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lunedì 22 dicembre 2008

Civile: fideiussione, surrogazione del fideiussore

FIDEIUSSIONE - SURROGAZIONE DEL FIDEIUSSORE - OGGETTO E CONTENUTO
Con la sentenza n. 29216 del 2008 la S.C. ha stabilito che il fideiussore il quale, adempiuta la propria obbligazione nei confronti del creditore principale, manifesti la volontà di surrogarsi a quest’ultimo nei diritti vantati verso il debitore, subentra anche nelle garanzie del credito concesse da terzi in favore del creditore originario, ma solo a condizione che queste ultime fossero accessorie e dipendenti rispetto all’obbligazione principale adempiuta dal fideiussore.
Pertanto, se il debitore aveva ceduto al creditore originario, a scopo di ulteriore garanzia, un proprio credito verso terzi, il pagamento dell’obbligazione non fa acquistare al fideiussore la titolarità del credito ceduto, ed il medesimo fideiussore non può di conseguenza pretenderne l’adempimento da parte del terzo.
La fattispecie decisa dalla S.C. aveva ad oggetto una articolata vicenda nella quale un istituto di credito aveva concesso ad una impresa privata un finanziamento, finalizzato all’acquisto dei mezzi necessari per l’esecuzione di un appalto di opere pubbliche. A scopo di garanzia, l’appaltatore aveva concesso al finanziatore una fideiussione prestata da una impresa assicuratrice, e gli aveva inoltre ceduto i propri crediti futuri nei confronti del committente.
Verificatosi il fallimento dell’appaltatore, e pagata la fideiussione da parte dell’assicuratore, questi aveva esercitato l’azione di surrogazione (ex art. 1205 c.c.) nei confronti del committente, asserendo che per effetto del pagamento era subentrato nella posizione del finanziatore, ed aveva quindi acquistato la qualità di cessionario del credito avente ad oggetto il corrispettivo dell’appalto. La S.C. in applicazione del principio sopra riassunto, ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la pretesa dell’assicuratore.

Locazioni: Comunicazione di vendita

Cass. civ., sez. III, 29 febbraio 2008, n. 5502

In tema di prelazione urbana, poiché la stipula del contratto preliminare di vendita dell'immobile locato con altro soggetto integra la chiara manifestazione, da parte del locatore, dell'intento di vendere, dal momento di tale stipula sorge a carico del locatore l'obbligo di darne comunicazione al conduttore con atto notificato e corredato di tutte le indicazioni circa le condizioni di vendita, ai sensi dell'art. 38 della legge n. 392 del 1978, mentre è irrilevante che il contratto definitivo debba essere stipulato in data successiva alla cessazione del rapporto locativo, in quanto la norma citata fa riferimento non alla stipula del definitivo ma al momento in cui sorge l'intento di vendere e, presumibilmente, inizia la ricerca del compratore.

Utilità: Sfratti proroga al 30 Giugno 2009

L'esecuzione dei provvedimenti di rilascio per finita locazione degli immobili adibiti ad uso abitativo, già sospesa fino al 15 ottobre 2008 ai sensi del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248 (Decreto Milleproroghe), è ulteriormente differita al 30 giugno 2009.

E' quanto prevede il Decreto Legge 20 ottobre 2008, n. 158 convertito con la legge 18 dicembre 2008 n. 199.

In particolare, sono 127 i comuni italiani (comprese le 14 città metropolitane) interessati dal provvedimento che ha l'obiettivo di aiutare i nuclei familiari in difficoltà così come individuati dalla Legge 8 febbraio 2007, n. 9: "conduttori con reddito annuo lordo complessivo familiare inferiore a 27.000 euro, che siano o abbiano nel proprio nucleo familiare persone ultrasessantacinquenni, malati terminali o portatori di handicap con invalidita' superiore al 66 per cento, purche' non siano in possesso di altra abitazione adeguata al nucleo familiare nella regione di residenza".

giovedì 18 dicembre 2008

BUONE FESTE

Lo staff di Legal.Affinati.com
Augura
I più sinceri AUGURI di BUONE FESTE



Il blog sarà sempre on-line e verrà aggiornato seppur in forma ridotta, durante le prossime festività.
Lo staff di Legal.Affinati.com

lunedì 15 dicembre 2008

Responsabilità professionale - Cassazione Sent 25266/2008

In materia di responsabilità del professionista, il cliente è tenuto a provare non solo di aver sofferto un danno, ma anche che questa è stato causato dalla insufficiente o inadeguata attività del professionista e cioè dalla difettosa prestazione professionale. In particolare, trattandosi dell’attività del difensore, l’affermazione della sua responsabilità implica l’indagine – positivamente svolta – sul sicuro e chiaro fondamento dell’azione che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata e, quindi, la certezza che gli effetti di una diversa attività del professionista medesimo sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente, rimanendo, in ogni caso, a carico del professionista l’onere di dimostrare l’impossibilità a lui non imputabile della perfetta esecuzione della prestazione

Tributario: Accertamento su C/c amministratore di condominio

Cass., civ. Sez. V, Sentenza del 20/10/2008 n. 25473

In tema di IVA, ed al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 2, (in virtù della quale le movimentazioni di denaro risultanti dai dati acquisiti dall'ufficio si presumono costituire conseguenza di operazioni imponibili), non è sufficiente che il contribuente, nell'esercizio della propria professione, dimostri genericamente di aver fatto affluire sul proprio c/c bancario somme affidategli da terzi in amministrazione, ma è necessario che egli fornisca la prova analitica di ogni singola movimentazione del conto, diversamente la rispettiva movimentazione, in assenza di altra idonea giustificazione, è configurabile quale corrispettivo non dichiarato.
Pertanto non basta che il contribuente adduca la qualità di amministratore di condominio ma è necessario fornisca la prova specifica.

