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domenica 27 luglio 2008

Indici ISTAT

Troverete qui:
http://www.istat.it/prezzi/precon/rivalutazioni/variaz1a.html

gli indici aggiornati fino a luglio 2008.

Gli indici sono utilizzati per le rivalutazioni, come per esempio la rivalutazione dei canoni di locazione.

SENTENZA N. 31171 DEL 24/07/2008 REATO - GIURISDIZIONE - REATO COMMESSO DA MILITARE USA IN DANNO DI ITALIANI IN IRAQ - IMMUNITA' FUNZIONALE

REATO - GIURISDIZIONE - REATO COMMESSO DA MILITARE USA IN DANNO DI ITALIANI IN IRAQ - IMMUNITA' FUNZIONALE - CRIMINE DI GUERRA - NON CONFIGURABILITA'

Con la sentenza in esame, la Corte ha confermato la declaratoria di non doversi procedere per difetto della giurisdizione penale italiana in ordine ai delitti di omicidio e tentato omicidio commessi il 4 marzo 2005 da un militare del contingente militare USA dislocato con la Forza Multinazionale in territorio iracheno, in servizio come artigliere ad un posto di blocco nelle vicinanze dell’aeroporto di Baghdad, in danno di due funzionari del SISMI lì in missione per la liberazione di una giornalista rapita da un gruppo di terroristi islamici e appena liberata, e della medesima giornalista, esplodendo numerosi colpi d’arma da fuoco con un mitragliatore automatico contro l’autovettura sulla quale essi viaggiavano. La Corte, dopo aver puntualmente ricostruito il contesto storico-ordinamentale vigente in Iraq al momento dei fatti, ha sottoposto a critica le argomentazioni giuridiche poste a fondamento della decisione del giudice di prime cure. In particolare, la Corte ha ritenuto non decisivi né il ricorso al principio internazionale consuetudinario della c.d. “legge della bandiera”, del quale ha constatato la progressiva limitazione con l’evolversi dei rapporti internazionali dopo il secondo conflitto mondiale verso un più sofisticato sistema di riparto e regolamentazione delle priorità fra le giurisdizioni concorrenti (v. ad es. Trattato Nato); né il regime di immunità dalla giurisdizione derivante dalla risoluzione n. 1546 dell’8/6/2004 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, diretta piuttosto a disciplinare i rapporti (per così dire “verticali”) tra Stato di invio e Stato di destinazione, ma non lo status dei contingenti multinazionali nei loro rapporti reciproci. Secondo la Corte, deve venire piuttosto in applicazione il principio di diritto internazionale consuetudinario della “immunità funzionale” o ratione materiae dell’individuo-organo dello Stato estero dalla giurisdizione penale di un altro Stato, per gli atti eseguiti jure imperii nell’esercizio dei compiti e delle funzioni a lui attribuiti. Tale principio – ha precisato la Corte - risulterebbe derogabile soltanto in presenza di una “grave violazione” del diritto internazionale umanitario, nella specie non riscontrata, non essendo configurabile nei fatti contestati un “crimine contro l’umanità” o un “crimine di guerra” per l’assenza delle caratteristiche proprie di questi ultimi.

SENTENZA N. 14350 DEL 29/05/2008, ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE (O UTILITA') - RISARCIMENTO DEL DANNO - OCCUPAZIONE APPROPRIATIVA

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE (O UTILITA') - RISARCIMENTO DEL DANNO - OCCUPAZIONE APPROPRIATIVA - PRESCRIZIONE DEL DIRITTO AL RISARCIMENTO DEL DANNO - RINUNCIA
Verificatasi l'occupazione appropriativa, gli atti dell'amministrazione rivolti ad offrire, liquidare o depositare una somma a titolo non di risarcimento del danni, ma di indennità espropriativa o di corrispettivo forfetario dell'effettuato acquisto, non possono di per sé integrare rinuncia "per facta concludentia" ad opporre la prescrizione del relativo diritto al risarcimento del danno (art. 2937, ultimo comma, cod. civ.), atteso che tale comportamento, riferendosi ad un'obbligazione distinta, alternativa e soggetta a disciplina differenziata rispetto al suddetto debito risarcitorio, non si pone in relazione d'incompatibilità assoluta con la volontà di conservare l'indicata eccezione.

lunedì 21 luglio 2008

cassazione Sentenza n. 28606 del 24 aprile 2008

STUPEFACENTI - COLTIVAZIONE << DOMESTICA >> DESTINATA AD USO PERSONALE - IRRILEVANZA PENALE - ESCLUSIONE - INOFFENSIVITA' DELLA CONDOTTA - NOZIONE

Con due sentenze rese in pari data, le Sezioni Unite hanno chiarito che "costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale", osservando in particolare che: (a) non è individuabile un "nesso di immediatezza tra la coltivazione e l'uso personale", ed è conseguentemente impossibile "determinare ex ante la potenzialità della sostanza drogante ricavabile dalla coltivazione" (cfr. Corte cost. n. 360 del 1995): la fattispecie in esame ha, infatti, natura di reato di pericolo presunto, che fonda sulle "esigenze di tutela della salute collettiva", bene giuridico primario che "legittima sicuramente il legislatore ad anticiparne la protezione ad uno stadio precedente il pericolo concreto"; (b) il fatto che, anche dopo l'intervento normativo del 2006, gli artt. 73 co. 1-bis e 75 co. 1 d. P.R. n. 309 del 1990 non richiamino la condotta di << coltivazione >>, lascia ritenere, nel rispetto delle garanzie di riserva di legge e di tassatività, che il legislatore ha inteso "attribuire a tale condotta comunque e sempre una rilevanza penale"; (c) è arbitraria la distinzione tra << coltivazione in senso tecnico-agrario >> ovvero << imprenditoriale >> e << coltivazione domestica >>, non legittimata da alcun riferimento normativo, e superata dal rilievo che qualsiasi tipo di << coltivazione >> è caratterizzato dal dato essenziale e distintivo rispetto alla << detenzione >> di "contribuire ad accrescere … la quantità di sostanza stupefacente esistente". A parere del Supremo Collegio, spetta inoltre al giudice "verificare se la condotta, di volta in volta contestata all'agente ed accertata, sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico protetto, risultando in concreto inoffensiva"; peraltro, la condotta de qua è << inoffensiva >> soltanto "se la sostanza ricavabile dalla coltivazione non è idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile".

Cassazione Sentenza n. 14879 del 9 aprile giugno 2008

TRIBUTI ERARIALI DIRETTI – ACCERTAMENTO DELLE IMPOSTE SUI REDDITI – ATTIVITA’ DI ODONTOIATRA
Ai fini della ricostruzione del reddito e dell’accertamento di tipo analitico-induttivo, ai sensi dell’art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, l’Ufficio può verificare il consumo dei guanti monouso utilizzati dal contribuente per la sua attività di odontoiatra, dal momento che esiste una correlazione tra il materiale di consumo utilizzato e gli interventi sui pazienti.

Cassazione Sentenza n. 14486 del 30 maggio 2008

CONTRATTI - LOCAZIONE - INTIMAZIONE DI LICENZA PER FINITA LOCAZIONE - INDICAZIONE ERRONEA DELLA DATA DI CESSAZIONE DEL CONTRATTO - IRRILEVANZA
Ad avviso della S.C., la circostanza che il locatore abbia chiesto la convalida ed abbia indicato nell’intimazione una data di cessazione del contratto erronea, non osta né all’accoglimento della domanda di rilascio sotto il profilo della fondatezza del rinnovo, quando la convalida sia stata domandata per uno dei motivi legittimanti l’esercizio della facoltà di diniego, e questo sia stato specificamente indicato, né all’accoglimento per la scadenza effettiva, legale o convenzionale, in quanto l’indicato errore non vale ad escludere l’inequivoca volontà del legislatore di riottenere la disponibilità dell’immobile.

Cassazione Sentenza n. 17978 del 1° luglio 2008

PREVIDENZA- CONTRIBUTI PREVIDENZIALI - GIUDIZIO DI OPPOSIZIONE A CARTELLA ESATTORIALE – NATURA GIURIDICA - CONSEGUENZE
In tema di riscossione mediante iscrizione a ruolo dei crediti previdenziali, l’estinzione del giudizio di opposizione alla cartella esattoriale, al pari dell’opposizione proposta oltre il termine perentorio di cui all’art. 24 del d.lgs. n. 46 del 1999, determina l'incontestabilità della pretesa contributiva e preclude quindi il riesame del merito della pretesa contributiva in un diverso giudizio.

