092/2011 della Suprema Corte di Cassazione, ricalca il filone relativo alla differenziazione tra gli istituti giuridici della comunione e del condominio. Una differenza che sta alla base delle decisioni in materia di super-condominio e di quelle sul condominio minimo poi sfociate nella sentenza a Sezioni unite n. 1046 del 31 gennaio 2006.

Secondo l'indirizzo ormai uniforme della Cassazione, la differenza sostanziale tra comunione e condominio è da rinvenirsi nel legame funzionale e di materia che lega le parti comuni alle proprietà esclusive e che determina, nel condominio, l'illiceità della divisione. Al contrario, nella comunione vige l'obbligo di divisione, dato che si tratta di un regime transitorio di cui ogni partecipante può chiedere, in ogni momento, lo scioglimento. In particolare, la Cassazione ha evidenziato, soprattutto al riguardo delle ipotesi di super-condominio, come la normativa condominiale si applichi alle situazioni strutturali di accessorietà, come ad esempio strade, impianti fognari, impianti termici comuni a diversi stabili. E non, invece, ai beni suscettibili di godimento soggettivo diretto svincolato da ogni apparenza di destinazione collegata alle unità immobiliari, come ad esempio piscine e campi da tennis: in questi casi si fa riferimento alle regole relative alla comunione semplice.

Nel caso esaminato dalla sentenza 8092/2011, l'assemblea di condominio aveva modificato l'immobile del portiere – trasformandolo in autorimessa – e un condomino se ne era aggiudicato l'acquisto. In un secondo tempo, però, una parte dei condomini aveva rifiutato il trasferimento della propria quota di proprietà all'acquirente. I giudici di merito avevano escluso che il condomino potesse, validamente, richiedere il trasferimento di singole quote di alcuni degli altri condomini, essendo necessario il trasferimento dell'intero bene a seguito di unanime decisione di tutti i comproprietari.

La Suprema corte, invece, ha cassato la decisione sul presupposto che, una volta cessato il collegamento funzionale tra unità immobiliari e la ex portineria trasformata in autorimessa (che quindi non "serve" più tutto lo stabile) verrebbe meno la condominialità e, pertanto, l'indivisibilità del bene: a quel punto si tratterebbe di una semplice comunione, e quindi le singole quote sarebbero pienamente commerciabili.

La sentenza, peraltro, non chiarisce se sia possibile, attraverso una delibera assembleare, modificare radicalmente la destinazione di una parte comune tanto da incidere sulla sua natura condominiale, ma la trattazione non è avvenuta in ragione del carattere del giudizio di Cassazione, che può intervenire solo su capi dibattuti in sede di merito ed espressamente impugnati in sede di legittimità. Questa possibilità, peraltro, viene riconosciuta dal disegno di legge di riforma, che all'articolo 1117-ter del Codice civile, che cosnente «la sostituzione delle parti comuni, ovvero la modificazione della loro destinazione d'uso» con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell'edificio.

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lunedì 20 giugno 2011

Fotovoltaico ed Eolico non sfuggono alla rendita

Gli impianti fotovoltaici ed eolici devono essere accatastati nella categoria D/1, «opifici», con attribuzione di rendita. Una scelta che fa scattare l'obbligo di assolvere l'imposta comunale sugli immobili e che discende dalle prese di posizione dell'agenzia del Territorio.

Con la risoluzione n. 3/T del 6 novembre 2008, il Territorio ha qualificato come «unità immobiliari» i moduli fotovoltaici assimilandoli alle turbine.Pertanto, la costruzione sul tetto o a terra di un impianto solare fotovoltaico comporta anche l'obbligo dell'accatastamento. In particolare, i soggetti che costruiscono la "centrale solare" sui tetti o sulle coperture degli edifici devono in primo luogo accatastare il lastrico solare (cioè l'area di sedime del futuro impianto) alla quale viene attribuita rendita pari a zero.

Dopodiché, quando l'impianto è realizzato, viene iscritto nel catasto nella categoria D/1 con rendita pari – in linea di massima – a 2 euro per metro quadrato. Per coloro che realizzano impianti a terra, invece, la superficie del terreno viene classificata «ente urbano» senza rendita e l'impianto segue le regole sopra indicate.