Condominio: Incidente all'interno dell'area condominiale

Deve escludersi che l'espressione circolazione di veicoli contenuta nell'art. 7 c.p.c., comma 2, in funzione della individuazione della relativa regola di competenza, debba intendersi nel senso di alludere alla circolazione dei veicoli soltanto su strade pubbliche o di uso pubblico o comunque su strade o aree private con situazioni di traffico equiparabile a quella di una strada pubblica.
Ne deriva che la regola di competenza è applicabile anche nel caso di circolazione su strada o su area privata, come nel caso di sinistro avvenuto nell'area condominiale antistante l'accesso ai boxes condominiali e dato dall'urto di un'autovettura contro il cancello

Lavoro: CIG- Cassa Integrazione

Le garanzie procedimentali disposte dalla l. 23 luglio 1991 n. 223 in materia di Cassa integrazione guadagni straordinaria vanno estese anche alle fattispecie in cui, nel tempo di operatività della Cassa integrazione, se ne mutano le modalità attuative, quali i criteri di scelta e la durata delle sospensioni. Ciò implica che non è consentita una modofoca delle condizioni di attuazione dell'integrazione salariale che non veda coinvolto a livello conoscitivo il lavoratore nel procedimento decisionale. La violazione del diritto del lavoratore collocato in Cassa integrazione a rientrare in servizio in base a prefissati criteri di rotazione costituisce inadempimento contrattuale, cui corrisponde la prescrizione decennale ex art. 2946 c.c. del credito del lavoratore avente per oggetto la differenza tra retribuzione ordinaria e indennità di Cassa integrazione percepita. (Cass. 7/2/2006 n. 2555)
Il beneficio della cig, che si caratterizza in relazione alle diverse categorie di lavoratori, non è connesso indissolubilmente a quello della mobilità, che ha diversa natura, ma è legato a diversi presupposti e spetta solo in caso di espressa previsione di legge; ne consegue che, ai dipendenti delle imprese radiotelevisive private – ai quali è stato temporaneamente esteso, in presenza di alcuni presupposti e per effetto della speciale normativa di cui agli art. 7 d.l. 20 maggio 1993 n. 148 (convertito in l. 19 luglio 1993 n. 236) e 2 d.l. 14 giugno 1996 n. 318 (convertito in l. 29 luglio 1996 n. 402), il trattamento di integrazione salariale straordinario previsto dall’art. 35 l. 5 agosto 1981 n. 416 (che richiama l’art. 2 l. 12 agosto 1977 n. 675) – non è automaticamente dovuta l’indennità di mobilità, prevista espressamente solo per i giornalisti dalla generale normativa di cui all’art. 16 l. 23 luglio 1991 n. 223. (Cass. 10/12/2004 n. 23078)
Il soggetto tenuto a dare all'Inps la preventiva comunicazione dello svolgimento di attività lavorativa - pena la decadenza del lavoratore dal diritto al trattamento di integrazione salariale all'interno di ciascun periodo di cassa integrazione nel quale si sia verificata l'omissione, ai sensi dell'art. 8, quinto comma, D.L. 21/3/88, n. 86, convertito, con modificazioni, in l. 20/5/88, n. 160 - è direttamente il lavoratore medesimo, talché deve escludersi l'equipollenza di analoga comunicazione rivolta all'Inps dal datore di lavoro con finalità diverse da quelle sottostanti all'obbligo di comunicazione imposto al lavoratore o della notizia comunque e genericamente pervenuta all'Istituto di previdenza al di fuori di detta comunicazione, la quale deve essere resa anche nell'ipotesi in cui l'occupazione sia compatibile con il trattamento di integrazione salariale. (Cass. 14/3/01, n. 3690)