Diritto Sportivo e risvolti giuslavoristici

1. È pacifico che il pur speciale rapporto di lavoro intercorrente tra società sportive e sportivi professionisti (caratterizzato dalla particolare natura dell’attività erogata dal lavoratore) sia da ricondurre nell’alveo del lavoro subordinato, così come ha espressamente stabilito la L. n. 91/1981, benchè sussistano per la peculiarità dell’ordinamento sportiv, notevoli differenziazioni rispetto alla disciplina del lavoro subordinato (art. 2094 c.c.). Tuttavia, considerare gli sportivi professionisti, i quali non godono per legge della tutela reale, come computabili ai fini del calcolo dei quindici dipendenti, appare contraddittorio per la soluzione alla quale si dovrebbe giungere perché si dovrebbe arrivare a sostenere l’applicabilità dell’art. 18 a qualsiasi società sportiva poiché tutte supererebbero il limite dei quindici dipendenti ove nel calcolo fossero inclusi gli sportivi. (Trib. Siena 12/2/2004 ord., Pres. Cavoto Rel. Serrao, in Lav. nella giur. 2004, 786, con commento di Luca Tartaglione, 786)
2. Non rileva che ai lavoratori “subordinati” sportivi, non si applichi, tra le altre, la norma contenuta nell’art. 18, L. n. 300/1970, come espressamente previsto nell’art. 4, comma 9, L. n. 91/1981, potendo, in ipotesi, il lavoratore sportivo (nonostante la sua “subordinazione” presenti aspetti del tutto singolari) entrare comunque nel computo del requisito dimensionale del datore di lavoro. Non vi è in tale situazione alcuna contraddizione logica e l’ordinamento offre esempi di simile dissociazione tra inammissibilità della tutela reale del lavoratore e computabilità del medesimo ai sensi e per gli effetti dell'’rt. 18 L. n. 300/1970. (Trib. Siena 26/11/2003 ord., Est. Cammarosano, in Lav. nella giur. 2004, con commento di Luca Tartaglione, 785)
3. Nell'esercizio di attività sportiva a livello professionistico, le società sportive (o la Federazione , con riferimento a sinistri avvenuti nello svolgimento di competizioni delle squdre nazionali) sono tenute a tutelare la salute degli atleti-nel caso di specie, calciatore-sia attraverso la prevenzione degli eventi pregiudizievoli della loro integrità psico-fisica, sia attraverso la cura degli infortuni e delle malattie che possono trovare causa nei rilevanti sforzi caratterizzanti la pratica professionale di uno sport, potendo essere chiamate a rispondere in base al disposto degli artt. 1218 e 2049 c.c. dell'operato dei propri medici sportivi e del personale comunque preposto a tutelare la salute degli atleti ed essendo comunque tenute, come datore di lavoro del calciatore, ad adottare tutte le cautele necessarie, secondo le norme tecniche e di esperienza, a tutelare l'integrità fisica del lavoratore, tenuto conto in particolare del fatto che le cautele a tutela della salute cui è tenuto il datore di lavoro devono parametrarsi alla specifica attività svolta dallo sportivo professionista ed alla sua particolare esposizione al rischio di infortuni. La condotta del medico sportivo, (nella specie, medico di una società calcistica a livello professionistico) in ragione della sua peculiare specializzazione e della necessità di adeguare i suoi interventi alla natura ed al livello di pericolosità dell'attività sportiva stessa, deve essere valutata con maggiore rigore rispetto a quella del medico generico, ai fini della configurabilità di una eventuale responsabilità professionale: in particolare, il suddetto medico ha l'obbligo di valutare le condizioni di salute del giocatore con continuità, anche in sede di allenamenti o di ritiri pre-campionato, dovendo anche valutare criticamente le informazioni fornite dagli stessi atleti o dai loro allenatori, al fine di poter individuare pure l'eventuale dissimulazione da parte dell'atleta dell'esistenza di condizioni di rischio per la propria salute. (Cass. 8/1/2003, n. 85, Pres. Mercurio, Rel. Vidiri, in Lav. nella giur. 2003, 544, con commento di Giorgio Mannacio)
4. Sussiste il vincolo di subordinazione nel caso in cui il preparatore di una quadra di calcio giovanile, pur non essendo mai stato retribuito, abbia assiduamente svolto la sua attività sotto la direzione dell'allenatore, sia stato inserito nell'organigramma sanitario del settore, abbia osservato un orario di lavoro prefissato in relazione alla disponibilità del terreno di gioco e nel periodo in questione non abbia lavorato in favore di soggetti diversi dalla società convenuta (Pret. Napoli 14/2/95, est. Manna, in D&L 1995, 627)
5. L'accordo preliminare di prestazioni professionali, stipulato tra una società sportiva e un calciatore, è valido anche se non è redatto su uno dei moduli predisposti dalla Lega e anche se non è depositato presso la sede della stessa Lega competente. In caso di inadempimento di tale accordo, il Pretore, in funzione di giudice del lavoro, può pertanto ordinare, con provvedimento di urgenza ex art. 700 cpc, alla società di consentire al calciatore la partecipazione agli allenamenti e alla preparazione pre – campionato con la prima squadra, scaturendo dall'esclusione a detta partecipazione un pregiudizio imminente e irreparabile ai danni dell'atleta in termini di immagine e di conservazione della sua professionalità (Trib. Roma 3/8/94, pres. De Fiore, est. Pititto, in D&L 1995, 353, nota VIDIRI, Una nuova forma di supplenza giudiziaria: quella sportiva (in margine al caso del calciatore Garzya))
6. In tema di rapporto di lavoro tra società sportiva e tesserati della Figc l'arbitrato instauratosi sensi dell'art. 4 c. 5 L. 23/8/81 n. 91 e delle norme interne delle federazioni ha natura irrituale. Non essendo attribuito a tale arbitrato carattere di obbligatorietà, non è ravvisabile, nell'ipotesi di contrasto di natura economica, alcun ostacolo che impedisca a ciascuna delle parti di adire un via diretta e immediata il giudice ordinario a tutela dei propri diritti (Pret. Roma 9/7/94, est. Cappelli, in D&L 1995, 354, nota VIDIRI, Una nuova forma di supplenza giudiziaria: quella sportiva (in margine al caso del calciatore Garzya)

