La cessione di rami societari può risultare per alcune aziende una
ricetta necessaria per far fronte alle difficoltà della crisi economica.
Il tema diventa ancora più di attualità in questo momento, a cavallo
tra la fine del l'esercizio 2012 e l'inizio del nuovo anno.
Dal punto di vista dei giudici – chiamati a esprimersi su queste
operazioni in caso di contenzioso – l'esigenza di razionalizzare le
strutture aziendali deve bilanciare la libertà di iniziativa economica e
la salvaguardia dell'occupazione e dei diritti dei lavoratori. In
questa direzione, la giurisprudenza è sempre più impegnata nella ricerca
degli elementi di legittimità per determinare una genuina ed effettiva
operazione di cessione imprenditoriale. In particolare, il filo che lega
le pronunce è certamente la presenza di una struttura aziendale con
autonomia funzionale e produttiva.
Così, il 4 dicembre scorso con sentenza n. 21711, la Cassazione ha
precisato che il trasferimento a un altro datore di lavoro di una serie
di contratti di lavoro eterogenei, dall'addetto alla guardiania, fino
alla receptionist e all'impiegata del design industriale, rappresenta
cessione di ramo d'azienda solo se prima del negozio tra cedente e
cessionario questi contratti configuravano una vera e propria struttura
aziendale con autonomia funzionale e produttiva: in mancanza di questi
elementi, il trasferimento è una mera esternalizzazione.
La vicenda vede coinvolta una lavoratrice del settore disegno
industriale, progettazione e realizzazione di prototipi di autovetture,
trasferita ad altra società che da anni aveva l'appalto del servizio di
pulizia dei locali della cedente. In realtà, si legge nel ricorso, il
provvedimento di trasferimento non aveva riguardato un ramo di azienda,
ma un insieme eterogeneo di lavoratori, per cui non risultava
applicabile l'articolo 2112 del Codice civile, ma l'articolo 1406 sulla
cessione del contratto, che necessita del consenso del contraente
ceduto.
La Cassazione accoglie il ricorso della lavoratrice, sostenendo che sia
la normativa comunitaria (direttiva Ce 98/50 e 2001/23), sia la
legislazione nazionale perseguono il fine di evitare che il
trasferimento si trasformi in un semplice strumento di sostituzione del
datore di lavoro, in una pluralità di rapporti individuali, con un
altro, sul quale i lavoratori possano riporre minore affidamento sul
piano sia della solvibilità sia dell'attitudine a proseguire con
continuità l'attività produttiva (si veda l'altro articolo in pagina).
Secondo la Corte, la cessione di ramo d'azienda può anche comportare la
"smaterializzazione" o "l'alleggerimento" delle strutture, per esempio
per innovazioni tecnologiche, ma comunque deve sussistere una struttura
aziendale apprezzabile, composta dai contratti, prima della cessione.
Affinati.com
Al fianco di chi lavora.
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