martedì 2 dicembre 2008

Lavoro: Assunzione

In tema di collocamento al lavoro, e a norma dell'art. 1, L. 943/86, anche i lavoratori extracomunitari aventi titolo per accedere al lavoro subordinato in Italia a condizione di parità con i cittadini italiani possono, in difetto di esplicita esclusione normativa (quale quella prevista dall'art. 6 L. 943/86 citata per i lavoratori da adibire ai servizi domestici), essere assunti direttamente in tutti i casi previsti dall'art. 11 L. 264/49 e pertanto anche nell'ipotesi in cui, come nella specie, la chiamata provenga da azienda con non più di tre dipendenti (Cass. S.U. 30/3/00 n. 62)
La trasgressione da parte di pubblico dipendente del divieto di svolgere un'attività retribuita alle dipendenze di privati può comportare sanzioni disciplinari, ma non implica l'invalidità del contratto di lavoro stipulato in violazione del divieto e non esclude quindi che tale contratto produca i suoi normali effetti anche sul piano previdenziale e assistenziale (in base al suddetto principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, dopo aver affermato la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorrente fra un insegnante e un'azienda agricola, aveva ritenuto che la coesistenza di tale rapporto con il rapporto di pubblico impiego non escludesse l'obbligo datoriale di costituire il conseguente rapporto previdenziale) (Cass. 25/2/00, n. 2171)
Concorso Pubblico
L'istituto del c.d. scorrimento della graduatoria, che consente ai candidati idonei di divenire vincitori, presuppone una decisione successiva dell'amministrazione di coprire il posto vacante oppure una specifica disposizione di legge o del bando che preveda che tra i posti messi a concorso obbligatoriamente debbano essere compresi anche quelli che si dovessero rendere vacanti entro una certa data. Tuttavia, una volta che tale decisione sia assunta o si sia realizzata la condizione prevista dal bando, il candidato utilimente collocato in graduatoria ha un diritto soggettivo all'assunzione. (Cass. 21/12/2007 n. 27126)
Sono costituzionalmente illegittimi gli artt. 1 e 2 della L.R. Valle d’Aosta 14 novembre 2002, n. 23 (Disposizioni materia di personale del Dipartimento delle politiche del lavoro e dell’Amministrazione regionale) in quanto prevedono una procedura di corso-concorso integralmente riservata a personale già in servizio presso la medesima amministrazione e non reclutato, a suo tempo, mediante pubblico concorso. (Corte Cost. 6/7/2004 n. 205)
Procedura
Nell’ipotesi in cui un candidato partecipante ad un pubblico concorso, dichiarato vincitore con apposita deliberazione e collocato in graduatoria con successivo giudizio di inidoneità all’assunzione a seguito di visita medica negativa, chieda l’accertamento giudiziale del suo diritto all’assunzione sulla base della graduatoria approvata, il giudizio non deve svolgersi in contraddittorio con gli altri partecipanti al concorso non ricorrendo l’ipotesi di cui all’art. 102 c.p.c., poiché la suddetta domanda non implica la richiesta di riformulazione della graduatoria o contestazioni relative alla validità del concorso, che, diversamente, avrebbero determinato la necessità dell’estensione del contraddittorio agli altri candidati. Cass. 25/8/2005 n. 17324)
In un concorso con una quota di riserva, sono devolute alla giurisdizione amministrativa anche le controversie derivanti dalle impugnazioni proposte dai concorrenti "in quota di riserva" (perché dipendenti dell'amministrazione), poiché per tutti i partecipanti si tratta di una procedura concorsuale per l'assunzione nella qualifica indicata nel bando (Corte Cost. 4/1/01, n. 2)

Penale: Cassazione Sent 40577/2008

La Suprema Corte, dopo aver ricordato la recente pronuncia emessa dalla Corte Costituzionale in una fattispecie concernente la videoregistrazione a fini investigativi (n. 149/2008), ribadisce che la ripresa fotografica da parte di terzi di azioni che si svolgano nei luoghi di privata dimora lede la riservatezza ed integra pertanto l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 615 bis c.p., sempreché si tratti di comportamenti sottratti alla normale osservazione dall’esterno ovvero si tratti di azioni compiute in condizioni tali da renderle tendenzialmente non visibili ai terzi.

2. La Corte nel caso all’esame esclude la configurabilità del reato prospettato perché l’azione ripresa dal marito-fotografo si svolgeva in un luogo (cortile) che pur essendo privato era esposto alla libera osservazione degli estranei e quindi a parere del giudici del Supremo Consesso le riprese non si differenziavano da quelle che ben potevano essere effettuate in un luogo pubblico od aperto al pubblico.

Civile: Obbligazioni Cassazione Sent. 28420/2008

OBBLIGAZIONI - SOMMA DETERMINATA IN VALUTA ESTERA - SOPRAVVENUTA SVALUTAZIONE
La S.C. ha affermato che il debitore di somma determinata in valuta estera, se inadempiente, nel caso di sopravvenuta svalutazione della moneta italiana rispetto a quella estera, deve la differenza tra il cambio della data di scadenza e quello della data di pagamento, giacché, diversamente, trarrebbe ingiusta locupletazione dalla sua mora, ove pagasse in moneta legale al corso del cambio del giorno della scadenza, secondo la facoltà accordatagli dall'art. 1278 cod. civ..

Lavoro: Appalto mano d'opera

L'art. 4 della legge 23 ottobre 1960 n. 1369 (sul divieto di intermediazione e interposizione delle prestazioni di lavoro), che pone il termine di decadenza di un anno dalla cessazione dell'appalto per l'esercizio dei diritti dei prestatori di lavoro, dipendenti da imprese appaltatrici di opere e di servizi nei confronti degli imprenditori appaltanti - pur facendo riferimento, oltre che ai diritti al trattamento economico e normativo, anche al diritto di pretendere l'adempimento degli obblighi derivanti dalle leggi previdenziali - limita l'ambito di efficacia del suddetto termine ai diritti suscettibili di essere fatti valere direttamente dal lavoratore; non potendosi estendere invece l'efficacia della disposizione legislativa a un soggetto terzo, quale l'ente previdenziale, i cui diritti scaturenti dal rapporto di lavoro disciplinato dalla legge si sottraggono, pertanto, al termine annuale decadenziale. (Cass. 17/1/2007 n. 996)
Nelle prestazioni di lavoro cui si riferiscono i primi tre commi dell'art. 1, l. 23 ottobre 1960, n. 1369, la nullità del contratto tra committente e appaltatore (o intermediario) e la previsione dell'ultimo comma dello stesso articolo - secondo cui i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'imprenditore che ne abbia utilizzato effettivamente le prestazioni - comportano che solo sull'appaltante (o interponente) gravano gli obblighi in materia di trattamento economico e normativo scaturenti dal rapporto di lavoro, nonchè gli obblighi in materia di assicurazioni sociali, non potendosi configurare una (concorrente) responsabilità dell'appaltatore o interposto in virtù dell'apparenza del diritto e dell'apparente titolarità del rapporto di lavoro, stante la specificità del suddetto rapporto e la rilevanza sociale degli interessi che vi sono sottesi. (Cass. 26/10/2006 n. 22910)