In quest'ultima ipotesi ricadono anche gli impianti realizzati dagli imprenditori agricoli sui terreni da loro coltivati. Anche in questo caso, al terreno su cui si trova l'impianto viene azzerata la rendita relativa al reddito dominicale e agrario (poiché di fatto lo stesso non è più coltivabile) e l'impianto viene iscritto in catasto fabbricati nella categoria D/1. Gli imprenditori agricoli dovrebbero tuttavia pretendere l'accatastamento nella categoria catastale D/10, «fabbricati strumentali alle attività agricole», così da poter considerare l'impianto non soggetto a Ici . Per gli impianti fotovoltaici realizzati dalle imprese commerciali, per effetto del l'accatastamento nella categoria D/1, scatta l'imponibilità ai fini Ici. Infatti, il presupposto dell'imposta è il possesso di fabbricati nel territorio dello Stato iscritti o da iscrivere al catasto fabbricati. Tanto basta a generare un obbligo generalizzato.

La risoluzione del Territorio n. 3/T/2008 prevede come unica esenzione dall'obbligo di accatastamento gli impianti di piccola dimensione situati sugli edifici, prevalentemente destinati alla produzione di energia per usi domestici. In questi casi, i soggetti che realizzano impianti sugli edifici con entrata in esercizio a partire dal 1° giugno 2011 – e conseguente applicazione degli incentivi del cosiddetto quarto conto energia, Dm 5 maggio 2011 – non dovrebbero essere soggetti a obbligo di accatastamento e quindi al pagamento dell'Ici.

Anche i generatori di energia da fonte eolica, sono soggetti a Ici, al pari di quelli fotovoltaici. Infatti, gli impianti eolici sono stati oggetto di due circolari dell'agenzia del Territorio, la n. 4/T/06 e la 14/T/07. Il Territorio considera l'impianto eolico un opificio, dato che è costituito da una robusta fondazione oltre a un sostegno per le pale e agli impianti connessi; inoltre, esso è destinato alla produzione di energia e quindi di reddito.

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lunedì 13 giugno 2011

Locazioni in nero

Dal 7 giugno 2007 chi viene pizzicato a percepire un affitto non dichiarato dovrà riconoscere all'inquilino un canone a prezzo di saldo, inferiore fino al 90% rispetto ai valori di mercato. Il tutto per quattro anni a partire dalla registrazione del nuovo contratto, rinnovabili di altri quattro.
La regola non lascia scampo, perché il nuovo canone sarà pari al triplo della rendita catastale – indicatore dal carattere archeologico – e terrà così gli introiti del proprietario lontanissimi dai livelli di mercato, traducendosi in una perdita di svariate migliaia di euro sulla distanza dei quattro (o degli otto) anni.

Molto dipende anche dalle caratteristiche del singolo immobile: se l'edificio è di recente costruzione, o se il proprietario ha fatto rilevanti lavori di ristrutturazione e ha aggiornato la rendita, la differenza rispetto ai valori correnti sarà più contenuta.

Una sanzione così congegnata dovrebbe avere un doppio effetto: oltre al deterrente per i proprietari, infatti, c'è l'incentivo alla denuncia da parte degli inquilini, che additando l'evasore all'Erario riuscirebbero a ottenere un mega-sconto almeno quadriennale sull'affitto da pagare. È il "contrasto d'interessi", da anni evocato come arma finale contro il nero immobiliare e oggi arrivato al debutto ufficiale.

Nemmeno ora, però, le cose appaiono così semplici: a parte le iniziali incertezze degli uffici , che potrebbero benevolmente essere spiegate con la novità del meccanismo, tutto dipenderà dalle carte che avrà in mano l'inquilino.
Chi riscuote un canone completamente ignoto al Fisco, spesso ha l'accortezza di non intestare all'affittuario nessuna utenza, proprio per non lasciare tracce, e di farsi pagare solo in contanti.

