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mercoledì 10 giugno 2009

Condominio: disabili

La sentenza n. 12705 del 13 giugno 2008 della Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione non contiene, sul tema dell'abbattimento delle barriere architettoniche in ambito condominiale, elementi di novità rispetto ai principi espressi dalla stessa Corte in precedente pronuncia (sentenza n. 12705 del 26.04.2005).

La sentenza fornisce alcuni spunti per una riflessione sull'argomento che presenta orientamenti contrastanti

Diritti ed esigenze contrapposti

È un dato oggettivo dell'esperienza che in ambito condominiale si registri un conflitto tra le ragioni di proprietà, comuni o individuali, dei condòmini e le ragioni del condomino disabile che esige il diritto al superamento di una barriera architettonica.

Il disabile può essere un comproprietario dell'edificio condominiale e, cosa ben più importante, certamente è portatore di un diritto all'accessibilità all'edificio condominiale e alla sua unità abitativa.

La materia ci obbliga ad uno sforzo interpretativo, poiché, da un lato, deve temperare l'impronta prettamente patrimonialistica delle norme in materia di condominio con le istanze di tutela introdotte della Legge 13 del 1989 sull'abbattimento delle barriere architettoniche; norme che lo stesso articolo 2, comma 3 della Legge richiama espressamente.

Dall'altro lato, l'interpretazione deve contemplare anche le diverse istanze di tutela dei soggetti di questo conflitto, definendone, alla luce dei principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico, il grado di prevalenza, cioè se debba prevalere la tutela del patrimonio o la tutela del soggetto debole che deve accedere alla propria abitazione.

Quali diritti

Per quanto riguarda il disabile, è necessario avere coscienza e conoscenza che la barriera architettonica è una situazione ambientale che interagisce - negativamente - con i diritti della sua persona e non solo con il suo patrimonio.

In primo luogo incide sul diritto ad un pieno inserimento sociale, che ha come condizione la possibilità per il disabile di accedere, in autonomia e sicurezza, dove meglio crede in base alle sue necessità, interessi ed aspirazioni.

Sotto questo profilo non è superfluo notare come sia mutata la visione del soggetto disabile: da tempo non è più un "soggetto non recuperabile" e la sua socializzazione è vista come elemento essenziale per la sua salute, con effetti e funzioni sostanzialmente terapeutiche, al pari delle cure e delle terapie di riabilitazione.

La barriera

L'accessibilità è stata identificata come uno dei presupposti per un pieno e libero inserimento sociale della persona disabile, quindi per la realizzazione della sua persona (lettera G dell'art. 2 del Decreto Ministeriale 14.06.1989, n. 236).

L'accessibilità, intesa come "la possibilità, anche per persone con ridotta od impedita capacità motoria o sensoriale, di raggiungere l'edificio e le sue singole unità ambientali e ambienti, di entravi agevolmente e di fruire spazi ed attrezzature in condizioni di adeguata autonomia e sicurezza", è diventata "una qualitas essenziale degli edifici privati di nuova costruzione ad uso di civile abitazione, quale conseguenza dell'affermarsi, nella coscienza sociale, del dovere collettivo di rimuovere, preventivamente, ogni possibile ostacolo alla esplicazione dei diritti fondamentali delle persone affette da handicap fisici. Per quanto riguarda poi gli edifici privati già esistenti, vengono in considerazione, come espressione dello stesso indirizzo legislativo, gli interventi previsti dall'art. 2 della citata L. 13 del 1989, in virtù dei quali è possibile apportare all'immobile condominiale, a spese dell'interessato ed anche in deroga alle norme sul condominio negli edifici, le modifiche necessarie per renderlo più comodamente accessibile".

Per la Corte di Cassazione in altre parole, la barriera architettonica è situazione che può compromettere la salute e lo sviluppo della persona disabile.

I diritti del condomino disabile al superamento della barriera architettonica presente nell'edificio condominiale nel quale abita o al quale deve accedere, pertanto, non sono certo meno importanti delle ragioni di tutela del decoro architettonico dell'edificio condominiale, della servibilità o usabilità delle parti comuni, o dei diritti di proprietà sulle singole unità inglobate nell'edificio condominiale.

I limiti della legge

La barriera architettonica può compromettere, anche in ambito condominiale, le attività realizzatrici della persona disabile: questo è un concetto che, pur nella sua recente elaborazione, fa oramai parte del patrimonio di base dell'operatore del diritto.

In altri termini, la barriera architettonica può essere fonte, oltre che di un danno alla salute del disabile (danno biologico), anche di un danno esistenziale, inteso, appunto, come voce di danno all'interno della quale vanno ricondotti tutti gli impedimenti che la persona subisce sul piano delle attività attraverso le quali persegue il proprio sviluppo individuale.

Se non bastasse, la giurisprudenza di merito ha anche individuato un danno esistenziale nella riduzione delle potenzialità di godimento della propria abitazione.