D.Lgs.276/2003
La fattispecie di appalto di mere prestazioni di lavoro prevista dall'art. 1, L. n. 1369/1960 è solo parzialmente abrogata a opera dell'art. 18, D.Lgs. n. 276/2003, in quanto continua a essere punita come reato l'attuale fattispecie di somministrazione di lavoro da parte di agenzie non abilitate e si applica anche la legge speciale n. 67/1993 che prevedeva un'eccezione al divieto di cui alla L. n. 1369/1960 in caso di esercizio di mera fornitura da parte di senza senza scopo di lucro che svolgono attività socio assistenziali. (Cass. sez. pen. 16/6/2006 n. 20756)

Art.1 Co.3 L. 1369/60
Nelle prestazioni di lavoro cui si riferiscono i primi tre commi dell'art. 1 l. 23 ottobre 1960, n. 1369, la nullità del contratto tra committente e appaltatore (o intermediario) e la previsione dell'ultimo comma dello stesso articolo - secondo cui i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'imprenditore che ne abbia utilizzato effettivamente le prestazioni - comportano che solo sull'appaltante (o interponente) gravano gli obblighi in materia di trattamento economico e normativo scaturenti dal rapporto di lavoro, nonchè gli obblighi in materia di assicurazioni sociali, non potendosi configurare una (concorrente) responsabilità dell'appaltatore o interposto in virtù dell'appartenenza del diritto e dell'apparente titolarità del rapporto di lavoro, stante la specificità del suddetto rapporto e la rilevanza sociale degli interessi che vi sono sottesi. (Cass. Sez. Un. 26/10/2006 n. 22910)

Altre ipotesi illecite
In caso di impiego di manodopera negli appalti concessi dall'azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato per il periodo successivo al 5/2/88 (data di introduzione del regime privatistico del rapporto di lavoro dei ferrovieri) in seguito alla successione all'azienda autonoma dello Stato prima dell'ente pubblico economico Ferrovie dello Stato e, quindi, della s.p.a. Ferrovie dello Stato, non potendo considerarsi più in vigore il D.P.R. n. 1192/1961 (che prevedeva un'apposita disciplina in favore dei dipendenti delle imprese appaltatrici de quibus) è divenuto operante l'art. 1, 5° comma, l. n. 1369/60 (secondo cui l'interpositore, effettivo utilizzatore delle prestazioni, si sostituisce all'interposto nel rapporto di lavoro) per i casi in cui i lavoratori risultassero formalmente dipendenti di imprese appaltatrici di mere prestazioni di lavoro, rendendo, però, effettivamente la loro attività direttamente a vantaggio delle Ferrovie (Cass. 29/5/00, n. 7089)

Lavoro: Licenziamento

Normativa Contrattuale
All'autonomia individuale ed a quella collettiva non è consentito di regolare la disciplina della risoluzione del rapporto di lavoro prevedendo cause estintive del rapporto a tempo indeterminato ulteriori rispetto a quelle contemplate dal codice civile e dalle leggi speciali e, conseguentemente è nulla, ex art. 1428 c.c., la clausola, contenuta nel contratto individuale o nel contratto collettivo di diritto comune, che stabilisca la risoluzione automatica del rapporto al raggiungimento di una determinata anzianità contributiva. (Cass. 15/1/2003, n. 535)
Nella nuova regolamentazione legislativa (d.l. n. 487/93, convertito in l. n. 71/94) del rapporto di lavoro di diritto privato dei dipendenti dell'Ente poste italiane, il contratto collettivo per tale categoria di personale - che non è autorizzato a derogare alla legge non essendo identificabile alcuna cosiddetta delegificazione della materia, ma solo privatizzazione del rapporto - non può innovare o derogare rispetto alle norme di legge imperative e quindi è nulla (ex art. 1418 c.c.) la previsione contrattuale, secondo cui (a partire dal 31/1/95) il rapporto di lavoro si risolve automaticamente (senza obbligo di preavviso o di erogare la corrispondente indennità sostitutiva) al raggiungimento della massima anzianità contributiva, con effetto dal giorno successivo al compimento di quaranta anni utili ai fini pensionistici, perché in violazione del principio (di natura inderogabile) secondo cui il rapporto di lavoro si può risolvere solo per licenziamento, per dimissioni, per mutuo consenso o per lo spirare dei termini per la ripresa del servizio previsti dall'art. 18, comma 5, l. 20/5/70, n. 300. (Cass. 27/1/01, n. 1165)

Motivi licenziamento
Nell'ipotesi di controversia in ordine al quomodo della risoluzione del rapporto (licenziamento orale o dimissioni) si impone una indagine accurata da parte del giudice di merito, che tenga adeguato conto del complesso delle risultanze istruttorie, in relazione anche all'esigenza di rispettare non solo il primo comma dell'art. 2697 c.c., relativo alla prova dei fatti costitutivi del diritto fatto valere dall'attore, ma anche il secondo comma, che pone a carico dell'eccipiente la prova dei fatti modificativi o estintivi del diritto fatto valere dalla controparte. Sicché, in mancanza di prova delle dimissioni, l'onere della prova concernente il requisito della forma scritta del licenziamento (prescritta ex lege a pena di nullità) resta a carico del datore di lavoro, in quanto nel quadro della normativa limitativa dei licenziamenti, la prova gravante sul lavoratore riguarda esclusivamente la cessazione del rapporto lavorativo, mentre la prova sulla controdeduzione del datore di lavoro - avente valore di una eccezione - ricade sull'eccipiente - datore di lavoro ex art. 2697 c.c. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, in sede di rinvio, aveva applicato un principio di diritto contrario a quello enunciato dalla sentenza rescindente - secondo la quale la c.d. "estromissione" del lavoratore dal posto di lavoro invertiva l'onere probatorio, ponendo a carico del datore la prova di un fatto estintivo del rapporto diverso dal licenziamento - giacché si era impegnata a dimostrare che la pur controversa estromissione del lavoratore dal posto di lavoro non configurasse un licenziamento orale, addossando ancora una volta sullo stesso lavoratore l'onere di provare l'estinzione del rapporto lavorativo). (Cass. 27/8/2007 n. 18087)

