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lunedì 30 luglio 2012

Condominio: infiltrazioni, legittimazione dell'Amministratore

La Cassazione è tornata ad occuparsi della legittimazione attiva e passiva dell’amministratore di condominio. La sentenza cui facciamo riferimento è la n. 10951 depositata in cancelleria lo scorso 28 giugno.

I comproprietari di un’unità immobiliare ubicata in condominio fanno causa alla compagine cui partecipano ed ai vicini del piano sovrastante: l’azione è volta ad ottenere il risarcimento del danno causato da infiltrazioni provenienti dal terrazzino che copre parte del loro appartamento. Il condominio si costituisce in giudizio lamentando l’impossibilità d’intervenire per la resistenze poste dai proprietari del terrazzo. Questi ultimi, invece, affermano che le infiltrazioni provengono da parti comuni. Condominio e proprietari del terrazzo venivano condannati tanto in primo grado quanto in appello. A quel punto non resta che il giudizio in Cassazione. L’amministratore, per conto del condominio, tramite l’avvocato incarico presenta ricorso (tecnicamente controricorso visto che la causa di legittimità era stata attivata dai proprietari del terrazzo).

Gli ermellini evidenziano che il mandatario della compagine non aveva l’autorizzazione assembleare, necessaria per questo genere di causa. In particolare si legge in sentenza, nel rispetto di quanto stabilito dalle Sezioni Unite (sent. n. 18331/10), che " l'amministratore di condominio, in base al disposto dell'art. 1131 c.c., comma 2 e 3, può anche costituirsi in giudizio e impugnare al sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione a tanto dall'assemblea, ma dovrà, in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell'assemblea per evitare pronuncia di inammissibilità dell'atto di costituzione ovvero di impugnazione". Le SSUU rilevavano che la normativa deve essere interpretata alla luce dei principi generali e, soprattutto, del ruolo e delle competenze dell'amministratore di condominio, nonchè in base al diritto di dissenso dei condomini rispetto alle liti (art. 1132 c.c.) e che, quindi, l'amministratore non ha autonomi poteri, ma si limita ad eseguire le deliberazioni dell'assemblea ovvero a compiere atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio (art. 1130 c.c.)” (principio espresso da Cass. SS.UU. 18331/10 richiamato in Cass. .28 giugno 2012 n. 10951).

In considerazione di ciò, prosegue la Corte, “in materia di azioni processuali il potere decisionale spetta solo ed esclusivamente all'assemblea che dovrà deliberare se agire in giudizio, se resistere e se impugnare i provvedimenti in cui il condominio risulta soccombente; un tale potere decisionale, secondo la richiamata sentenza, non può competere all'amministratore che, per sua natura, non è un organo decisionale ma meramente esecutivo del condominio. Alla luce di tali principi, ai quali occorre dare continuità, deve essere assegnato all'amministratore del condominio, ai sensi dell'art. 182 c.p.c., termine perentorio di 90 giorni dalla comunicazione della presente ordinanza per provvedere al deposito della ratifica del suo operato da parte dell'assemblea o, se già autorizzato, dell'autorizzazione dell'assemblea condominiale”

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lunedì 23 luglio 2012

Condominio e Mediazione

Il 20 marzo è entrata in vigore l’obbligatorietà anche per quanto riguarda, come dice molto sinteticamente l’art. 5 del D.Lgs. 28/10, la materia di condominio, con l’auspicio che molte di questo genere di controversie possano essere chiuse senza arrivare in Tribunale.

Sorgono quindi diverse questioni da affrontare, che affronterò in questo brevissimo contributo che non pretende di essere esaustivo.

La prima riguarda la legittimazione dell’amministratore a partecipare, sia come istante che come convocato, alla procedura di mediazione.L’amministratore, quale rappresentante legale del condominio, è legittimato a partecipare alla procedura senza la previa autorizzazione dell’assemblea, in quanto gli è attribuita ex lege la legittimazione processuale, attiva e passiva, ovviamente solo nei limiti delle sue peculiari attribuzioni (art. 1130 c.c.); buon senso,consiglierebbe però di informare immediatamente l’assemblea, soprattutto nel caso in cui il Condominio sia parte convocata. Quando la questione dovesse oltrepassare i suoi poteri, l'amministratore  dovrebbe chiedere l’autorizzazione preventiva sia in caso di chiamata attiva che passiva.

In ogni caso, dato che l’eventuale accordo diventa vincolante per il Condominio e quindi per i condomini, è evidente la necessità della sua approvazione assembleare, sia per l’ordinaria che per la straordinaria amministrazione. In sostanza, ciò che avrà compiuto l’amministratore, a meno che non vi sia stata una delibera preventiva, può qualificarsi come una mera trattativa che poi l’assemblea dovrà ratificare; come detto, però, si ritiene  che sia possibile anche che l’amministratore, sia che agisca come istante che come chiamato, possa essere munito di una deliberazione assembleare valida che gli fornisca dei margini su cui operare, in modo che si presenti in Mediazione con la concreta possibilità di chiudere la questione. Sarebbe forse addirittura consigliabile che qualche condomino  accompagni l’amministratore agli incontri.