Per superare questa impasse, la circolare 26/E dice chiaramente che l'inquilino può registrare di propria iniziativa il contratto d'affitto – e quindi far scattare il canone scontato – anche «in assenza di un apposito contratto scritto». E questo anche se si tratta di evidenziare l'esistenza di un canone reale più elevato di quello dichiarato al Fisco.
In entrambe queste ipotesi, però, l'inquilino deve presentare all'ufficio una denuncia in doppio originale e il «modello 69» compilato. Il che vuol dire possedere i dati catastali dell'immobile affittato e i dati anagrafici del proprietario.
Altrimenti, se mancano gli elementi per compilare il modello, l'unica via appare quella di una segnalazione alle Entrate, che poi faranno le proprie indagini ed eventualmente emetteranno un avviso di accertamento, registrando d'ufficio il contratto super-scontato. Ma in questo caso, è ovvio, i tempi si allungano.

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lunedì 6 giugno 2011

Fotovoltaico di Grande Taglia

I grandi impianti fotovoltaici possono beneficiare delle tariffe incentivanti del quarto conto energia (Dm 5 maggio 2011), calanti su base mensile nel 2011 e su base semestrale successivamente. La tariffa spettante a un impianto è quella prevista per il tempo in cui lo stesso impianto entrerà in esercizio. Da quel momento può essere presentata istanza al Gse per l'erogazione della tariffa, che verrà versata in funzione dell'energia elettrica prodotta, per un periodo di 20 anni durante i quali la tariffa non può essere modificata né è indicizzata.

Tecnicamente, sono considerati grandi impianti:
a\ quelli realizzati su edifici con potenza superiore a 1 megaWatt;
b\ quelli realizzati a terra, con potenza superiore a 200 kiloWatt, o anche con potenza inferiore, se non operano in regime di scambio sul posto (dal 2013 tutti quelli a terra).
A prescindere dalla potenza, sono in ogni caso considerati piccoli gli impianti realizzati su edifici o aree di proprietà della Pa.

Le soglie annuali
I grandi impianti fotovoltaici sono ammessi al quarto conto energia con taluni limiti di costo annui volti a far sì che la spesa per tutti gli incentivi al solare fotovoltaico – raggiunto l'obiettivo finale di 23mila MW di potenza installata in Italia – non superi 6 o 7 miliardi di euro l'anno in bolletta. Dal 2013 limitazioni volte al contenimento dei costi si estenderanno anche ai piccoli impianti.

Il limite di costo annuo è individuato per periodi di ammissione è di:
- 300 milioni l'anno per gli impianti ammessi al conto energia dal 1° giugno al 31 dicembre 2011;
- altri 150 milioni l'anno in relazione al primo semestre 2012;
- altri 130 milioni l'anno in relazione al secondo semestre 2012.
Dal 1° giugno 2011 al 31 dicembre 2012 il controllo del rispetto del limite avviene ex ante, tramite l'iscrizione degli impianti in un registro tenuto dal Gse (per il primo periodo sono soggetti a registrazione solo gli impianti che al 31 agosto prossimo non saranno ancora entrati in esercizio). Fino a tutto il 2012, tali limiti di costo non riguardano gli impianti a concentrazione e quelli integrati con caratteristiche innovative .
Dal 2013 al 2016 il controllo avviene ex post: l'eventuale sforamento del limite di costo in un periodo comporta la riduzione della tariffa applicabile nel periodo successivo . Con successivi Dm sono possibili riduzioni prima del 2016 se vengono raggiunti i costi cumulati degli incentivi.

La registrazione
L'istanza di registrazione va presentata in specifiche finestre temporali; al termine della finestra il Gse redige il registro degli impianti rientranti nel limite di costo, secondo criteri di priorità definiti nel Dm 5 maggio 2011. La presentazione delle domande per la graduatoria del 2011 è aperta e terminerà il 30 giugno.
Dal momento della pubblicazione del registro, la costruzione dell'impianto deve essere ultimata, a pena di decadenza, entro sette mesi per impianti fino a 1 MW ed entro nove mesi per gli impianti con capacità maggiori. Gli impianti decaduti dal registro possono ripresentare domanda per un periodo successivo, ma saranno penalizzati con una decurtazione del 20% della tariffa. La medesima penale si applica anche ai rinunciatari.
La decadenza si riferisce al completamento dei lavori, quindi l'allacciamento dell'impianto può essere successivo. L'investitore pagherà tuttavia le conseguenze del ritardo dell'allacciamento in termini di possibili riduzioni della tariffa, posto che la stessa viene fissata solo all'entrata in esercizio .
Se un registro non raggiunge il limite di costo per il relativo periodo, le risorse libere si cumulano al limite di costo del periodo successivo. Invece, il possibile sforamento del limite di costo del registro 2011, dovuto allo scorrimento del registro previsto per settembre , viene dedotto dal limite di costo del secondo semestre del 2012