Lavoro: Licenziamento

Normativa contrattuale
All'autonomia individuale ed a quella collettiva non è consentito di regolare la disciplina della risoluzione del rapporto di lavoro prevedendo cause estintive del rapporto a tempo indeterminato ulteriori rispetto a quelle contemplate dal codice civile e dalle leggi speciali e, conseguentemente è nulla, ex art. 1428 c.c., la clausola, contenuta nel contratto individuale o nel contratto collettivo di diritto comune, che stabilisca la risoluzione automatica del rapporto al raggiungimento di una determinata anzianità contributiva. (Cass. 15/1/2003, n. 535)
Nella nuova regolamentazione legislativa (d.l. n. 487/93, convertito in l. n. 71/94) del rapporto di lavoro di diritto privato dei dipendenti dell'Ente poste italiane, il contratto collettivo per tale categoria di personale - che non è autorizzato a derogare alla legge non essendo identificabile alcuna cosiddetta delegificazione della materia, ma solo privatizzazione del rapporto - non può innovare o derogare rispetto alle norme di legge imperative e quindi è nulla (ex art. 1418 c.c.) la previsione contrattuale, secondo cui (a partire dal 31/1/95) il rapporto di lavoro si risolve automaticamente (senza obbligo di preavviso o di erogare la corrispondente indennità sostitutiva) al raggiungimento della massima anzianità contributiva, con effetto dal giorno successivo al compimento di quaranta anni utili ai fini pensionistici, perché in violazione del principio (di natura inderogabile) secondo cui il rapporto di lavoro si può risolvere solo per licenziamento, per dimissioni, per mutuo consenso o per lo spirare dei termini per la ripresa del servizio previsti dall'art. 18, comma 5, l. 20/5/70, n. 300. (Cass. 27/1/01, n. 1165)

Procedura
Nel rito del lavoro, caratterizzato da una rigida disciplina della fase introduttiva, integra una vera e propria “mutatio libelli”, come tale non consentita, la formulazione di una domanda che, ad integrazione di quella originariamente proposta, concernente la sola declaratoria di illegittimità di un licenziamento, abbia ad oggetto l’applicazione della tutela reale di cui all’art. 18 della legge n. 300 del 1970, atteso che essa implica non solo un mutamento del “petitum” ma anche della “causa petendi”, in quanto l’applicabilità della tutela reale presuppone, in particolare, la sussistenza di un determinato requisito dimensionale la cui valutazione da parte del giudice comporta l’inserimento nel processo dell’allegazione di un fatto costitutivo precedentemente non dedotto. (Cass. 28/7/2005 n. 15781)

Il lavoratore che deduca con il ricorso introduttivo l’illegittimità del licenziamento per difetto di giusta causa non può far valere successivamente nel corso del giudizio (con le note autorizzate prima dell’udienza di discussione, come nella specie) la nullità per l’inosservanza della procedura prevista dall’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, ai fini dell’irrogazione del licenziamento disciplinare, in quanto tale ulteriore prospettazione costituisce domanda nuova, trattandosi di una diversa “causa petendi”, con l’inserimento di un fatto nuovo a fondamento della pretesa e di un diverso tema di indagine e di decisione. La preclusione posta dall’art. 414 c.p.c. non può essere superata, né ritenendo riconducibili i passaggi procedurali richiesti dall’art. 7 cit. a requisiti formali, come tali sussumibili nelle generiche censure di ordine formale contenute nel ricorso, atteso che la prospettazione di detti profili implica l’allegazione di fatti nuovi; né dall’acquiescenza o dall’accettazione del contraddittorio della controparte, stante le esigenze di ordine pubblico attinenti al funzionamento del processo poste a fondamento della disciplina della fase introduttiva del giudizio. (Cass. 20/4/2005 n. 8264)

Nell’ipotesi di controversia in ordine al quomodo della risoluzione del rapporto (licenziamento orale o risoluzione per mutuo consenso) si impone una indagine accurata da parte del giudice di merito, che tenga adeguato conto del complesso delle risultanze istruttorie, in relazione anche all'esigenza di rispettare non solo il primo comma dell'art. 2697 c.c., relativo alla prova dei fatti costitutivi del diritto fatto valere dall’attore, ma anche il secondo comma, che pone a carico dell’eccipiente la prova dei fatti modificativi o estintivi del diritto fatto valere della controparte; regola che deve ritenersi violata nel senso di rigetto della domanda basato in sostanza sulla valorizzazione dell’ipotesi di mutuo consenso, privilegiata solo per la ritenuta insufficienza della prova del licenziamento. (Nella specie, la Corte Cass. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda del lavoratore, ritenendo non sufficiente la prova del licenziamento orale e valorizzando l’eccezione – peraltro irrituale – del mutuo consenso, dando rilievo a fatti irrilevanti, quali la quietanza liberatoria rilasciata dal lavoratore nel riscuotere la liquidazione del tfr, il lungo tempo trascorso tra il licenziamento e la proposizione della domanda giudiziale, il reperimento di una nuova occupazione). (Cass. 18/3/2005 n. 5918)
Incorre in violazione dell’art. 112 c.p.c. la decisione di merito che addivenga all’accoglimento della domanda di annullamento del licenziamento, rilevando d’ufficio l’irrituale esperimento della procedura di licenziamento collettivo, per nulla invocato dall’originario ricorrente. (Nella specie il lavoratore aveva impugnato il licenziamento per carenza del giustificato motivo oggettivo e il datore di lavoro aveva sostenuto che si trattava di licenziamento collettivo. La corte di appello, aderendo alla tesi del licenziamento collettivo, lo aveva, tuttavia, dichiarato inefficace per violazione degli obblighi di comunicazione di cui all’art. 4 della legge n. 223 del 1991, emettendo, in tal modo, una statuizione basata su elementi fattuali non allegati. (Cass. 20/12/2004 n. 23611)
In un giudizio di impugnazione di licenziamento illegittimo il datore di lavoro non può allegare e provare per la prima volta in appello l'intervenuta cessazione dell'attività aziendale, ostativa alla liquidazione dei danni maturati successivamente a tale cessazione. (Cass. 20/12/2002, n. 18194)