venerdì 18 luglio 2008

SOMME EROGATE PER PRESTAZIONI DI LAVORO STRAORDINARIO. Cap III

Profili Giuslavoristici
Tra i profili di rilevanza giuslavoristica si pone il problema, in primo luogo, di definizione del concetto di lavoro straordinario. Il comma 1, lett. a), del decreto rinvia, genericamente, a prestazioni di lavoro straordinario di cui al decreto legislativo n. 66 del 2003, ragione per cui la tassazione agevolata troverà applicazione non solo alle prestazioni straordinarie rese oltre la 40ª ora (c.d. nozione legale) ma anche oltre il minor limite stabilito dai contratti collettivi.
A questo riguardo si ricorda infatti che il decreto legislativo n. 66 del 2003, all’articolo 1, comma 2, lett. c), definisce «“lavoro straordinario” il lavoro prestato oltre l’orario normale di lavoro così come definito all’articolo 3». In base all’articolo 3, a sua volta, «l’orario normale è fissato in 40 ore settimanali; i contratti collettivi di lavoro possono stabilire, ai fini contrattuali, una durata minore e riferire l’orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno».
La precisazione “ai fini contrattuali” contenuta nell’articolo 3 del decreto legislativo n. 66 del 2003 è stata ribadita dal Ministero del Lavoro nella circolare n. 8 del 2005, secondo cui «i contratti collettivi possono stabilire che la durata dell’orario normale sia ridotta rispetto al limite legale delle 40 ore. Questa facoltà ha ad oggetto una riduzione d’orario valida ai soli fini contrattuali».
Qualora il contratto collettivo preveda una durata minore dell’orario normale, è evidente che le prestazioni lavorative svolte al di là dell’orario indicato dai contratti come “normale” rientrano, ai fini contrattuali e pertanto anche ai fini del calcolo della retribuzione, nella definizione di “lavoro straordinario”. La stessa circolare, al riguardo, precisava infatti «il lavoro straordinario deve essere computato separatamente dal computo del lavoro normale e deve essere retribuito con una maggiorazione, rispetto al lavoro normale, il cui ammontare è stabilito dalla contrattazione collettiva. Quest’ultima può disporre che, in aggiunta o in alternativa alla maggiorazione retributiva, i lavoratori possano usufruire di riposi compensativi».
Sono i contratti collettivi, infatti, a stabilire la retribuzione che deve essere versata a titolo di straordinari e a definire quando – proprio a questi fini – il lavoro deve essere considerato tale, così come avviene anche per il caso di lavoro supplementare nel part-time.
Allo stesso modo, la circolare n. 8 del 2005, dopo aver dato atto che «nel nostro ordinamento non vige più, pertanto, un limite positivo alla durata giornaliera del lavoro ma, semmai, un limite che può ricavarsi, a contrario, dal combinato disposto dagli articoli 7 e 8 del decreto nella misura di 13 ore giornaliere, ferme restando le pause.” e che “Tale individuazione risulta conforme al dettato costituzionale che impone alla legge di definire la durata massima della giornata lavorativa», chiarisce che «la limitazione positiva della durata della prestazione lavorativa giornaliera, benché non sia disposta per legge, potrebbe essere disposta dalla autonomia privata, ma ai soli fini contrattuali, imponendo un limite anche alla modulazione, pertanto alla flessibilità, dell’organizzazione del lavoro nella sue caratteristiche temporali».
Pertanto, ove la autonomia privata preveda un limite alla durata giornaliera della prestazione lavorativa, la prestazione eccedente va considerata, “ai fini contrattuali”, e dunque dal solo punto di vista retributivo, come “straordinario” e, come tale, non può pertanto non rientrare nel regime di tassazione agevolata previsto dal decreto.
La precisazione che tale limitazione vale ai fini contrattuali, e non a quelli legali, chiarisce proprio l’aspetto del computo della retribuzione. Il fatto che l’eventuale limite stabilito dai contratti collettivi in misura inferiore alle 40 ore settimanali valga a soli fini contrattuali, serve invece a chiarire che di tale eventuale inferiore limite non si debba tener conto, invece, a fini sanzionatori, di adempimenti amministrativi o del rispetto di determinate norme di legge.
Si deve ulteriormente precisare che, come già ribadito dalla circolare n. 8 del 2005, la possibilità di ridurre il limite normale della attività lavorativa settimanale non spetta ai soli contratti collettivi nazionali, bensì anche ai contratti
territoriali e aziendali, purché stipulati da organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.
Ove pertanto i contratti collettivi, anche di secondo livello o aziendali, prevedano che una retribuzione abbia carattere straordinario, ovvero che determinati emolumenti siano corrisposti «in relazione a incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa e altri elementi di competitività e redditività legati all'andamento economico dell'impresa», come avviene anche per gli straordinari forfetizzati, ad esempio a personale di cui all’articolo 17, comma 5, del decreto legislativo n. 66 del 2003 (tra cui i “capi reparto” in quanto rivestano compiti propri del personale direttivo o comunque con potere di decisione autonomo), troverà applicazione il regime di tassazione agevolato benché si tratti di personale al quale non si applicano – ai fini normativi, ma non certo contrattuali – i limiti di cui all’articolo 3 del decreto legislativo n. 66 del 2003. Anche lo straordinario forfetizzato, reso oltre l’orario normale di lavoro previsto dal decreto legge n. 66 del 2003 o dalla contrattazione collettiva nazionale, territoriale e aziendale applicabile rientra dunque nel regime di tassazione agevolata.
Compensi, premi o gettoni corrisposti a fronte di prestazioni straordinarie effettuate nei giorni di riposo (ordinario o di legge) e festivi, rientrano nello speciale regime di tassazione, nella misura in cui si tratta di compensi erogati per prestazioni di lavoro straordinario ai sensi del comma 1, lett. a), o siano comunque riconducibili alla ipotesi di cui al comma 1, lett. c).
Con riferimento invece a prestazioni di lavoro a tempo parziale, la misura di cui al comma, 1, lett. b) del decreto deve intendersi riferita – per identità di ratio – sia al lavoro supplementare sia con riferimento alle prestazioni rese in funzione di clausole elastiche: in entrambi i casi è infatti richiesto al lavoratore di svolgere una prestazione lavorativa eccedente rispetto all’orario inizialmente concordato. Tuttavia, in entrambi i casi, e al fine di evitare comportamenti fraudolenti, il beneficio spetta unicamente ai lavoratori il cui contratto di lavoro sia stato
stipulato (ovvero trasformato) prima del 29 maggio 2008, data di entrata in vigore del decreto.
Per quanto riguarda invece gli elementi retributivi premianti di cui al comma 1, lett. c), essi riguardano tutti gli incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa, nonché altri elementi di competitività e redditività legati all’andamento economico della impresa. Rientrano pertanto nella misura, a titolo esemplificativo, premi di rendimento, forme di flessibilità oraria, maggiorazioni retributive corrisposte in funzione di orari a ciclo continuo o sistemi di «banca delle ore», indennità di reperibilità o di turno, premi e somme corrisposte una tantum ecc., là dove, ovviamente, comportino un incremento di produttività del lavoro ed efficienza organizzativa ovvero siamo legati alla competitività e redditività della impresa.
Le somme di cui al comma 1, lett. c), non devono essere necessariamente previste in contratti collettivi, ma possono anche essere previste in modo unilaterale dal datore di lavoro purché siano documentabili (per esempio attraverso la comunicazione scritta al lavoratore della motivazione della somma corrisposta).
Il presupposto per la concessione del beneficio è che la somma corrisposta, anche se continuativa, sia riconducibile ad elementi di determinazione periodica, ancorché si tratti di situazioni già strutturate e consolidate prima della entrata in vigore del decreto. Per rientrare nel regime di tassazione agevolata gli incrementi di produttività, innovazione, efficienza, ovvero il conseguimento di elementi di competitività e redittività legati all’andamento economico della impresa non devono dunque essere necessariamente nuovi e innovativi rispetto al passato, né devono necessariamente consistere in risultati che, dal punto di vista meramente quantitativo, siano superiori a quelli ottenuti in precedenti gestioni, purché comunque costituiscano un risultato ritenuto positivo dalla impresa.
Nel regime di tassazione agevolata rientrano infine anche quelle somme erogate dai datori di lavoro in relazione a incrementi di produttività, innovazione ed
efficienza organizzativa e altri elementi di competitività, ancorché determinati in ambito territoriale sulla base di indicatori correlati all'andamento congiunturale e ai risultati conseguiti dalle imprese di uno specifico settore in ambito territoriale.
Dal novero delle somme agevolate sono unicamente esclusi quegli importi stabilmente riconosciuti in misura fissa che sono entrati nel patrimonio del lavoratore (come ad esempio, il superminimo individuale).
Abrogazione Art. 51 comma 2 del T.U.I.R.
L’articolo 2, comma 6, del decreto stabilisce che “Nell’articolo 51, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, la lettera b) è soppressa”.
La disposizione soppressa escludeva dalla base imponibile rilevante ai fini dell’imposizione del reddito di lavoro dipendente le erogazioni liberali effettuate dal datore di lavoro e taluni sussidi economici dallo stesso concessi.
Per effetto della suddetta soppressione, pertanto, concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente, per l’intero importo:
-
le erogazioni liberali non superiori nel periodo d’imposta a 258,23 euro concesse in occasione di festività o ricorrenze alla generalità o a categorie di dipendenti;
-
i sussidi occasionali concessi in occasione di rilevanti esigenze personali o familiari del dipendente;
-
i sussidi corrisposti a dipendenti vittime dell’usura ai sensi della legge 7 marzo 1996, n. 108, o ammessi a fruire delle erogazioni pecuniarie a ristoro dei danni conseguenti a rifiuto opposto a richieste estorsive ai sensi del decreto legge 31 dicembre 1991, n. 419, convertito con modificazioni dalla legge 18 febbraio 1992, n. 172.
Si fa presente che, in applicazione del principio di cassa che caratterizza la tassazione dei redditi di lavoro dipendente, la richiamata disposizione abrogativa si applica con riguardo alle somme e ai valori erogati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto (29 maggio 2008).

SOMME EROGATE PER PRESTAZIONI DI LAVORO STRAORDINARIO. Cap II

Imposta sostitutiva
L’imposta sostitutiva è applicata agli emolumenti in commento, entro il limite di importo complessivo non superiore a 3.000 euro, erogati nel periodo compreso tra il 1° luglio e il 31 dicembre 2008.
Il limite reddituale suddetto deve intendersi al lordo della ritenuta fiscale del 10 per cento.
La disposizione in commento, nell’individuare l’ambito di applicazione dell’imposta sostitutiva in questione, fa riferimento esclusivamente alle “somme erogate”. Dal tenore letterale della norma emergono due considerazioni. La prima è relativa alle modalità – in denaro ovvero in natura - con le quali possono effettuarsi le erogazioni e conduce ad escludere dall’ambito di applicazione dell’agevolazione i compensi in natura erogati a titolo di corrispettivo del lavoro straordinario o supplementare effettuato dal lavoratore, ovvero erogati in relazione ad incrementi di produttività.
La seconda riguarda l’arco temporale cui riferire le erogazioni. Al riguardo, in applicazione del criterio di cassa previsto dall’articolo 51 del Tuir per l’imputazione al periodo d’imposta degli emolumenti di lavoro dipendente, deve
ritenersi che l’imposta sostitutiva si applica alle somme di cui all’art. 2 del decreto, percepite nel periodo dal primo luglio fino al termine del periodo d’imposta 2008. Tenendo conto altresì della disposizione generale di cui all’art. 51, comma 1, del Tuir, secondo cui si considerano percepiti nel periodo d’imposta le somme corrisposte fino al 12 gennaio dell’anno successivo, si ritiene che per il riscontro del limite di 3.000 euro occorra considerare, così come indicato nel paragrafo 1.3, le somme oggetto dell’agevolazione erogate nel periodo compreso tra il 1° luglio e il 12 gennaio 2009.
La parte delle predette somme che supera il limite di 3.000 euro lordi concorre a formare il reddito complessivo del percipiente ed è assoggettata a tassazione con l’applicazione delle aliquote ordinarie.
L’importo di 3.000 euro è da intendersi come limite complessivo alla cui determinazione concorrono sia le somme erogate a titolo di retribuzione delle prestazioni di lavoro straordinario o supplementare effettuate, sia i premi di produttività. Tale limite, inoltre, non può essere superato neanche in presenza di più rapporti di lavoro.
Applicazione Imposta sostitutiva
Applicazione dell’imposta sostitutiva e adempimenti del sostituto d’imposta
Ai sensi del comma 3 dell’art. 2 del decreto, l’imposta sostitutiva è applicata direttamente dal sostituto d’imposta.
In particolare il sostituto d’imposta applica la tassazione sostitutiva in via automatica qualora egli stesso abbia rilasciato il CUD, in relazione a un rapporto di lavoro intercorso per l’intero 2007.
Se il sostituto tenuto ad applicare l’imposta sostitutiva non è lo stesso che abbia rilasciato il CUD per il 2007 o l’abbia rilasciato per un periodo inferiore all’anno, ai fini dell’applicazione dell’imposta sostitutiva, è necessario che il lavoratore comunichi in forma scritta l’importo del reddito di lavoro dipendente conseguito nel 2007, considerato che in tal caso il sostituto non è in grado di conoscere direttamente se nel 2007 il lavoratore abbia percepito più o meno di 30.000 euro a titolo di reddito di lavoro dipendente.
Analoga comunicazione deve essere fatta dal lavoratore che nel 2007 non abbia percepito alcun reddito di lavoro dipendente.
Il dipendente è, in ogni caso, tenuto a comunicare al sostituto d’imposta l’insussistenza del diritto ad avvalersi del regime sostitutivo, nelle ipotesi in cui:

nel corso del 2007, oltre al rapporto di lavoro con il sostituto d’imposta che eroga i compensi assoggettabili ad imposta sostitutiva, abbia intrattenuto un altro rapporto di lavoro dipendente, in tal modo superando il limite di 30.000 euro di reddito da lavoro dipendente;