Per quanto riguarda le maggioranze necessarie per l’approvazione delle delibere, volendo ricordare che l’accordo di mediazione può essere configurato come una transazione, dobbiamo distinguere tra accordi che incidono sui diritti dei condomini e quelli che invece contengano solamente una regolamentazione economica dei rapporti tra le parti. Nel primo caso riteniamo che sia consigliabile (se non indispensabile) l’approvazione all’unanimità; nel secondo probabilmente è sufficiente l’approvazione con le maggioranze previste dal codice e dal regolamento di condominio. Trattandosi comunque di materia nuova, saranno la pratica e l’eventuale giurisprudenza a chiarire i dubbi.

Infine, un brevissimo accenno sulla tipologia delle controversie condominiali che saranno soggette al tentativo di mediazione. Senza voler fare un elenco, crediamo di poter dire che saranno ricomprese nell’obbligatorietà, data la  genericità della norma, tutte quelle controversie in cui la questione riguardi la disciplina condominiale, dall’approvazione delle tabelle millesimali, all’approvazione e alla modifica del regolamento, alle problematiche sull’incarico dell’amministratore ed il suo svolgimento, alla quantificazione e ripartizione delle spese e così via.

In tutto ciò, naturalmente, andrà anche tenuto presente, a seconda della natura della controversia, il ruolo di eventuali condomini che (ad esempio) l’istante sostenga stiano utilizzando i servizi condominiali in modo inappropriato, e che dovranno ovviamente essere chiamati in mediazione. La pratica quotidiana, e la preparazione dei mediatori, dovranno chiarire al meglio tutte le problematiche che inevitabilmente si presenteranno.

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lunedì 16 luglio 2012

Non basta che gli affari vadano male come motivo di risoluzione del contratto di locazione (CASS. 10624/2012)

"In tema di recesso del conduttore in base al disposto di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 27, u.c., nell'ipotesi di andamento della congiuntura economica favorevole all'attività di impresa, che obblighi ad ampliare la struttura aziendale così da rendere particolarmente gravosa la persistenza del rapporto locativo, non è sufficiente la unilaterale valutazione del conduttore circa la propria convenienza a lasciare l'immobile, a seguito della sopravvenuta restituzione, in suo favore, del possesso di locali, più estesi, di sua proprietà, ma la gravosità della persistenza del rapporto locativo deve essere valutata oggettivamente ed in concreto utilizzando come parametri comparativi da una parte la dimensione e le caratteristiche dell'immobile locato e del nuovo locale e dall'altra le sopravvenute nuove esigenze di produzione e di commercio dell'azienda. Ne consegue che il giudice del merito non può limitarsi a prendere in considerazione il fatto che vi sia stato un aumento del fatturato aziendale o un aumento del personale lavorante, indici di per sè soli, utili ma non sufficienti al fine propostosi, ma deve altresì verificare, sulla base delle prove raccolte - il cui onere spetta al conduttore recedente secondo i principi generali in materia di ripartizione dell'onere probatorio - se nello specifico ed in concreto le caratteristiche dell'immobile oggetto di locazione siano divenute inadeguate alla accresciuta dimensione dell'azienda così da rendere oltremodo gravosa per il conduttore la prosecuzione del rapporto locativo"

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lunedì 9 luglio 2012

mutui per ristrutturazioni

L'aumento del bonus ristrutturazioni dal 36 al 50% ha portato al rialzo l'andamento dei prestiti finalizzati ai lavori in casa.
Se le compravendite sono in frenata, un'alternativa è rappresentata dalla ristrutturazione del proprio appartamento, più allettante dal 26 giugno, data di entrata in vigore del decreto Sviluppo, che prevede l'aumento delle detrazioni Irpef sui lavori di ristrutturazione dal 36% al 50% delle spese sostenute, fino ad un massimo di 96mila euro (prima era 48mila).

Già nel I semestre 2012, i finanziamenti richiesti per ristrutture casa sono stati una fetta significativa del mercato, con il 13% del totale delle domande di prestito personale e un importo medio di 16.800 da restituire in 78 mesi. Il richiedente tipo ha intorno ai 40 anni e dichiara di guadagnare 1.700 euro al mese. La quota di prestiti destinata alla ristrutturazione è decisamete più alta al Sud dove raggiunge una quota del 17 per cento.
Un fenomeno che si può prevedere in crescita almeno fino a fine giugno 2013, quando terminerà l'aumento del bouns previsto dall'articolo 11 del decreto Sviluppo. A parte l'innalzamento della quota deducibile alla metà dell'importo totale fino a un tetto di 96mila euro per intervento, restano valide tutte le altre regole, dalla rateazione in dieci anni del bonus all'elenco delle opere agevolabili contenuta all'articolo 16-bis del Tuir, inserito nel testo unico dall'articolo 4 del Dl 201/2011. Potranno essere quindi detratte al 50% le spese per manutenzioni straordinarie, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia su singole unità immobiliari residenziali di qualsiasi categoria catastale, anche rurali, e sulle loro pertinenze (anche per manutenzioni ordinarie di parti comuni condominiali).