Lavoro: Licenziamento

Reiterazione del licenziamento
La rinnovazione del licenziamento, in base ai motivi posti a fondamento di un precedente licenziamento inficiato di nullità o comunque inefficace, non è in linea generale preclusa risolvendosi, detta rinnovazione, nel compimento di un negozio diverso dal precedente ed esulando l'ipotesi di inammissibilità della convalida del negozio nullo, ai sensi dell'art. 1423, norma diretta a impedire la sanatoria di un negozio nullo con effetti "ex tunc", ma non a comprimere la libertà delle parti di reiterare la manifestazione della loro autonomia negoziale al fine di regolare i loro interessi. (Principio affermato in controversia in cui nello stesso giorno in cui pervenivano le giustificazioni in ordine a un primo licenziamento, il datore di lavoro intimava nuovo licenziamento tenuto conto delle giustificazioni addotte dal lavoratore. La corte territoriale, con decisione confermata dalla S.C., aveva accertato la tempestiva impugnazione del primo licenziamento, ma non del secondo, con conseguente inammissibilità dell'azione proposta per la declaratoria dell'illegittimità del secondo licenziamento). (Rigetta, App. Napoli, 15 luglio 2003). (Cass. 6/11/2006 n. 23641)

In costanza di malattia
Il licenziamento intimato in costanza di malattia del lavoratore non è nullo, ma solo temporaneamente inefficace fino alla guarigione o alla scadenza del comporto (Cass. 16/5/00, n. 6348)

Per limiti d'età
Con riferimento alla non applicabilità della disciplina limitativa dei licenziamenti in ragione dell’età o della condizione pensionistica, disciplinata dall’art. 4 della legge n. 108 del 1990, dal sistema dei rinvii previsti dalla suddetta norma risulta che l'intenzione del legislatore era quella di escludere nei confronti dei suddetti lavoratori (in linea di massima) l’applicabilità dell’intera legge n. 604 del 1966, a prescindere dalla dimensione occupazionale del datore di lavoro, ed in particolare l’applicabilità della norma (rilevante nel caso di specie) che prevede l’inefficacia del licenziamento per violazioni delle prescrizioni formali (articolo 2 della legge n. 604 del 1966). (Cass. 11/4/2005 n. 7359)

Lavoro: Licenziamento

Motivi
I motivi del licenziamento devono contenere le necessarie precisazioni per consentire al lavoratore di esercitare il suo diritto di difesa, che non si risolve nella sola difesa giudiziaria, ma anche nel diritto di impugnare consapevolmente il licenziamento nei termini previsti dalla legge. (Cass. 3/8/2004 n. 14873)
Rifiuto a ricevere la comunicazione
Il principio secondo cui, anche al di fuori dell'ambito di operatività dell'art. 138, secondo comma, c.p.c., il rifiuto del destinatario di un atto unilaterale recettizio di ricevere lo stesso non esclude che la comunicazione debba ritenersi avvenuta e produca i relativi effetti, ha un ambito di validità determinato dal concorrente operare del principio secondo cui non esiste, in termini generale e incondizionati, l'obbligo, o l'onere, del soggetto giuridico di ricevere comunicazioni e, in particolare, di accettare la consegna di comunicazioni scritte da parte di chicchessia e in qualunque situazione. In particolare, nel rapporto di lavoro subordinato è configurabile in linea di massima l'obbligo del lavoratore di ricevere comunicazioni, anche formali, sul posto di lavoro e durante l'orario di lavoro, in dipendenza del potere direttivo e disciplinare al quale egli è sottoposto (così come non può escluderi un obbligo di ascolto, e quindi ha confermato sul punto la sentenza di merito che aveva ritenuto illegittimo il rifiuto opposto dal lavoratore a ricevere la lettera di licenziamento che il datore intendeva consegnargli a mano all'interno della struttura nella quale lavorava e durante l'orario di lavoro. (Cass. 5/11/2007 n. 23061)
Revoca
La revoca del licenziamento del lavoratore subordinato non richiede la forma scritta, poiché i negozi risolutori degli effetti richiedenti la forma scritta non sono assoggettabili ad identici requisiti formali, in ragione del principio secondo cui la forma degli atti è libera se la legge (o la volontà delle parti) non richiede espressamente una forma determinata; parimenti, e per lo stesso motivo, è libera la forma dell’accettazione della revoca del licenziamento, che comporta la rinunzia del lavoratore a far valere i diritti scaturenti dal licenziamento, ma il relativo accertamento richiede una ricostruzione della volontà abdicativa in termini certi, nel senso che la condotta del rinunziante attesti in modo univoco la volontà di dismettere un diritto entrato nel proprio patrimonio. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva negato che la percezione del trattamento cigs potesse equivalere ad accettazione del ripristino del rapporto di lavoro, senza valutare adeguatamente la condotta della lavoratrice alla luce delle informazioni di cui la stessa disponeva sulle prospettive aziendali). (Cass. 1/7/2004 n. 12107)