nel corso del 2008, abbia intrattenuto altri rapporti di lavoro dipendente percependo somme già assoggettate a imposta sostitutiva, fino a concorrenza del limite di 3.000 euro prestabilito dalla norma.
La norma prevede, tuttavia, che il lavoratore anche nei casi in cui il sostituto sia direttamente tenuto all’applicazione della imposta sostitutiva, possa rinunciare al regime sostitutivo, facendone richiesta per iscritto al proprio datore di lavoro. Ciò, ad esempio, quando l’imposta sostitutiva si presenti meno conveniente di quella ordinaria, in presenza di oneri la cui deduzione o detrazione sarebbe impedita dal meccanismo di imposizione sostitutiva.
A seguito di espressa rinuncia del lavoratore, l’intero ammontare delle somme in questione concorre alla formazione del reddito complessivo ed è assoggettato a tassazione ordinaria. Resta fermo che in sede di dichiarazione dei redditi il dipendente è tenuto a far concorrere al reddito complessivo i redditi che, per qualsiasi motivo, siano stati eventualmente assoggettati a imposta sostitutiva pur in assenza dei presupposti richiesti dalla legge. Analogamente, il contribuente utilizzerà la dichiarazione dei redditi per assoggettare gli emolumenti alla tassazione ordinaria nel caso in cui la ritenga più conveniente.
In assenza di rinuncia espressa da parte del dipendente, il sostituto d’imposta, ricorrendone i presupposti, procede all’ applicazione dell’imposta sostitutiva.
Ciò non toglie, tuttavia, che il sostituto d’imposta, ove riscontri che la tassazione sostitutiva risulti meno favorevole per il dipendente, pur in assenza di rinuncia da parte di questi, applichi la tassazione ordinaria, portandone a conoscenza il dipendente.
Qualora sussistono i presupposti richiesti dalla norma, l’imposta sostitutiva deve essere applicata sin dalla prima erogazione effettuata successivamente al 1° luglio 2008, fermi restando gli opportuni aggiustamenti da effettuare in sede di conguaglio di fine anno, ovvero in caso di cessazione del rapporto di lavoro intervenuta prima della fine dell’anno.
L’imposta sostitutiva, ove non trattenuta dal sostituto, può essere applicata dal contribuente in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi, semprechè ovviamente ne ricorrano i presupposti. L’imposta sostitutiva può essere oggetto di compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, concernente “norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, nonchè di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni”.
Il sostituto d’imposta deve indicare separatamente nel CUD la parte di reddito assoggettata ad imposta sostitutiva e l’importo di quest’ultima trattenuto sulle somme spettanti al dipendente. Il sostituto deve altresì indicare nel CUD, al fine di consentire i necessari controlli sulla corretta fruizione del beneficio, la parte di reddito, teoricamente assoggettabile ad imposizione sostitutiva, per la quale l’agevolazione non sia stata applicata in ragione della rinuncia espressa del contribuente o per altre cause.
Il sostituto d’imposta può compensare l’imposta sostitutiva con altre ritenute ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, n. 445, recante “norme sullo scomputo dei versamenti delle ritenute alla fonte, effettuati
a fronte dei versamenti successivi, e sulla semplificazione degli adempimenti dei sostituti di imposta che effettuano ritenute alla fonte su redditi di lavoro autonomo di ammontare significativo”.

SOMME EROGATE PER PRESTAZIONI DI LAVORO STRAORDIARIO E PER I PREMI DI PRODUTTIVITA’ – IMPOSTA SOSTITUTIVA DEL 10%

Soggetti beneficiari
Ai sensi dell’articolo 2, comma 5, del decreto, le nuove misure fiscali sono riservate ai lavoratori dipendenti del settore privato, i quali abbiano percepito nel 2007 redditi di lavoro dipendente, di cui all’art. 49 del Tuir, di ammontare non superiore a 30.000 euro lordi.
Poiché la disposizione fa espresso riferimento ai “titolari di reddito di lavoro dipendente” l’agevolazione è riservata esclusivamente a questi, con esclusione dei titolari di redditi di lavoro assimilato a quello di lavoro dipendente come, ad esempio, i collaboratori coordinati e continuativi, anche nella modalità a progetto.
Ai fini della verifica della soglia reddituale cui la norma subordina l’accesso al regime sostitutivo, si deve considerare il reddito di lavoro dipendente, relativo al 2007, soggetto a tassazione ordinaria. Nella determinazione del predetto limite devono essere quindi esclusi eventuali redditi di lavoro dipendente percepiti nel 2007 ed assoggettati a tassazione separata.
Il limite di 30.000 euro deve intendersi come ammontare complessivo, riferito a tutti i redditi di lavoro dipendente percepiti nel 2007, anche in relazione a più rapporti di lavoro.
La verifica del limite di reddito di euro 30.000 riguarda i soli redditi di lavoro dipendente di cui all’art. 49 del Tuir, compresi quelli indicati nel comma 2 dello stesso articolo, come ad esempio le pensioni e gli assegni ad esse equiparate e non rileva, quindi, l’eventuale superamento di tale limite per effetto di redditi diversi da quelli di lavoro dipendente.
Inoltre, la predetta verifica deve essere effettuata con riferimento all’anno 2007, a nulla rilevando la circostanza che nel 2008 il reddito di lavoro dipendente sia superiore al predetto limite di 30.000 euro.
Somme oggetto
L’art. 2 del decreto ha introdotto, con efficacia limitata al periodo compreso tra il 1° luglio e il 31 dicembre 2008, un’imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionale e comunale, pari al 10 per cento, nel limite di importo complessivo di 3.000 euro lordi, sulle somme erogate a livello aziendale:
a)
per prestazioni di lavoro straordinario effettuate dal 1° luglio al 31 dicembre 2008;
b)
per prestazioni di lavoro supplementare ovvero per prestazioni rese in funzione di clausole elastiche effettuate nel periodo suddetto (1° luglio – 31 dicembre 2008) e con esclusivo riferimento a contratti di lavoro a tempo parziale stipulati prima del 29 maggio 2008, data di entrata in vigore del decreto;
c)
in relazione ad incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa ed altri elementi di competitività e redditività legati all’andamento economico dell’impresa.
In base al tenore letterale dell’art. 2, comma 1, del decreto, con riferimento alle prestazioni di lavoro di cui alle lettere a) e b) (prestazioni di lavoro straordinario e prestazioni di lavoro supplementare o rese in funzione di clausole elastiche), l’imposta sostitutiva si applica sui compensi relativi a prestazioni effettuate dal dipendente nel periodo compreso tra il 1° luglio e il 31 dicembre 2008, a condizione che nel medesimo periodo (fermo restando quanto si dirà in tema di cassa allargata) detti compensi vengano effettivamente erogati dal sostituto d’imposta.
Pertanto, e in via esemplificativa, lo straordinario e il lavoro supplementare effettuati a giugno 2008 e pagati a luglio 2008, così come quello effettuato a dicembre 2008 ma pagato dopo il 12 gennaio 2009 (principio di cassa allargata) devono essere esclusi dalla tassazione agevolata. Lo straordinario e il
supplementare effettuati a dicembre 2008 e retribuiti entro il 12 gennaio 2009 rientreranno invece nel regime agevolato.
Per quanto concerne i premi di produttività di cui al punto c) della disposizione in commento, ai fini dell’applicazione dell’imposta sostitutiva rileva esclusivamente il momento di erogazione delle somme, che deve collocarsi tra il 1° luglio ed il 31 dicembre 2008 (ovvero 12 gennaio 2009), anche se dette somme si riferiscono ad attività prestate in periodi precedenti.
In relazione agli aspetti giuslavoristici relativi agli istituti in questione si rinvia al successivo paragrafo 1.7.

Legittimazione processuale –motivi di ricorso concernenti l'attività dell’agente della riscossione

Nelcaso in cui l’atto dell’Amministrazione finanziaria posto a fondamento della pretesa tributaria sia stato notificato, la mancata impugnazione dello stesso nei termini di legge preclude ogni possibilità di contestazione del debito fiscale, determinandone la definitività. Da ciò deriva, da un lato, l’incontestabilità della pretesa tributaria e, dall’altro, la possibilità per il contribuente di far valere i vizi relativi alla formazione e al contenuto dei ruoli di cui all’articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, oltre ai vizi relativi alla emissione e alla notificazione della cartella di pagamento.
Passando all’esame dei principi contenuti nella pronuncia a sezioni unite n. 16412 del 2007, essi vanno interpretati in maniera logico-sistematica, anche sulla scorta del parere reso dall’Avvocatura generale dello Stato con nota partenza n. 65100P del 14 maggio 2008.
In particolare, si evidenzia che le sezioni unite hanno affermato che il vizio relativo alla nullità dell’atto impugnato per mancata notifica dell’atto presupposto (vizio che costituiva oggetto della controversia esaminata dalla Suprema Corte) “non può essere ridotto alla mera dimensione di vizio proprio dell’atto… non trattandosi nella specie di uno dei vizi che riguardano esclusivamente la regolarità o validità degli atti esecutivi”.
Secondo l’orientamento dei giudici di legittimità, sussiste la legittimazione passiva dell’ufficio anche quando l’atto presupposto, non notificato, non sia stato impugnato attraverso l’atto consequenziale (dell’agente della riscossione), poiché tale vizio procedurale “incidendo sulla sequenza procedimentale stabilita dalla legge a garanzia del contribuente determina la illegittimità dell’intero processo di formazione della pretesa tributaria, la cui correttezza è assicurata mediante il rispetto dell’ordinato progredire delle notificazioni degli atti” e, pertanto, “ridonda sulla stessa sussistenza della pretesa tributaria, potendone determinare la eventuale decadenza”.
A tal riguardo, l’Organo legale nel citato parere del 14 maggio 2008 ha evidenziato che la sentenza n. 16412 del 2007 può essere interpretata nel senso che “la … affermata “indifferenza” nella individuazione del destinatario del ricorso del contribuente - e quindi la ammissibilità del ricorso stesso pur se notificato al solo ufficio - si configuri unicamente nel caso di impugnativa di atto consequenziale del concessionario che sia fondata sulla allegazione della mancata notifica dell’atto presupposto costituente esercizio del potere impositivo dell’Amministrazione (quale che sia la domanda in concreto proposta, e cioè sia di chiesto annullamento in sé dell’atto del concessionario per effetto del predetto vizio “procedurale”, sia in impugnativa anche dell’atto presupposto non notificato).
Mentre in ogni altro caso di lite che riguardi esclusivamente, e quindi sotto profili diversi da quello or indicato, la regolarità, o la validità degli atti esecutivi del concessionario, legittimato passivo deve ritenersi solo il concessionario stesso (art. 10 d.lgs. n. 546/1992 e art. 39 d.lgs n. 112/1999, e prima art. 40 D.P.R. n. 43/1988)”.
Ciò premesso, gli uffici si uniformeranno alle seguenti istruzioni per la gestione delle controversie incardinate innanzi alle commissioni tributarie:
per la gestione delle controversie nelle quali sia stata chiamata in causa soltanto l’Agenzia delle entrate per questioni concernenti esclusivamente la regolarità e la validità degli atti dell’agente della riscossione, l’ufficio eccepisce in via preliminare il difetto di legittimazione passiva, in quanto trattasi di vizi imputabili all’attività riscossiva e, successivamente, chiama in causa lo stesso agente della riscossione. Al riguardo si ricorda che la Corte di cassazione ha
affermato che la chiamata di terzi nel processo tributario può essere effettuata dal resistente con l’atto di costituzione in giudizio, a pena di decadenza, entro il termine di sessanta giorni dalla notifica del ricorso (Cass., sez. trib., n. 24563 del 26 novembre 2007; n. 16119 del 20 luglio 2007; n. 7329 del 13 maggio 2003; Circ. n. 98/E del 23 aprile 1996, a commento dell’articolo 23 del decreto legislativo n. 546 del 1992);

