Pagine

giovedì 19 giugno 2008

Tia Tariffa igiene ambientale deve essere assoggettata all'IVA?

Interpello- Articolo 11, legge 27 luglio 2000, n. 212. – Assoggettabilità all’imposta sul valore aggiunto della tariffa di igiene ambientale (TIA).

La tariffa di igiene ambientale (TIA) è stata istituita dall’articolo 49 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, (recante “Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio”) che ha contestualmente disposto la soppressione della previgente tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU).
In seguito all’entrata in vigore del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (recante “Norme in materia ambientale”), la disciplina della TIA è contenuta nell’art. 238 del medesimo decreto che definisce, al comma 1, la suddetta tariffa come il “corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani”.
Il medesimo articolo 238 dispone, inoltre, che è tenuto al pagamento della tariffa chiunque possegga o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte ad uso privato o pubblico e che la tariffa, applicata e riscossa dai soggetti affidatari del servizio di gestione integrata, è composta, oltre che da una quota fissa (“determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti”), anche da una quota variabile che è espressamente rapportata “alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione”, in modo che venga assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio in argomento.
Riguardo alla natura giuridica della TIA e al regime fiscale alla stessa applicabile agli effetti dell’IVA, l’Agenzia delle Entrate con risoluzione n. 25/E del 5 febbraio 2003 ha chiarito, confermando l’orientamento già espresso con circolare n. 111/E del 21 maggio 1999, che la tariffa si configura “alla stregua di un corrispettivo”, nel presupposto che l’espletamento del servizio avvenga secondo le regole di diritto comune.
La citata risoluzione n. 25/E del 2003 ha, quindi, chiarito che la TIA deve essere assoggettata all’IVA con applicazione dell’aliquota agevolata del 10 per cento prevista dal n. 127-sexiesdecies) della Tabella A, Parte III, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.
Ciò premesso, con riferimento al quesito formulato dall’interpellante, la scrivente ritiene di dover confermare l’orientamento già espresso con la citata risoluzione n. 25/E del 2003, anche alla luce della qualificazione normativa della TIA come “corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani” operata dall’art. 238 del D. Lgs. n. 152 del 2006 e delle modalità di determinazione della tariffa stessa, basate, fra l’altro, ai sensi del medesimo decreto, sulla quantità dei rifiuti conferiti dall’utenza, sul servizio fornito e sull’entità dei costi di gestione.
Per quanto concerne la sentenza della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione n. 17526 del 2007 - richiamata espressamente dall’istante a sostegno della propria soluzione interpretativa – si osserva che l’anzidetta sentenza, senza affrontare in modo specifico la problematica fiscale, ha affermato la natura tributaria della tariffa, sulla base, in primo luogo, della circostanza che le controversie in materia di TIA sono state devolute al giudice tributario dall’art. 3-bis del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248; ad avviso dei giudici di legittimità se il legislatore ha ricondotto la TIA nell’ambito del processo tributario si deve presumere che abbia voluto riconoscerne la natura di entrata tributaria.
Al riguardo, si ritiene che l’avvenuta devoluzione delle liti in materia di TIA al giudice tributario non possa valere, di per sé, come presupposto idoneo a definire la natura della stessa come prelievo di diritto pubblico e ad escluderne la natura di corrispettivo del servizio di gestione dei rifiuti, con conseguente inapplicabilità dell’IVA.
Antecedentemente all’entrata in vigore dell’art. 3-bis del decreto-legge n. 203 del 2005, infatti, l’art. 2 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, nel prevedere che “appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie
aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie (…), compresi quelli regionali, provinciali e comunali (…)”, già recava una definizione della giurisdizione tributaria tale da ricomprendere tutti i prelievi tributari, ivi compresi quelli locali.
Pertanto, se si ammettesse la tesi secondo cui la TIA ha natura tributaria, non si comprenderebbe la necessità dell’intervento legislativo, realizzato con l’introduzione dell’art. 3-bis del citato decreto-legge n. 203 del 2005, diretto a devolvere espressamente le controversie relative alla TIA alle Commissioni tributarie.
In secondo luogo, la richiamata sentenza n. 17526 del 2007 motiva la natura di entrata tributaria della TIA affermando che la stessa non sembra presentare caratteri sostanziali di diversità rispetto alla tassa, atteso che “fondamento dell’applicazione della tariffa non è alcun intervento o atto volontario del privato”.
Nella citata sentenza viene quindi affermato che la TIA non può qualificarsi come corrispettivo, in senso tecnico, di una prestazione liberamente richiesta, rappresentando, invece, “una forma di finanziamento di servizio pubblico attraverso l’imposizione dei relativi costi sull’area sociale che da tali costi ricava, nel suo insieme, un beneficio”.
Si fa presente, in proposito, che tale osservazione appare suscettibile di essere superata da successive pronunce della Corte di Cassazione, in particolare dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 25551 del 7 dicembre 2007, nella quale viene affermato che “per la copertura dell’onere economico di una attività o di un servizio pubblico il legislatore (…) può sia ricorrere ad una tassa (…) sia utilizzare altri moduli estranei al regime fiscale (entrate non tributarie) in un’ottica più moderna di defiscalizzazione di taluni prelievi tributari e della loro sostituzione con tariffe, canoni o prezzi pubblici”.
La citata sentenza sottolinea, quindi, che occorre distinguere la “tassa”, che condivide la natura tributaria dell’imposta, da “canoni, (…) tariffe, (…) diritti speciali, (…) prezzi pubblici” che rientrano nella categoria delle “entrate patrimoniali extratributarie” e sono assoggettati al relativo regime, a prescindere
dalla scelta operata dal legislatore di devolvere le relative controversie al giudice tributario.
Tutto quanto sopra rappresentato, non si ritiene di poter condividere la soluzione interpretativa prospettata dall’istante.
Si evidenzia, infine, per completezza, per quanto riguarda la possibilità, rappresentata dall’istante, di presentare all’Amministrazione finanziaria istanza di rimborso dell’IVA applicata sulla TIA per le annualità pregresse, che tale istanza sarebbe, in ogni caso, preclusa all’utente finale del servizio in argomento.
Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, infatti, la disciplina in materia di IVA delinea la sussistenza di tre distinti rapporti giuridici “collegati, ma che non interferiscono fra di loro”, intercorrenti tra cedente (o prestatore) ed Amministrazione finanziaria - relativamente al pagamento dell’imposta - fra cedente (o prestatore) e cessionario (o committente) - in ordine all’esercizio della rivalsa - e fra cessionario (o committente) ed Amministrazione finanziaria - relativamente alla detrazione dell’IVA assolta in via di rivalsa.
Da ciò discende che solo il cedente o prestatore ha titolo ad agire per il rimborso dell’imposta nei confronti dell’Amministrazione finanziaria la quale, essendo estranea al rapporto fra cedente (o prestatore) e cessionario (o committente), non può essere tenuta a rimborsare direttamente a quest’ultimo quanto dallo stesso versato in via di rivalsa (cfr., Cass. 6419 del 22 aprile 2003).
Pertanto, con riferimento al caso di specie, l’utente finale del servizio, in quanto estraneo al rapporto concernente il pagamento dell’imposta, sarebbe privo della legittimazione attiva a chiedere l’eventuale rimborso dell’IVA all’Agenzia delle Entrate e ad instaurare - in caso di rifiuto espresso o tacito da parte dell’Amministrazione finanziaria - il giudizio relativo alla debenza del tributo innanzi al giudice tributario.

1 commento:

amministrazioniAC.com ha detto...

Nei prossimi giorni torneremo sulla dibattuta questione con un'ampia rassegna giurisprudenziale