lunedì 1 dicembre 2008

Lavoro: Licenziamento

Forma

Ai fini della validità formale del licenziamento non occorre che la comunicazione scritta, intesa alla risoluzione del rapporto di lavoro, sia formalmente diretta al lavoratore, ma è necessario almeno che essa sia portata a sua conoscenza. Così, la comunicazione del licenziamento indirizzata e spedita all'Ufficio del lavoro non è idonea a integrare i requisiti della forma scritta previsti per l'efficacia del recesso, se copia di essa non è inoltrata anche al lavoratore. (Cass. 19/6/2006 n. 14090)
La forma scritta del licenziamento è richiesta ad substantiam sicchè, a norma dell'art. 2 L. 15/7/66 n. 604 sia l'intimazione del licenziamento che la comunicazione dei relativi motivi (ove il lavoratore ne abbia fatto richiesta), debbono, a pena di inefficacia, rivestire la forma scritta, con la conseguente irrilevanza di un'intimazione e di una contestazione espresse in forma diversa e della conoscenza che il datore ne abbia altrimenti avuto. Ai fini del risarcimento del danno, da determinarsi in base alle regole generali sull'inadempimento delle obbligazioni contrattuali, non è necessaria la costituzione in mora del datore di lavoro, mediante l'offerta delle prestazioni, occorrendo tuttavia che il lavoratore non abbia tenuto una condotta incompatibile con la reale volontà di proseguire il rapporto e di mettere a disposizione del datore le proprie prestazioni lavorative. (Cass. 9/3/2006 n. 11670)
A norma dell’art. 2 della legge n. 604/1966, il licenziamento deve essere intimato per iscritto e la forma scritta del licenziamento è richiesta ad substantiam, per cui è stata considerata irrilevante la circostanza che il lavoratore destinatario del provvedimento abbia avuto conoscenza del provvedimento estintivo con mezzi diversi. Inoltre, qualora il lavoratore deduca di essere stato licenziato oralmente e faccia valere in giudizio la inefficacia o invalidità di tale licenziamento, mentre il datore di lavoro deduca la sussistenza di dimissioni del lavoratore, il materiale probatorio deve essere raccolto, da parte del giudice di merito, tenendo conto che, nel quadro della normativa limitativa dei licenziamenti, la prova gravante sul lavoratore è limitata alla sua estromissione dal rapporto, mentre la controdeduzione del datore di lavoro assume la valenza di un’eccezione in senso stretto, il cui onere probatorio ricade sull’eccipiente ai sensi dell’art. 2697, comma secondo, c.c. Segnatamente, ai fini della prova delle dimissioni, va verificato che la dichiarazione o il comportamento cui si intende attribuire il valore negoziale di recesso del lavoratore contenga la manifestazione univoca dell’incondizionata volontà di porre fine al rapporto e che questa volontà sia stata comunicata in modo idoneo alla controparte, considerando che le dimissioni costituiscono un atto a forma libera, a meno che sia convenzionalmente pattuita la forma scritta ad substantiam. (Cass. 20/5/2005 n. 10651)
In base alle regole dettate dall’art. 2, L. n. 604/1966 (modificato dall’art. 2, L. n. 108/1990) sulla forma dell’atto e la comunicazione dei motivi del recesso, qualora l’atto di intimazione del licenziamento non precisi le assenze in base alle quali sia ritenuto separato il periodo di conservazione del posto di lavoro, il lavoratore – il quale, particolarmente nel caso di comporto per sommatoria, ha l’esigenza di poter opporre propri specifici rilievi – ha la facoltà di chiedere al datore di lavoro di specificare tale aspetto fattuale delle ragioni del licenziamento, con la conseguenza che nel caso di non ottemperanza con le modalità di legge a tale richiesta, il licenziamento deve considerarsi illegittimo. (Cass. 3/8/2004 n. 14873)

Speciale diritto del lavoro

Da questa settimana, il blog dei professionisti Legal.Affinati.com si arricchisce di uno speciale sul diritto del lavoro.

Troverete le massime della Suprema Corte di Cassazione più rilevanti e recenti.

Buona lettura

C.d.S. Eccesso di velocità e contestazione immediata

Se l’infrazione per eccesso di velocità è accertata su strade non indicate “come pericolose” dal Prefetto con apposito decreto, il relativo verbale va contestato immediatamente all’automobilista pena l’illegittimità.

E’ questo il principio con cui il GdP di Lecce, Avv. Nicola Brunetti, ha annullato con sentenza depositata lo scorso 13 ottobre il verbale elevato, attraverso autovelox, per eccesso di velocità dai VV.UU. di Lecce, sulla strada Lecce – Lequile.

Secondo il Giudice di Pace, l’art. 201 C.d.S, dopo la recente modifica, ha escluso l’obbligo di contestazione immediata delle infrazioni elevate attraverso autovelox nel solo caso di strade indicate come pericolose dal Prefetto competente con apposito decreto.

Viceversa, nel caso del ricorrente non risulta dagli atti che la strada Lecce - Lequile ove è stata rilevata l’infrazione in questione rientri in tale casistica. Pertanto, al fine di evitare la lesione del diritto del cittadino ad esporre eventuali osservazioni e giustificazioni, l’infrazione andava contestata immediatamente al ricorrente, così come previsto sia dall’art. 200 comma 1 del Codice della Strada, sia dalla Corte di Cassazione con pronuncia 1 Febbraio - 3 Aprile 2000, n. 4010.