Per poter beneficiare del bonus maggiorato il riferimento saranno le «spese documentate», cioè i bonifici "tracciabili" – nei modelli appositamente predisposti per questo tipo di pratica – effettuati per il pagamento dei lavori.
Sembra chiaro che tutte le spese che saranno sostenute dopo l'entrata delle nuove regole saranno agevolabili al 50 per cento. Il problema potrebbe essere il calcolo del limite massimo di spesa: come deve regolarsi chi quest'anno ha già speso, ad esempio, 15mila euro? Logica vorrebbe che il suo monte-spese residuo, per lo stesso intervento, sia pari alla differenza con 96mila, quindi 81mila. Per avere certezza su questo punto sono necessari chiarimenti a breve, perché in teoria potrebbero essere applicabili anche letture e interpretazioni diverse da parte delle Entrate.
Tra la fine del 2011 e i primi mesi 2012 il bonus sulle ristrutturazioni ha già subìto significativi "ritocchi": dalla cancellazione dell'obbligo della comunicazione di inizio lavori al Centro operativo di Pescara alla trasformazione (dal 1° gennaio) della detrazione in misura stabile e non soggetta a scadenze (anche se poi venivano puntualmente prorogate di anno in anno.

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domenica 1 luglio 2012

Cortile condominiale (Cass. 9877/2012)

Il cortile condominiale è l’area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di più edifici, che serve a dare aria e luce agli ambienti circostanti.

Ma avuto riguardo all’ampia portata della parola e, soprattutto, alla funzione di dare aria e luce agli ambienti, che vi prospettano, nel termine cortile possono ritenersi compresi anche i vari spazi liberi disposti esternamente alle facciate dell’edificio – quali gli spazi verdi, le zone di rispetto, i distacchi, le intercapedini, i parcheggi – che, sebbene non menzionati espressamente nell’art. 1117 cod. civ., vanno ritenute comuni a norma della suddetta disposizione (Cass. 9 giugno 2000, n. 7889).

In questo contesto spesso ci si domanda: come può essere utilizzato il cortile condominiale?

La risposta è semplice: nei modi che, in relazione al contesto spaziale, siano legittimi in modo che l’uso ci ciascuno sia da ritenersi legittimo ai sensi dell’art. 1102 c.c.

In secondo luogo, si afferma che l’uso del cortile condominiale dev’essere conforme a quello indicato nel regolamento di condominio.

Nello statuto della compagine sono vietate le soste, eccezion fatta per quelle brevi per il carico/scarico merci?

I condomini dovranno astenersi dall’usare il cortile come parcheggio comune.

Che cosa dovrebbero fare quegli stessi comproprietari qualora decidessero di mutare la destinazione d’uso del cortile, ad esempio per consentire il parcheggio?

La domanda, sostanzialmente, è la stessa cui è stata chiamata a dare risposta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 9877 dello scorso 15 giugno.

In un condominio l’assemblea, con le maggioranze di cui all’art. 1136, quinto comma, c.c. (quelle previste per le innovazioni) delibera l’utilizzazione come parcheggio del cortile condominiale.

Uno dei condomini non ci sta ed impugna quella decisione: il mutamento di destinazione d’uso, a suo dire, doveva avvenire con il consenso di tutti i condomini, soprattutto in considerazione del fatto che l’uso del cortile condominiale era disciplinato da un regolamento di orgine contrattuale.

La Corte di Cassazione, invece, ha considerato valida la delibera.

Secondo gli ermellini, in tema di condominio, la delibera assembleare di destinazione del cortile a parcheggio di autovetture – in quanto disciplina le modalità di uso e di godimento del bene comune – è validamente approvata con la maggioranza prevista dall’art. 1136, comma 5, c.c. (non essendo richiesta l’unanimità dei consensi) ed è idonea a comportare la modifica delle disposizioni del regolamento condominiale che si limitano a dettare norme che disciplinano, appunto, l’utilizzazione e i modi di fruizione delle cose comuni e che, in quanto tali, hanno natura regolamentare e non contrattuale (Cass. 15 giugno 2012, n. 9877) .

Ciò, spiegano i giudici per arrivare a formulare questo principio di diritto, in quanto la clausola che disciplina le modalità d’uso dei beni comuni è da ritenersi in ogni caso norma di natura regolamentare ai sensi dell’art. 1138 c.c.

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