La Cassazione è tornata ad occuparsi della legittimazione attiva e
passiva dell’amministratore di condominio. La sentenza cui facciamo
riferimento è la n. 10951 depositata in cancelleria lo scorso 28 giugno.
I comproprietari di
un’unità immobiliare ubicata in condominio fanno causa alla compagine
cui partecipano ed ai vicini del piano sovrastante: l’azione è volta ad
ottenere il risarcimento del danno causato da infiltrazioni provenienti
dal terrazzino che copre parte del loro appartamento. Il condominio si
costituisce in giudizio lamentando l’impossibilità d’intervenire per la
resistenze poste dai proprietari del terrazzo. Questi ultimi, invece,
affermano che le infiltrazioni provengono da parti comuni. Condominio e
proprietari del terrazzo venivano condannati tanto in primo grado quanto
in appello. A quel punto non resta che il giudizio in Cassazione.
L’amministratore, per conto del condominio, tramite l’avvocato incarico
presenta ricorso (tecnicamente controricorso visto che la causa di
legittimità era stata attivata dai proprietari del terrazzo).
Gli ermellini evidenziano che il mandatario della compagine non aveva
l’autorizzazione assembleare, necessaria per questo genere di causa. In
particolare si legge in sentenza, nel rispetto di quanto stabilito dalle
Sezioni Unite (sent. n. 18331/10), che "
l'amministratore di condominio, in base al disposto dell'art. 1131
c.c., comma 2 e 3, può anche costituirsi in giudizio e impugnare al
sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione a tanto dall'assemblea,
ma dovrà, in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo operato
da parte dell'assemblea per evitare pronuncia di inammissibilità
dell'atto di costituzione ovvero di impugnazione". Le SSUU rilevavano
che la normativa deve essere interpretata alla luce dei principi
generali e, soprattutto, del ruolo e delle competenze
dell'amministratore di condominio, nonchè in base al diritto di dissenso
dei condomini rispetto alle liti (art. 1132 c.c.) e che, quindi,
l'amministratore non ha autonomi poteri, ma si limita ad eseguire le
deliberazioni dell'assemblea ovvero a compiere atti conservativi dei
diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio (art. 1130 c.c.)” (principio espresso da Cass. SS.UU. 18331/10 richiamato in Cass. .28 giugno 2012 n. 10951).
In considerazione di ciò, prosegue la Corte, “in materia di azioni
processuali il potere decisionale spetta solo ed esclusivamente
all'assemblea che dovrà deliberare se agire in giudizio, se resistere e
se impugnare i provvedimenti in cui il condominio risulta soccombente;
un tale potere decisionale, secondo la richiamata sentenza, non può
competere all'amministratore che, per sua natura, non è un organo
decisionale ma meramente esecutivo del condominio. Alla luce di tali
principi, ai quali occorre dare continuità, deve essere assegnato
all'amministratore del condominio, ai sensi dell'art. 182 c.p.c.,
termine perentorio di 90 giorni dalla comunicazione della presente
ordinanza per provvedere al deposito della ratifica del suo operato da
parte dell'assemblea o, se già autorizzato, dell'autorizzazione
dell'assemblea condominiale”
AmministrazioniAC.com
soluzioni immobiliari
Nessun commento:
Posta un commento