nel caso in cui il ricorrente evochi in giudizio esclusivamente l’agente della riscossione, rilevando l’esistenza di vizi riferibili alla pretesa tributaria, è onere dell’agente della riscossione chiamare in causa l’ufficio competente ai sensi dell’articolo 39 del decreto legislativo n. 112 del 1999, al fine di evitare gli effetti pregiudizievoli di una condanna;

per la gestione delle controversie nelle quali sia stata chiamata in causa sia l’Agenzia delle entrate sia l’agente della riscossione, per vizi imputabili solo a quest’ultimo, l’ufficio può limitarsi ad eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva;

nei casi in cui il ricorrente faccia valere sia vizi ascrivibili all’agente della riscossione sia questioni relative all’esercizio del potere impositivo dell’Amministrazione, l’ufficio legittimato passivo predispone adeguate controdeduzioni con riferimento agli atti di propria competenza.
Inoltre, gli uffici dovranno prestare particolare attenzione alla individuazione della commissione tributaria provinciale nei confronti della quale il contribuente ha proposto ricorso, in particolare quando l’ufficio e l’agente della riscossione hanno sede in due ambiti territoriali differenti.
Al riguardo si rappresenta che, qualora il contribuente faccia valere esclusivamente vizi inerenti alla pretesa erariale e proponga ricorso nei confronti
dell’ufficio che ha formato il ruolo, la commissione tributaria provinciale competente si determina, ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo n. 546 del 1992, con riferimento alla sede dell’ufficio impositore e non alla sede dell’agente della riscossione che ha notificato la cartella di pagamento contenente il ruolo. In tal caso, qualora la commissione tributaria provinciale dinanzi alla quale sia stato incardinato il ricorso venga individuata con riferimento alla sede dell’agente della riscossione che ha notificato la cartella di pagamento, l’ufficio che ha formato il ruolo eccepisce il difetto di competenza della commissione adita, secondo quanto previsto dall’articolo 5 del decreto legislativo n. 546 del 1992. Al riguardo, si ricorda che le sezioni unite della Corte di Cassazione, 16 gennaio 1986, n. 211, con riferimento ad un fattispecie analoga, hanno affermato che nel caso di contestazione di vizi concernenti l’iscrizione a ruolo, “la competenza spetta alla Commissione di …, nella cui circoscrizione ha sede l'ufficio fiscale che ha emesso il detto provvedimento”.
Per contro, nella diversa ipotesi in cui il contribuente presenti ricorso lamentando esclusivamente vizi relativi al procedimento di emissione e notificazione della cartella di pagamento, la commissione tributaria provinciale competente va individuata in quella nella cui circoscrizione ha sede l’agente della riscossione. Pertanto, qualora il contribuente abbia proposto ricorso alla commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio che ha iscritto a ruolo, quest’ultimo, nell’ipotesi in cui sia destinatario del ricorso, eccepisce l’incompetenza della commissione tributaria adita dal contribuente, oltre che il proprio difetto di legittimazione passiva.
In ultimo, con riferimento al caso in cui il contribuente impugni l’iscrizione di ipoteca di cui all’articolo 77 del DPR n. 602 del 1973 ovvero il fermo di beni mobili registrati di cui all’articolo 86 del citato decreto sulla riscossione – inclusi tra gli atti impugnabili di cui all’articolo 19 del decreto legislativo n. 546 del 1992 dal decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 – l’ufficio segue le istruzioni contenute nei punti precedenti, eccependo, in particolare, il difetto di legittimazione passiva qualora non vengano fatti valere vizi che si riflettono sulla debenza del credito posto in riscossione.

Condominio: Non è consentita la sospensione dell’esecuzione dello sfratto

Ai fini della sospensione dell'esecuzione, oltre alla presenza nell'immobile di persone, almeno sessantacinquenni o gravemente handicappate, appartenenti al nucleo familiare, occorra altresì o la mancata disponibilità di altra abitazione o quella di redditi sufficienti ad accedere all'affitto di una nuova casa, per cui la valutazione del reddito a disposizione dell'inquilino (nella specie, Euro 995,00 mensili) deve essere effettuata non in relazione alla possibilità di affitto di un alloggio equipollente a quello oggetto dell'esecuzione, ma in relazione a quella del reperimento in ogni caso di un alloggio a condizioni anche più disagiate di quelle già esistenti, quanto ad estensione di esso e ad ubicazione nel perimetro cittadino, purché pur sempre in astratto idoneo alle esigenze abitative dell'esecutata ed alle sue condizioni personali.

Deve, dunque, affermarsi il principio che nel caso in esame, non è consentita la sospensione dell’esecuzione dello sfatto quando l’esecutato ultrasessantacinquenne percepisce un reddito che gli consente il fitto di un alloggio, anche in condizioni più disagiate, purché adeguato alla situazione personale e alle conseguenti esigenze abitative dell’interessato, anche a condizioni più disagiate (quanto all'ampiezza, alla, ubicazione meno favorevole in città ed alla stessa tipologia dell'immobile), purché adeguato alla situazione personale ed alle conseguenti esigenze abitative dell'interessato.

lunedì 14 luglio 2008

Cassazione Sent. N. 15321 DEL 10/06/2008

TRIBUTI LOCALI (COMUNALI, PROVINCIALI, REGIONALI) - IMPOSTA COMUNALE SUGLI IMMOBILI (ICI) - APPLICAZIONE DEL TRATTAMENTO AGEVOLATO - NATURA RURALE DELL'IMMOBILE - RILEVANZA - LIMITI
In materia di imposta comunale sugli immobili (ICI), il requisito della "ruralità" del fabbricato non comporta l’esclusione del tributo, ma rileva solo ai fini dell’accatastamento e dell’eventuale attribuzione della rendita, senza che a diversa conclusione possano indurre l’art. 9 D.L. 30.12.93 n. 567 (convertito in legge 26 febbraio 1994, n. 133), e le successive modifiche ed integrazioni di cui al D.P.R. 23 marzo 1998 n. 139 e D.L. 1.10.2007 n. 159 (convertito in legge 29.11.2007, n. 222), che hanno influito solo sui criteri della classificazione catastale e dell’attribuzione della rendita, ma non hanno importato la non assoggettabilità all’ICI del fabbricato qualificato “rurale”.

Cassazione Sent. N. 11203 DEL 07/05/2008

SANZIONI AMMINISTRATIVE - AIUTI AL CONSUMO DELL'OLIO D'OLIVA
Non spettano gli aiuti comunitari al consumo dell’olio d’oliva per quei oleari che si distinguono dai prodotti alimentari di consumo corrente per la particolare composizione e per l’obiettivo nutrizionale perseguito ( nella specie, olio “vitaminizzato”).

Cassazione Sent. N. 10744 DEL 24/04/2008

PROCESSO CIVILE –INCAPACITA' A TESTIMONIARE

Il coniuge in comunione legale dei beni è incapace a testimoniare nelle cause aventi ad oggetto la domanda di pagamento per una prestazione d’opera non imprenditoriale, i cui proventi ricadono immediatamente in comunione (sentenza n. 10398), mentre non è incapace a testimoniare nelle cause aventi ad oggetto il pagamento di una prestazione di carattere imprenditoriale, perché i crediti derivanti dall’esercizio dell’impresa diventano comuni solo al momento dello scioglimento della comunione (sentenza n. 10744).

Condominio, continuità amministrazione

In tema di condominio di edifici, l'istituto della prorogatio imperii - che trova fondamento nella presunzione di conformità alla volontà dei condomini e nell'interesse del condominio alla continuità dell'amministratore - è applicabile in ogni caso in cui il condominio rimanga privato dell'opera dell'amministratore, e pertanto non solo nei casi di scadenza del termine di cui all'art. 1129, comma 2, c. c., o di dimissioni, ma anche nei casi di revoca o di annullamento per illegittimità della relativa delibera di nomina.
Tribunale di Monza sez. I, 15/01/2007

Istituzione del Libro unica del lavoro

Istituzione del libro unico del lavoro entro il periodo di paga relativo a dicembre 2008 ed abolizione immediata di libro matricola e registro d'impresa.