Inoltre, il Giudice ha censurato anche il modus operandi dei VV.UU. di Lecce che non hanno indicato i motivi che avrebbero reso impossibile la contestazione immediata, quando invece questi a norma del CdS “devono essere, con congrua e non generica né preordinata esposizione, indicati nel verbale da notificare al trasgressore”.

Nel verbale impugnato si legge infatti: “Velocità rilevata con apposito apparecchio che consente la determinazione dell’illecito in tempo successivo dopo che il veicolo oggetto della rilevazione è a distanza dal posto di accertamento e comunque la pattuglia a valle, appositamente predisposta, era impegnata nella contestazione di altra violazione ai limiti di velocità”.

Tale motivazione oltre che generica e “standardizzata”, ha proseguito il Giudice appare confusa e contraddittoria perché non è dato capire se l’infrazione non è stata contestata immediatamente perché l’apparecchiatura consente la rilevazione dell’illecito in tempo successivo o perché la pattuglia era impegnata in altra contestazione.

Ha infine concluso il giudice rilevando come non può ignorarsi che presso l’Ufficio del Giudice di Lecce pendono centinaia di ricorsi contro il Comune di Lecce per fattispecie identiche nelle quali i verbalizzanti hanno fornito sempre le medesime giustificazioni.

Fonte:Altalex.com

Penale: Cassazione Sent. 43189/2008 detenzione di materiale pornografico

DELITTI CONTRO LA PERSONA – DETENZIONE DI MATERIALE PORNOGRAFICO - CONDOTTE VIETATE - CONCORSO FORMALE - ESCLUSIONE
Con la decisione in esame - in una fattispecie nella quale era contestato all’imputato di essersi procurato per via telematica materiale pedopornografico ottenuto mediante lo sfruttamento di minori - la Corte, dopo aver comparato il testo vigente della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 600 quater cod. pen. con la formulazione antecedente alle modifiche introdotte dalla l. 6 febbraio 2006, n. 38, ha affermato che le condotte oggi contemplate (procurarsi o detenere) non integrano due diverse ipotesi di reato, ma rappresentano distinte modalità di perpetrazione del medesimo reato, essendo escluso tra di esse il concorso formale.

Civile: Cassazione SS.UU. 27337/2008 - Illecito extracontrattuale prescrizione

RESPONSABILITA’ EXTRACONTRATTUALE – FATTO REATO – MANCANZA DI QUERELA - PRESCRIZIONE DEL DIRITTO AL RISARCIMENTO DEL DANNO
Le S.U. – alle quali, per evitare il formarsi di un contrasto con la precedente decisione a sezioni unite (sentenza n. 5121 del 2002), è stata rimessa la questione della durata del termine di prescrizione del risarcimento nell’ipotesi di reato procedibile a querela, non presentata – hanno affermato il seguente principio di diritto: "Nel caso in cui l’illecito civile sia considerato dalla legge come reato, ma il giudizio penale non sia stato promosso, anche se per mancata presentazione della querela, l’eventuale più lunga prescrizione prevista per il reato si applica anche all’azione di risarcimento, a condizione che il giudice civile accerti, incidenter tantum, e con gli strumenti probatori ed i criteri propri del procedimento civile, la sussistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto-reato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi ed oggettivi, e la prescrizione stessa decorre dalla data del fatto". Quanto, poi, alla decorrenza della prescrizione, le S.U. hanno richiamato le recenti pronunce del 2008 (tra quelle in pari data v. S.U. n. 581).

Condominio: risarcimento danni per mancato godimento

Diritto reale, risarcimento dei danni per mancato godimento, aree destinate a parcheggio condominiale

Corte di Cass., Civi. Sez. II, 9 giugno 2008, n. 15238

I titolari di un diritto reale che chiedono il risarcimento dei danni per il mancato godimento del diritto stesso non sono tenuti a provare il danno subìto, poiché il medesimo è in re ipsa. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito in quanto non si comprendeva per quale motivo gli attori, al fine di ottenere il risarcimento dei danni per il mancato uso di un bene sul quale vantavano un diritto reale dovevano provare la impossibilità di parcheggiare le loro autovetture nelle strade adiacenti al complesso di cui erano condomini, in considerazione del principio pacifico secondo il quale il danno derivante dal mancato godimento di un immobile (e quindi anche di un diritto reale immobiliare) è in re ipsa.)

Condominio: Privacy

Non viola la privacy il condomino che con la telecamera riprende parti non comuni

Corte di Cass. , Sez. V Penale, Sentenza n. 44156 del 26 novembre 2008

Non compie violazione della privacy chi installa sul proprio balcone delle telecamere di sicurezza che riprendono non solo alcune parti dello stabile, comuni a tutti gli inquilini, ma anche porzioni esterne dell'area di proprieta' dei vicini di casa.

Per la Suprema Corte (quinta sezione penale, sentenza n.44156), invece, “deve escludersi una intrusione, tanto nella privata dimora, quanto nel domicilio” con riferimento a videoriprese che hanno ad oggetto “comportamenti tenuti in spazi di pertinenza dell’abitazione di taluno ma di fatto non protetti alla vista degli estranei” poiché tali spazi “sono assimilabili a luoghi esposti al pubblico”. Il ricorso dell’imputato, dunque, va accolto, dato che “risulta evidente” come egli “abbia fatto uso del suo diritto di osservare quanto accadeva in zone comuni non protette alla vista” e la ripresa “per quanto effettuata contro la volontà dei condomini” non si era svolta “né clandestinamente né fraudolentemente”.