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martedì 2 dicembre 2008

Lavoro: Licenziamento

Normativa contrattuale
All'autonomia individuale ed a quella collettiva non è consentito di regolare la disciplina della risoluzione del rapporto di lavoro prevedendo cause estintive del rapporto a tempo indeterminato ulteriori rispetto a quelle contemplate dal codice civile e dalle leggi speciali e, conseguentemente è nulla, ex art. 1428 c.c., la clausola, contenuta nel contratto individuale o nel contratto collettivo di diritto comune, che stabilisca la risoluzione automatica del rapporto al raggiungimento di una determinata anzianità contributiva. (Cass. 15/1/2003, n. 535)
Nella nuova regolamentazione legislativa (d.l. n. 487/93, convertito in l. n. 71/94) del rapporto di lavoro di diritto privato dei dipendenti dell'Ente poste italiane, il contratto collettivo per tale categoria di personale - che non è autorizzato a derogare alla legge non essendo identificabile alcuna cosiddetta delegificazione della materia, ma solo privatizzazione del rapporto - non può innovare o derogare rispetto alle norme di legge imperative e quindi è nulla (ex art. 1418 c.c.) la previsione contrattuale, secondo cui (a partire dal 31/1/95) il rapporto di lavoro si risolve automaticamente (senza obbligo di preavviso o di erogare la corrispondente indennità sostitutiva) al raggiungimento della massima anzianità contributiva, con effetto dal giorno successivo al compimento di quaranta anni utili ai fini pensionistici, perché in violazione del principio (di natura inderogabile) secondo cui il rapporto di lavoro si può risolvere solo per licenziamento, per dimissioni, per mutuo consenso o per lo spirare dei termini per la ripresa del servizio previsti dall'art. 18, comma 5, l. 20/5/70, n. 300. (Cass. 27/1/01, n. 1165)

Procedura
Nel rito del lavoro, caratterizzato da una rigida disciplina della fase introduttiva, integra una vera e propria “mutatio libelli”, come tale non consentita, la formulazione di una domanda che, ad integrazione di quella originariamente proposta, concernente la sola declaratoria di illegittimità di un licenziamento, abbia ad oggetto l’applicazione della tutela reale di cui all’art. 18 della legge n. 300 del 1970, atteso che essa implica non solo un mutamento del “petitum” ma anche della “causa petendi”, in quanto l’applicabilità della tutela reale presuppone, in particolare, la sussistenza di un determinato requisito dimensionale la cui valutazione da parte del giudice comporta l’inserimento nel processo dell’allegazione di un fatto costitutivo precedentemente non dedotto. (Cass. 28/7/2005 n. 15781)

Il lavoratore che deduca con il ricorso introduttivo l’illegittimità del licenziamento per difetto di giusta causa non può far valere successivamente nel corso del giudizio (con le note autorizzate prima dell’udienza di discussione, come nella specie) la nullità per l’inosservanza della procedura prevista dall’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, ai fini dell’irrogazione del licenziamento disciplinare, in quanto tale ulteriore prospettazione costituisce domanda nuova, trattandosi di una diversa “causa petendi”, con l’inserimento di un fatto nuovo a fondamento della pretesa e di un diverso tema di indagine e di decisione. La preclusione posta dall’art. 414 c.p.c. non può essere superata, né ritenendo riconducibili i passaggi procedurali richiesti dall’art. 7 cit. a requisiti formali, come tali sussumibili nelle generiche censure di ordine formale contenute nel ricorso, atteso che la prospettazione di detti profili implica l’allegazione di fatti nuovi; né dall’acquiescenza o dall’accettazione del contraddittorio della controparte, stante le esigenze di ordine pubblico attinenti al funzionamento del processo poste a fondamento della disciplina della fase introduttiva del giudizio. (Cass. 20/4/2005 n. 8264)

Nell’ipotesi di controversia in ordine al quomodo della risoluzione del rapporto (licenziamento orale o risoluzione per mutuo consenso) si impone una indagine accurata da parte del giudice di merito, che tenga adeguato conto del complesso delle risultanze istruttorie, in relazione anche all'esigenza di rispettare non solo il primo comma dell'art. 2697 c.c., relativo alla prova dei fatti costitutivi del diritto fatto valere dall’attore, ma anche il secondo comma, che pone a carico dell’eccipiente la prova dei fatti modificativi o estintivi del diritto fatto valere della controparte; regola che deve ritenersi violata nel senso di rigetto della domanda basato in sostanza sulla valorizzazione dell’ipotesi di mutuo consenso, privilegiata solo per la ritenuta insufficienza della prova del licenziamento. (Nella specie, la Corte Cass. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda del lavoratore, ritenendo non sufficiente la prova del licenziamento orale e valorizzando l’eccezione – peraltro irrituale – del mutuo consenso, dando rilievo a fatti irrilevanti, quali la quietanza liberatoria rilasciata dal lavoratore nel riscuotere la liquidazione del tfr, il lungo tempo trascorso tra il licenziamento e la proposizione della domanda giudiziale, il reperimento di una nuova occupazione). (Cass. 18/3/2005 n. 5918)
Incorre in violazione dell’art. 112 c.p.c. la decisione di merito che addivenga all’accoglimento della domanda di annullamento del licenziamento, rilevando d’ufficio l’irrituale esperimento della procedura di licenziamento collettivo, per nulla invocato dall’originario ricorrente. (Nella specie il lavoratore aveva impugnato il licenziamento per carenza del giustificato motivo oggettivo e il datore di lavoro aveva sostenuto che si trattava di licenziamento collettivo. La corte di appello, aderendo alla tesi del licenziamento collettivo, lo aveva, tuttavia, dichiarato inefficace per violazione degli obblighi di comunicazione di cui all’art. 4 della legge n. 223 del 1991, emettendo, in tal modo, una statuizione basata su elementi fattuali non allegati. (Cass. 20/12/2004 n. 23611)
In un giudizio di impugnazione di licenziamento illegittimo il datore di lavoro non può allegare e provare per la prima volta in appello l'intervenuta cessazione dell'attività aziendale, ostativa alla liquidazione dei danni maturati successivamente a tale cessazione. (Cass. 20/12/2002, n. 18194)

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