Sono queste le novità contenute nel Decreto 10 luglio 2008 con cui il Ministero del Lavoro ha dato attuazione alle disposizioni dell'articolo 39, D.L. 25 giugno 2008, n. 112 (c.d. manovrà d'estate).

Il libro unico del lavoro dovrà essere conservato presso la sede legale del datore di lavoro o, in alternativa, presso lo studio dei consulenti del lavoro o degli altri professionisti abilitati (il datore di lavoro è tenuto a custodirlo - nel rispetto del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 - per 5 anni dalla data dell'ultima registrazione).

mercoledì 9 luglio 2008

Istanza di Interpello -Potere di rettifica del valore degli immobili – articolo 52 del Testo Unico delle disposizioni concernenti l’imposta di reg.

RISOLUZIONE N. 285/E
Roma, 07 luglio 2008

QUESITO
Il Consiglio Notarile di Alfa fa presente che nel distretto di propria competenza sono stati stipulati, nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2006 e il 4 luglio 2006, atti di cessione aventi ad oggetto immobili abitativi non rientranti nella previsione dell’articolo 1, comma 497, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Finanziaria 2006) in quanto, pur avendo tutti gli altri requisiti previsti dalla norma, privi della richiesta dell’acquirente di volersi avvalere del c.d. “prezzo-valore”.
In assenza di tale richiesta l’Ufficio locale di Alfa ha proceduto alla rettifica del valore indicato nei citati atti, anche se lo stesso non è inferiore al valore catastale, ritenendo non più applicabile la disposizione di cui al comma 4 dell’articolo 52 del TUR, in forza di quanto previsto dall’articolo 52, comma 5-bis, dello stesso TUR.
Ciò premesso, l’istante chiede di sapere se per gli atti stipulati tra il 1° gennaio 2006 ed il 4 luglio 2006, con le modalità descritte in precedenza, sia applicabile il comma 4 dell’articolo 52 TUR ovvero tale disposizione non rilevi tenuto conto del disposto di cui al comma 5 – bis dello stesso articolo.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DALL’ISTANTE
L’istante ritiene che, con riferimento agli atti prospettati, pur in mancanza di un’espressa richiesta per l’applicazione del prezzo-valore prevista dall’articolo 1, comma 497, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, sia in ogni caso preclusa all’ufficio l’attività di accertamento qualora ricorrano i presupposti per l’applicazione dell’articolo 52, comma 4, del TUR.
PARERE DELLA DIREZIONE
In via preliminare si osserva che l’istanza in esame è inammissibile e non può essere trattata alla stregua di un interpello ai sensi e per gli effetti dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, poiché priva sia dei requisiti previsti dall’articolo 3, comma 1, lettera b), del decreto 26 aprile 2001, n. 209, in quanto la fattispecie prospettata dall’istante non è direttamente riferibile ad un caso concreto e personale, sia dei requisiti di preventività di cui all’articolo 1, comma 2, dello stesso decreto.
Tuttavia, si reputa opportuno esaminare nel merito la questione prospettata, rappresentando di seguito un parere che non produce gli effetti tipici dell’interpello, ma rientra nell’attività di consulenza giuridica secondo le modalità illustrate con la circolare 18 maggio 2000, n. 99.
La base imponibile dell’imposta di registro è di norma costituita dal valore del bene o del diritto che costituisce l’oggetto dell’atto da sottoporre a registrazione, da individuarsi nel valore dichiarato dalle parti in atto o, se superiore, nel corrispettivo pattuito (articoli 43 e 51, comma 1, TUR).
Per gli atti che hanno per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari l’articolo 51, comma 2, del TUR stabilisce che “… si intende per valore il valore venale in comune commercio” .
Tanto premesso, il comma 4 dell’articolo 52 del TUR dispone che “4. Non sono sottoposti a rettifica il valore o il corrispettivo degli immobili, iscritti in catasto con attribuzione di rendita, dichiarato in misura non inferiore, per i terreni, a settantacinque volte il reddito dominicale risultante in catasto e, per i fabbricati, a cento volte il reddito risultante in catasto, aggiornati con i coefficienti stabiliti per le imposte sul reddito, né i valori o corrispettivi della nuda proprietà e dei diritti reali di godimento sugli immobili stessi dichiarati in misura non inferiore a quella determinata su tale base a norma degli articoli 47 e 48…”.
In forza di quest’ultima disposizione, ed anteriormente alle novità introdotte dall’articolo 35, comma 23 – ter, DL 4 luglio 2006, n. 223, inserito in sede di conversione dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, il potere di rettifica del valore degli immobili e dei diritti reali immobiliari non poteva essere esercitato qualora il valore dichiarato nell’atto non fosse inferiore al valore catastale, moltiplicato per i coefficienti previsti dalla norma (c.d. “valutazione automatica”).
L’articolo 1, comma 497, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), come modificato dal decreto legge del 4 luglio 2006, n. 223 e dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296, ha individuato, in presenza di determinati requisiti (soggettivi ed oggettivi), il criterio della “valutazione automatica” quale criterio opzionale, applicabile su richiesta della parte acquirente, per determinare la base imponibile del bene trasferito. Infatti, la predetta norma dispone che:
“In deroga alla disciplina di cui all’articolo 43 del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, e fatta salva l’applicazione dell’articolo 39, primo comma, lettera d), ultimo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, per le sole cessioni nei confronti di
persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze, all’atto della cessione e su richiesta della parte acquirente resa al notaio, la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali è costituita dal valore dell’immobile determinato ai sensi dell’articolo 52, commi 4 e 5, del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, indipendentemente dal corrispettivo pattuito indicato nell’atto. Le parti hanno comunque l’obbligo di indicare nell’atto il corrispettivo pattuito. Gli onorari notarili sono ridotti del 30 per cento.”
Successivamente, il richiamato comma 23 – ter dell’articolo 35, del decreto - legge 4 luglio 2006, n. 223, ha aggiunto, all’articolo 52 del TUR, il comma 5 – bis, per il quale “Le disposizioni dei commi 4 e 5 non si applicano relativamente alle cessioni di immobili e relative pertinenze diverse da quelle disciplinate dall’articolo 1, comma 497, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e successive modificazioni”.
Quest’ultima disposizione – in vigore dal 12 agosto 2006, data di entrata in vigore della legge 4 agosto 2006, n. 248 - ha eliminato, pertanto, il limite preclusivo dell’attività accertativa dell’Ufficio per gli atti riguardanti le cessioni di immobili, qualora la parte acquirente non abbia richiesto l’applicazione del criterio della “valutazione automatica”.
Con la circolare 6 febbraio 2007, n. 6 (consultabile sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate) sono state impartite istruzioni operative circa la corretta applicazione del comma 5 – bis dell’articolo 52 del TUR.
Al riguardo è stato chiarito che “i limiti all’accertamento di valore ex commi 4 e 5 dell’articolo 52 del TUR continuano a valere per gli atti pubblici formati, le scritture private autenticate e le scritture private registrate prima del 12 agosto 2006”.
Ne consegue, pertanto, che per gli atti stipulati tra il 1° gennaio 2006 e l’11 agosto 2006, per i quali non sia determinata la base imponibile col sistema del “prezzo – valore”, trova applicazione la disposizione di cui al comma 4
dell’articolo 52 del TUR, semprechè, ovviamente, ne ricorrano i presupposti di legge.
Le Direzioni Regionali vigileranno affinché i principi enunciati nella presente risoluzione vengano applicati con uniformità.

PROFESSIONI E PROFESSIONISTI – AVVOCATI – SANZIONI DISCIPLINARI – PROCESSO

Le S.U., mutando un risalente orientamento (n. 6781 del 1983), hanno affermato che nei procedimenti dinanzi al Consiglio Nazionale Forense la riassunzione del giudizio in sede di rinvio, dopo la pronuncia della Cassazione, deve essere fatta a cura della parte e non d’ufficio ad opera del medesimo Consiglio, risultando in tale ultimo caso inammissibile con conseguente estinzione del processo.
Sentenza n. 17938 del 1° luglio 2008

Il condominio non risarcisce il danno subito da chi scivola sulle scale se il pericolo era evidente

Se il fatto lesivo è stato cagionato esclusivamente dal comportamento del danneggiato nessun risarcimento è dovuto dal condominio.

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato da una signora che chiedeva il risarcimento del danno subito a causa della caduta occorsale nell’atrio di un edificio reso scivoloso dalla cera applicata dal custode dello stabile, combinata con l’acqua piovana trasportata dal passaggio degli inquilini.

La Corte ha ribadito che la responsabilità del custode ex art. 2051 c.c. è esclusa soltanto quando il danno sia eziologicamente riconducibile non alla cosa, ma al fortuito senza che rilevi che questo sia costituito da un comportamento umano, nel fatto cioè dello stesso danneggiato o di un terzo. Nel caso in esame si rileva dunque la sussistenza di un comportamento colposo della vittima che, in base alla sua stessa prospettazione dei fatti (la signora aveva, infatti, dichiarato in primo grado che, prima di assicurare la presa ai corrimani delle scale, aveva alzato il piede sinistro sul primo gradino, rendendo così più instabile il proprio equilibrio e rovinando a terra), pur potendo verificare in condizioni di normale visibilità che il pavimento appariva in condizioni di percepibile scivolosità, non aveva prestato la normale diligenza e la dovuta particolare attenzione alla situazione anomala dei luoghi.