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mercoledì 1 giugno 2011

Fotovoltaico di piccola taglia

Il quarto conto energia ha riservato una particolare attenzione ai piccoli impianti fotovoltaici, facendo leva sul mantenimento di tariffe generose, sulla previsione di incrementi premiali della tariffa per ai piccoli impianti, nonché sulla previsione di un regime semplificato di ammissione.

Sono piccoli impianti fotovoltaici quelli che – avendo una potenza sino ad 1 MW – vengono realizzati su edifici, nonché gli impianti fotovoltaici collocati a terra che, avendo una potenza non superiore a 200 kW, cedono l'energia prodotta alla rete secondo lo schema contrattuale dello scambio sul posto.

Anche a prescindere dalla potenza, sono in ogni caso considerati piccoli gli impianti realizzati su edifici o aree di proprietà della pubblica amministrazione. I piccoli impianti possono usare tanto moduli e tecnologie tradizionali, quanto – se integrati in edifici – avere caratteristiche innovative o usare le tecnologie di concentrazione della radiazione solare (e quindi rientrare nelle maggiori tariffe riservate previste dai titoli III e IV del Dm 5 maggio 2011). Dal 2013 gli impianti collocati a terra, salvo che insistano su aree della pubblica amministrazione, usciranno dal novero dei piccoli impianti, perché per gli impianti che entrano in esercizio da quella data in poi il quarto conto energia prevede l'incompatibilità delle tariffe omnicomprensive col regime dello scambio sul posto, che è invece uno dei requisiti affinché gli impianti collocati a terra rientrino nel novero dei piccoli impianti.

I piccoli impianti sono ammessi al conto energia senza limiti di costo, se entrano in esercizio entro il 31 dicembre 2012 e ricevono per 20 anni la tariffa prevista per il relativo scaglione di potenza nel mese in cui entrano in esercizio. Per gli impianti entrati in esercizio dal 2013 in poi, invece, si applicheranno le riduzioni delle tariffe previste nel Dm 5 maggio 2011, laddove fossero superati i costi indicativi ivi previsti per ciascun periodo.

I piccoli impianti vengono spesso realizzati senza autorizzazione unica. Con il quarto conto energia diventa necessario che alla richiesta di ammissione al conto energia sia allegata una dichiarazione del Comune con cui viene attestato che il titolo usato al posto dell'autorizzazione unica (Dia, Pas o comunicazione in edilizia libera) è idoneo a realizzare l'impianto. Inoltre, ai fini della determinazione del livello di tariffa applicabile, più impianti in qualsiasi modo riconducibili a un unico soggetto responsabile, laddove siano localizzati nella medesima particella catastale, o su particelle contigue, si intendono come un unico impianto di potenza cumulativa.

Quanto ai regimi premiali, per incentivare l'uso efficiente dell'energia, i piccoli impianti sugli edifici possono beneficiare di una maggiorazione della tariffa: il bonus è pari alla metà della percentuale di riduzione del fabbisogno di energia derivante dagli interventi migliorativi delle prestazioni energetiche dell'edificio su cui l'impianto fotovoltaico è installato. Gli interventi devono essere individuati prima di essere eseguiti in una certificazione energetica, effettuati sull'involucro edilizio e confermati in una nuova certificazione energetica dell'edificio. Per i piccoli impianti realizzati su edifici di nuova costruzione la maggiorazione arriva al 30%, se le prestazioni energetiche per il raffrescamento estivo e per la climatizzazione invernale dell'involucro sono inferiori ai minimi di legge di almeno il 50%. In alternativa al premio per l'uso efficiente dell'energia, la tariffa può essere incrementata del 5% per i piccoli impianti, realizzati da Comuni con popolazione inferiore a 5 mila abitanti.

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