I diritti di proprietà dei condòmini - alla cui tutela vigila, in caso di innovazioni sottese a superare una barriera architettonica, il secondo comma dell'art. 1120 del Codice Civile, espressamente richiamato dal terzo comma dell'art. 2 della Legge 13 del 1989 - si contrappongono alle posizioni soggettive del disabile di rilevanza costituzionale.

Purtroppo queste posizioni soggettive sembrano non essere tutelate pienamente dalla Legge 13/1989, se consideriamo i limiti alle innovazioni dalla stessa posti con il terzo comma del suo articolo 2. Per questo non è stata esente da critiche.

Infatti, non si può certo dire che la legge 13 del 1989 riconosca al disabile un diritto incondizionato alle innovazioni atte a superare la barriera architettonica.

La Legge 13 riconosce al disabile solo il più limitato diritto a realizzare opere mobili facilmente rimovibili (e non è il caso dell'ascensore), all'installazione di servoscala e all'allargamento di porte, purché ciò sia fatto a sue spese (vedi il secondo comma dell'articolo 2 della Legge 13/1989). Viceversa, ancorché con maggioranze meno rigorose di quelle previste dall'art. 1120, 1° comma del Codice Civile, richiede un consenso qualificato (con una maggioranza ampia) degli altri condòmini per l'esecuzione di opere di tipo strutturale qualificabili, appunto, come innovazioni.

Paradossalmente, in termini concreti, l'eliminazione delle barriere architettoniche ha trovato talora soluzione più efficace nelle norme in materia di comunione, vale a dire l'articolo 1102 del Codice Civile, che non nella legislazione speciale.

Giurisprudenza favorevole

Fa riferimento stretto al Codice Civile la sentenza che ha stabilito che il disabile ha anche diritto ad utilizzare il cortile comune per procedere all'installazione di una colonna d'ascensore al servizio del proprio edificio, tanto più nell'ipotesi in cui tra i condòmini utilizzatori dell'impianto installato vi siano soggetti disabili.

Sulla stessa linea è la sentenza che ha fissato il diritto ad installare un ascensore all'esterno dell'edificio condominiale, anche con l'eventuale dissenso degli altri condòmini, non costituendo ciò un'innovazione, ma una mera modifica, necessaria per il miglior godimento della cosa.

In altri casi la giurisprudenza ha prestato maggiore ed espressa attenzione all'esigenza di tutela per le posizioni soggettive costituzionalmente rilevanti del disabile e alla funzione sociale che deve avere la proprietà privata. L'intento è di garantire un'applicazione della Legge 13 più incisiva sul piano della tutela effettiva.

Su questo solco è la sentenza che ha riconosciuto il diritto del disabile all'installazione dell'ascensore nella gabbia delle scale, poiché nella valutazione comparativa dei contrapposti interessi - da effettuarsi nello spirito della funzione sociale che la proprietà privata ha nella Costituzione - risulta che l'ascensore consente al condomino disabile la soluzione di un problema vitale e di primo interesse quale è l'adeguato inserimento nella vita sociale.

In un altro caso ha riconosciuto il diritto alla realizzazione, sull'esterno dell'edificio condominiale, di una struttura metallica e di uno scalino per l'installazione di una piattaforma mobile, poiché la tutela del decoro architettonico dell'edificio condominiale va contemperata con l'esigenza di eguaglianza e solidarietà dovuta nei confronti dei disabili.

In un altro caso è stato ammesso il diritto all'escavazione del sottosuolo condominiale finalizzata all'installazione di un ascensore, senza che ciò arrechi danni attuali o futuri all'edificio condominiale, poiché ragioni di pubblico interesse e di solidarietà sociale rendono lecite anche le opere che incidono sul compossesso dei condòmini.

Giurisprudenza contraria

Non manca, infatti, giurisprudenza di merito e di legittimità che, sulla base di un'interpretazione letterale della Legge 13 e nel rispetto delle norme in materia di condominio, non deroga, in alcun modo, all'intangibilità dei diritti di proprietà dei condòmini, intaccati dalle innovazioni richieste o adottate dal disabile.

In altri termini, si può dire che dall'esame delle diverse pronunce in materia di abbattimento delle barriere architettoniche risulta che dall'applicazione della Legge 13 del 1989 e dalle norme sul condominio e sulla comunione non è risolto il punto centrale dell'intera questione, vale a dire: se il disabile abbia o meno diritto di fare uso delle parti comuni dell'edificio condominiale per superare una barriera architettonica, anche contro il parere degli altri condòmini e ancorché l'innovazione realizzata incida, pur non travolgendoli, sui diritti di proprietà (comuni e/o individuali) di terzi, dovendo rilevare, per contro, il consenso dei condòmini al solo fine di vedere un loro concorso nelle spese di realizzazione dell'innovazione.

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