Infatti, una volta che sia stato accertato, in via di fatto, che l’evento lesivo sia stato cagionato esclusivamente dal comportamento della danneggiata, giustamente la Corte di merito ha escluso che possa trovare applicazione la responsabilità oggettive del custode ex art. 2051 cc, che presuppone invece la diversa ipotesi dei danni cagionati dal la cosa in custodia per la sua intrinseca natura ovvero per l’insorgenza in essa di fattori, dannosi.

Cass. civ., Sez. III, Sentenza 19 Giugno 2008 , n. 16607

lunedì 7 luglio 2008

Dir. Penale Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, Sentenza 27 marzo 2008 n. 26654

Le Sezioni Unite sanciscono che il profitto del reato oggetto di confisca ai sensi dell’art. 19 d.lgs. n. 231/01 si identifica con il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato presupposto; inoltre la Corte chiarisce la nozione di profitto oggetto di confisca, precisando che essa non possa essere estesa fino ad arrivare ad una duplicazione della sanzione, quando l’ente, in adempimento del contratto, abbia posto in essere un’attività, per i cui risultati economici manchi un nesso diretto ed immediato con il reato.

Dir. Penale Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, Sentenza 29 maggio 2008 n. 25695

Il ricorso per cassazione della persona offesa costituita parte civile contro la sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p. è previsto, dopo le modifiche introdotte dalla legge 46/2006 (c.d. "Pecorella-bis") all’art. 428 c.p.p., esclusivamente agli effetti penali. Ne consegue che la Suprema Corte, in caso di annullamento con rinvio, dispone la trasmissione degli atti al Tribunale cui appartiene il G.U.P. che ha emesso la sentenza impugnata

Cause relative alla misura ed alle modalità d'uso dei servizi del condominio, competenza del giudice di pace

Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 2008, n. 3937

In tema di controversie tra condomini, devono intendersi per cause relative alle modalità d'uso di servizi condominiali quelle riguardanti limiti qualitativi di esercizio delle facoltà contenute nel diritto di comunione e, quindi, quelle relative al modo più conveniente ed opportuno in cui tali facoltà debbono essere esercitate; mentre per cause relative alla misura dei servizi condominiali debbono intendersi quelle concernenti una riduzione o limitazione quantitativa del diritto dei singoli condomini. Sussiste, pertanto, la competenza ordinaria per valore, qualora al condomino non derivi una limitazione qualitativa del suo diritto, ma la negazione in radice di esso, come, ad esempio, per la domanda diretta alla declaratoria di inibizione al parcheggio dell'autovettura nel cortile comune (Cass. ord. 15-4-2002 n. 5448, 22 maggio 2000 n. 6642, 13 ottobre 1997 n. 9946, 28 settembre 1994 n. 7888).

Nella fattispecie in esame, l'assegnazione ai condomini, compresa l'odierna ricorrente, dei posti auto sul piazzale comune, deliberata dall'assemblea condominiale all'unanimità, non limita in alcun modo il diritto che alla stessa spetta, quale condomina, sul piazzale medesimo, ma rende eventualmente, come sostiene, "impervio l'accesso e l'uscita dal proprio posto auto interno, tutte le volte in cui il posto antistante risulti occupato dall'autovettura del condomino assegnatario".
Ne deriva che competente a conoscere ratione materiae della controversia da lei instaurata è, alla luce della giurisprudenza più sopra richiamata, il Giudice di pace ex articolo 7 c.p.c. comma 3 n. 2.

Le cause relative alla misura ed alle modalità d'uso dei servizi del condominio, di competenza del giudice di pace, sono sia quelle che riguardano le riduzioni o limitazioni quantitative del diritto di godimento dei singoli condomini sulle cose comuni sia quelle che concernono i limiti qualitativi di esercizio delle facoltà comprese nel diritto di comunione , in proporzione delle rispettive quote, mentre sono assoggettate alle ordinarie regole della competenza per valore quelle aventi ad oggetto la contestazione della titolarità del diritto di comproprietà sulle cose comuni.

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Garante Privacy, semplicificazioni trattamenti dati per finalità amministrative

GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, PROVVEDIMENTO 19 giugno 2008

Semplificazioni rispetto a trattamenti di dati per finalita' amministrative e contabili.

(GU n. 152 del 1-7-2008)

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI


Nella riunione odierna, in presenza del prof. Francesco Pizzetti, presidente, del dott. Giuseppe Chiaravalloti, vice presidente, del dott. Mauro Paissan e del dott. Giuseppe Fortunato, componenti, e del dott. Giovanni Buttarelli, segretario generale;

Visto il Codice in materia di protezione dei dati personali (decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196) e ritenuta l'opportunita' di promuovere alcune misure di semplificazione per l'intero settore pubblico e privato in relazione alle correnti attivita' amministrative e contabili, in particolare nei riguardi di piccole e medie imprese, liberi professionisti e artigiani;

Viste le osservazioni formulate dal segretario generale ai sensi dell'art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;

Relatore il prof. Francesco Pizzetti;

Premesso:


1. Esigenze alla base di nuove misure di semplificazione.

Presso vari operatori si avverte l'esigenza di alcune semplificazioni nell'applicazione della disciplina sulla protezione dei dati personali.

La riflessione in ambito pubblico e privato e' avvertita in modo particolare presso piccole e medie imprese, liberi professionisti e artigiani, per quanto riguarda la gestione di informazioni attinenti ad altre imprese, amministrazioni, clienti, fornitori e dipendenti utilizzate, anche in relazione a obblighi contrattuali e normativi, per correnti finalita' amministrative e contabili.

Sulla base dell'esperienza acquisita in materia vengono prospettate alcune criticita' rispetto a determinate modalita' per adempiere a obblighi di legge o derivanti da un contratto, avvertite come troppo onerose in rapporto alle garanzie per gli interessati.

Il Garante ha completato un'analisi approfondita della problematica. In aggiunta alle misure di semplificazione disposte con decisioni per casi specifici, l'Autorita' ha intrapreso varie iniziative, anche sulla base di un dialogo con le categorie interessate, che ha gia' comportato l'approvazione di un provvedimento di carattere generale («Guida pratica e misure di semplificazione per le piccole e medie imprese», Provv. 24 maggio 2007, n. 21, in Gazzetta Ufficiale 21 giugno 2007, n. 142 e doc. web n. 1412271).

Dall'istruttoria sono emerse tre valutazioni di fondo:

a) alcune modalita' applicative, seguite soprattutto presso piccole imprese, liberi professionisti e artigiani, sono ancora basate su approcci prettamente burocratici e di ordine puramente formale. Istituti posti a garanzia degli interessati vengono banalizzati in contrasto con lo spirito del Codice che intende assicurare una protezione elevata dei diritti e delle liberta' fondamentali «nel rispetto dei principi di semplificazione, armonizzazione ed efficacia» (art. 2, comma 2). Da tali prassi conseguono adempimenti superflui o ripetuti inutilmente, talvolta anche per effetto di erronee valutazioni fornite in sede di consulenza, con oneri organizzativi da cui non deriva un reale valore aggiunto ai fini della correttezza e della trasparenza del trattamento e che gli interessati avvertono con disinteresse o fastidio;

b) e' possibile apportare ulteriori semplificazioni (in particolare per agevolare la corrente attivita' gestionale di organismi pubblici e privati di ridotte dimensioni), in aggiunta a quelle gia' introdotte per legge o da questa Autorita' e in armonia con la disciplina complessiva, anche comunitaria, della materia, salvaguardando i diritti e le liberta' fondamentali dei cittadini;

c) la protezione dei dati personali puo' rappresentare una risorsa, anche per piccole e medie imprese, rendere piu' efficiente l'attivita' gestionale e incrementare la fiducia degli interessati.

L'Autorita' intende fornire un suo nuovo contributo in materia esercitando le attribuzioni che le sono conferite per legge.

Con il presente provvedimento sono pertanto individuate soluzioni concrete volte ad agevolare ulteriormente l'ordinaria attivita' di gestione amministrativa e contabile, in modo particolare rispetto ai casi in cui non sono trattati dati di carattere sensibile o giudiziario. Di seguito, vengono quindi enunciate nuove linee guida-interpretative della normativa vigente e sono individuate alcune modalita' innovative per semplificare taluni adempimenti, in modo particolare per l'informativa agli interessati e il consenso.

2. L'informativa agli interessati.

Diverse realta', specie imprenditoriali di piccole e medie dimensioni, trattano dati, anche in relazione a obblighi contrattuali, precontrattuali o di legge, esclusivamente per finalita' di ordine amministrativo e contabile (gestione di ordinativi, buste paga e di ordinaria corrispondenza con clienti, fornitori, realta' esterne di supporto anche in outsourcing, dipendenti); spesso, cio' accade in relazione a informazioni che non hanno carattere sensibile o giudiziario.

Alcune tra le criticita' menzionate riguardano le modalita' con cui l'informativa e' fornita per iscritto, anziche' oralmente (art. 13).

Sono stati formati spesso moduli lunghi e burocratici, privi di comunicativita' e basati sull'eccessivo uso di espressioni prettamente giuridiche, inidonee a far comprendere le caratteristiche principali del trattamento. Alla mancanza di chiarezza si e' sommata l'inutile ripetizione dell'informativa in occasione di ciascun contatto con gli interessati, frazionando le spiegazioni che andrebbero invece fornite in modo organico e possibilmente unitario.

Il Garante intende prescrivere a tutti i titolari in ambito privato e pubblico alcune misure opportune e formulare indicazioni per semplificare l'informativa nei termini di cui al seguente dispositivo (articoli 2, comma 2, 13, commi 3 e 5 e 154, comma 1, lettera c)).

