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domenica 2 marzo 2014

Locazioni: morosità e fisco

In molti casi la morosità degli inquilini si riflette sul proprietario, costretto a pagare le imposte anche su canoni che non ha incassato: non si tratta, però, di una regola assoluta, dal momento che la legge prevede qualche (limitata) eccezione.
Ma andiamo con ordine. In generale i redditi delle persone fisiche – esclusi quelli conseguiti in regime di impresa – vanno dichiarati e assoggettati a tassazione soltanto nell'anno in cui avviene la loro materiale percezione: è il cosiddetto criterio di cassa. Questo principio incontra una deroga per i redditi fondiari – e in particolare dei fabbricati – che scontano il prelievo d'imposta semplicemente al verificarsi della loro maturazione.
L'articolo 26 del Tuir, infatti, presuppone il mero possesso dell'immobile (a titolo di proprietà, usufrutto e di ogni altro diritto reale), sia esso tenuto a disposizione che ceduto in locazione. Perciò, nell'ipotesi in cui l'inquilino non paghi i canoni, il locatore dovrà comunque farli concorrere alla formazione del proprio reddito complessivo.
Considerati gli effetti penalizzanti che derivano da questa norma, è previsto un temperamento – anche se articolato e circoscritto – che esclude l'imponibilità del reddito immobiliare non percepito (in questa eventualità, il possessore dell'unità immobiliare sarà, comunque, tenuto ad assoggettare a tassazione la rendita catastale), in presenza delle seguenti condizioni:
1) che la locazione sia a uso abitativo;
2) che il mancato pagamento dei canoni derivi dalla morosità del conduttore;
3) che quest'ultima venga accertata giudizialmente a seguito del procedimento per convalida di sfratto per morosità.
Queste condizioni devono essere concomitanti e, pertanto, se la morosità nel pagamento riguarda un immobile commerciale (negozio, ufficio, capannone), il locatore dovrà pagare l'Irpef, anche se ha esperito il procedimento di convalida di sfratto, poiché la norma in questo caso non gli attribuisce alcun effetto fiscale (circolare 150/1999 del ministero delle Finanze).
Questa "discriminazione" ha generato un inevitabile contrasto interpretativo, nell'ambito del quale, secondo un orientamento più garantista, anche la morosità che si manifesta nella locazione di immobili non abitativi autorizza a non dichiarare i canoni non percepiti, secondo il codificato principio di capacità contributiva (Cassazione, sentenza n. 6911/2003).
È importante mettere in evidenza che questa composita tematica è stata comunque riequilibrata dalla Corte costituzionale (sentenza n. 362 del 26 luglio 2000), attraverso la formulazione di principi perequativi di portata generale, che come tali trovano applicazione indistintamente, sia ai rapporti locativi di natura abitativa che commerciale. Nel dettaglio, la Consulta ha statuito che:
• il riferimento al canone di locazione potrà operare nel tempo solo fin quando risulterà in vita un contratto di locazione e quindi sarà dovuto un canone in senso tecnico;
• tornerà in vigore la regola generale, e quindi si potrà evitare la tassazione, quando la locazione sia cessata per scadenza del termine (articolo 1596 del Codice civile) e il locatore pretenda la restituzione dell'immobile essendo in mora il locatario per il relativo obbligo, oppure quando si sia verificata una qualsiasi causa di risoluzione del contratto, ivi comprese quelle di inadempimento in presenza di clausola risolutiva espressa e di dichiarazione di avvalersi della clausola (articolo 1456 del Codice civile), o di risoluzione a seguito di diffida ad adempiere (articolo 1454 del Codice civile).
Pertanto, la presenza nel contratto di una clausola risolutiva dello stesso e la dichiarazione di avvalersene al ricorrere dei sopravvenuti presupposti (quale, appunto, la morosità del locatario) sono da ritenere elementi sufficienti a legittimare il locatore a non dichiarare i canoni non riscossi (Cassazione sentenza n. 12905/2007), senza necessariamente attendere un eventuale pronuncia giudiziale: l'attivazione di quest'ultima sarà, invece, richiesta per far accertare anche la morosità di anni pregressi, finalizzata all'utilizzo del credito d'imposta.
Attenzione: queste regole di favore si estendono a qualsiasi tipologia di immobile compreso nel rapporto di locazione, dal momento che il giudice delle leggi non fa alcuna distinzione fra unità abitativa e commerciale.
È importante ricordare che qualora venga esercitata la facoltà di risolvere anticipatamente il rapporto contrattuale rispetto alla a scadenza naturale, occorre segnalare la circostanza all'anagrafe tributaria. L'esecuzione di questo obbligo persegue nel contempo anche lo scopo di dare coerenza e giustificazione alla più ridotta consistenza reddituale del locatore in conseguenza del mancato incasso dei canoni (si veda l'Esperto risponde del 10 febbraio 2014).
Tutte queste considerazioni valgono a prescindere dal regime impositivo prescelto dal contribuente, ordinario o della cedolare secca.
Il principio di tassazione in base alla maturazione del reddito fondario dei fabbricati trova infine un'ulteriore attenuazione nell'articolo 36, Tuir, che consente al contribuente di evitare il prelievo Irpef sul reddito derivante dall'immobile qualora quest'ultimo venga sottoposto a lavori di restauro, risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia. Gli interventi devono essere supportati dai titoli abilitativi richiesti dalla normativa edilizia, e l'esimente impositiva sarà conseguibile per tutto il periodo di validità del provvedimento amministrativo. Questa esimente opera sia per la rendita catastale che per i canoni di locazione: infatti, anche se ci fosse un rapporto locativo, sarebbe sospeso o risolto in anticipo per consentire i lavori. Anche in questo caso, questa eccezione vale sia in relazione agli immobili a destinazione abitativa che commerciale.

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