3. Il consenso.

Il Garante, con riferimento al consenso (art. 23), considerati i principi di efficacia e proporzionalita' e in relazione agli articoli 2, 18, 24 comma 1 e 154, comma 1, lettera c), del Codice, intende anche prescrivere a tutti i titolari del trattamento pubblici e privati alcune misure opportune affinche' non richiedano il consenso nei vari casi in cui esso non deve essere richiesto (dai soggetti pubblici) o e' superfluo (per i soggetti privati). Cio', in particolare, quando:

a) il trattamento dei dati in ambito privato e' svolto per adempiere a obblighi contrattuali o normativi o, comunque, per ordinarie finalita' amministrative e contabili;

b) i dati trattati provengono da pubblici registri ed elenchi pubblici conoscibili da chiunque o sono relativi allo svolgimento di attivita' economiche dell'interessato (vedasi, per i presupposti relativi a ciascuno dei predetti casi, l'art. 24, comma 1; vedasi anche l'art. 18, comma 4).

Il Garante, in applicazione dell'istituto del bilanciamento degli interessi (art. 24, comma 1, lettera g)) intende anche individuare un'ulteriore ipotesi nella quale il consenso non va richiesto.

Il titolare del trattamento che abbia gia' venduto un prodotto o prestato un servizio a un interessato, nel quadro dello svolgimento di ordinarie finalita' amministrative e contabili, potra' utilizzare nei termini di cui al seguente dispositivo i recapiti (oltre che di posta elettronica, come gia' previsto per legge: art. 130, comma 4) di posta cartacea forniti dall'interessato medesimo, per inviare ulteriore suo materiale pubblicitario o promuovere una sua vendita diretta o per compiere sue ricerche di mercato o di comunicazione commerciale.

Tale bilanciamento degli interessi considera le difficolta' rappresentate da alcuni operatori economici nel conservare un proprio diretto «canale comunicativo» con i soggetti con i quali abbiano gia' instaurato un rapporto contrattuale; tiene al tempo stesso conto del diritto dell'interessato a non essere disturbato mediante comunicazioni promozionali, in base a garanzie analoghe a quelle previste, per la situazione appena indicata, per l'uso della posta elettronica (art. 130, comma 4; vedasi anche, con riguardo alle comunicazioni postali, l'art. 58, comma 2, decreto legislativo n. 206/2005).

Non e' necessario rivolgere un'istanza al Garante per avvalersi delle opportunita' previste dal presente punto 3.

Viene infine dato atto nel seguente dispositivo di alcune altre risultanze dell'istruttoria relative alla designazione degli incaricati del trattamento e alla notificazione dei trattamenti.

Tutto cio' premesso il Garante

1. Ai sensi degli articoli 2, comma 2, 13, commi 3 e 5 e 154, comma 1, lettera c), del Codice formula a tutti i titolari del trattamento in ambito privato e pubblico, in particolare a piccole e medie imprese, liberi professionisti, artigiani, le seguenti indicazioni per semplificare l'informativa rispetto allo svolgimento di correnti finalita' amministrative e contabili, anche in relazione all'adempimento di obblighi contrattuali, precontrattuali o normativi. Detti soggetti possono:

a) fornire un'unica informativa per il complesso dei trattamenti, anziche' per singoli aspetti del rapporto con gli interessati;

b) fornire a questi ultimi una ricostruzione organica dei trattamenti e con linguaggio semplice, senza frammentarla o reiterarla inutilmente;

c) indicare le informazioni essenziali in un quadro adeguato di lealta' e correttezza;

d) redigere, per quanto possibile, una prima informativa breve.

All'interessato, anche oralmente, andrebbero indicate sinteticamente alcune prime notizie chiarendo subito, con immediatezza, le principali caratteristiche del trattamento. In linea di massima l'informativa breve, quando e' scritta, puo' avere la seguente formulazione:

«I SUOI DATI PERSONALI


Utilizziamo - anche tramite collaboratori esterni - i dati che la riguardano esclusivamente per nostre finalita' amministrative e contabili, anche quando li comunichiamo a terzi. Informazioni dettagliate, anche in ordine al suo diritto di accesso e agli altri suoi diritti, sono riportate su......»;

e) per l'informativa, specie per quella breve, si possono utilizzare gli spazi utili nel materiale cartaceo e nella corrispondenza che si impiegano gia', ordinariamente, per finalita' amministrative e contabili;

f) l'informativa breve puo' rinviare a un testo piu' articolato, disponibile agevolmente senza oneri per gli interessati, in luoghi e con modalita' facilmente accessibili anche con strumenti informatici e telematici (in particolare, tramite reti Intranet o siti Internet, affissioni in bacheche o locali, avvisi e cartelli agli sportelli per la clientela, messaggi preregistrati disponibili digitando un numero telefonico gratuito). Anche questa piu' ampia informativa deve essere improntata a correttezza, tenendo conto di possibili modifiche del trattamento, ed essere basata su espressioni sintetiche, chiare e comprensibili. Le notizie da indicare per legge (art. 13, comma 1) devono essere aggiornate, specificando la data dell'ultimo aggiornamento;

g) e' possibile non inserire nell'informativa piu' articolata gli elementi noti all'interessato (art. 13, commi 2 e 4). E' opportuno omettere riferimenti meramente burocratici o circostanze ovvie, per esempio quando alcune informazioni, compresi gli estremi identificativi del titolare, risultano da altre parti del documento in cui e' presente l'informativa. Vanno utilizzate espressioni efficaci, anche se sintetiche, anche per quanto riguarda i diritti degli interessati e l'organismo o soggetto al quale rivolgersi per esercitarli. Se e' prevista la raccolta di dati presso terzi e' possibile formulare una sola informativa per i dati forniti direttamente dall'interessato e per quelli che saranno acquisiti presso terzi. Per questi ultimi dati, l'informativa puo' non essere fornita quando vi e' un obbligo normativo di trattarli (art. 13, comma 5);

h) e' opportuno che l'informativa piu' articolata sia basata su uno schema tendenzialmente uniforme per il settore di attivita' del titolare del trattamento;

i) e' invece necessario fornire un'informativa specifica o ad hoc quando il trattamento ha caratteristiche del tutto particolari perche' coinvolge, ad esempio, peculiari informazioni (es. dati genetici) o prevede forme inusuali di utilizzazione di dati, specie sensibili, rispetto alle ordinarie esigenze amministrative e contabili, o puo' comportare rischi specifici per gli interessati (ad esempio, rispetto a determinate forme di uso di dati biometrici o di controllo delle attivita' dei lavoratori). Se il titolare del trattamento e' un soggetto pubblico devono essere inserite le indicazioni che la legge prevede per i dati sensibili e giudiziari.

2. Invita le associazioni di categoria a predisporre informative-tipo per determinati settori o categorie di trattamento, anche in collaborazione con questa Autorita'. Il Garante si riserva in questo quadro di porre a disposizione gratuita (chiedendo anche la collaborazione delle camere di commercio), un kit contenente concrete istruzioni e fac-simile per semplificare tutti gli adempimenti in materia.

3. Richiama l'attenzione dei titolari del trattamento sulla circostanza che la designazione degli incaricati del trattamento puo' avvenire in modo semplificato evitando singoli atti circostanziati relativi distintamente a ciascun incaricato, individuando i trattamenti di dati e le relative modalita' che sono consentiti all'unita' cui sono addetti gli incaricati stessi (art. 30).

4. Richiama l'attenzione dei titolari del trattamento sulla circostanza che, per effetto delle previsioni del Codice e delle determinazioni gia' adottate da questa Autorita', la notificazione telematica al Garante non e' necessaria per perseguire finalita' amministrative e contabili, salvo che per eventuali casi eccezionali indicati per legge (art. 37).

5. Ai sensi degli articoli 2, comma 2, 24 e 154, comma 1, lettera c), del Codice invita tutti i titolari del trattamento pubblici e privati a non chiedere il consenso degli interessati quando il trattamento dei dati e' svolto, anche in relazione all'adempimento di obblighi contrattuali, precontrattuali o normativi, esclusivamente per correnti finalita' amministrative e contabili, nonche' quando i dati provengono da pubblici registri ed elenchi pubblici conoscibili da chiunque, o sono relativi allo svolgimento di attivita' economiche o sono trattati da un soggetto pubblico.

6. In applicazione del principio del bilanciamento degli interessi (art. 24, comma 1, lettera g)), dispone che i titolari del trattamento in ambito privato che hanno venduto un prodotto o prestato un servizio, nel quadro del perseguimento di ordinarie finalita' amministrative e contabili, possono utilizzare senza il consenso i recapiti (oltre che di posta elettronica come gia' previsto per legge) di posta cartacea forniti dall'interessato, ai fini dell'invio diretto di proprio materiale pubblicitario o di propria vendita diretta o per il compimento di proprie ricerche di mercato o di comunicazione commerciale. Cio', rispettando anche le garanzie previste per le attivita' di profilazione degli interessati (Provv. 24 febbraio 2005, doc. web n. 1103045), a condizione che:

a) tale attivita' promozionale riguardi beni e servizi del medesimo titolare e analoghi a quelli oggetto della vendita;

b) l'interessato, al momento della raccolta e in occasione dell'invio di ogni comunicazione effettuata per le menzionate finalita', sia informato della possibilita' di opporsi in ogni momento al trattamento, in maniera agevole e gratuitamente, anche mediante l'utilizzo della posta elettronica o del fax o del telefono e di ottenere un immediato riscontro che confermi l'interruzione di tale trattamento (art. 7, comma 4);

c) l'interessato medesimo, cosi' adeguatamente informato gia' prima dell'instaurazione del rapporto, non si opponga a tale uso, inizialmente o in occasione di successive comunicazioni.

7. Dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Ministero della giustizia - Ufficio pubblicazione leggi e decreti, per la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, nonche' alle associazioni di categoria, ai ministeri interessati e alle camere di commercio.

Roma, 19 giugno 2008

Il presidente - relatore Pizzetti


Il segretario generale
Buttarelli