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venerdì 20 giugno 2008

A proposito della risoluzione AdE sulla TIA

Come promesso,
Troviamo corretto specificare che le risoluzioni dell'Agenzia delle Entrate, non sono assolutamente vincolanti, essendo le medesimo atti interni dell'Agenzia.

Per maggiore chiarezza, forniamo un pò di giurisprudenza:

Per la sua natura e per il suo contenuto (di mera interpretazione di una norma di legge), non potendo esserle riconosciuta alcuna efficacia normativa esterna, la circolare non può essere annoverata fra gli atti generali di imposizione, impugnabili innanzi al giudice amministrativo, in via di azione, o disapplicabili dal giudice tributario od ordinario, in via incidentale. Il che rileva, in primo luogo, sul piano generale, perchè le circolari, come è stato affermato dalla dottrina prevalente, non possono nè contenere disposizioni derogative di norme di legge, nè essere considerate alla stregua di norme regolamentari vere e proprie, che, come tali vincolano tutti i soggetti dell'ordinamento, essendo dotate di efficacia esclusivamente interna nell'ambito dell'amministrazione all'interno della quale sono emesse; e, in secondo luogo, con particolare riferimento all'ordinamento tributario, il quale come è noto, è soggetto alla riserva di legge. D'altra parte, per quanto concerne la dottrina specialistica, coloro che non concordano con una simile generale impostazione, pervengono, in definitiva, alla medesima conclusione, perchè sostengono che l'irrilevanza normativa delle circolari dal punto di vista del sistema tributario significa che le stesse sono inidonee, in quanto contenenti norme interne, ad operare all'esterno dell'ordinamento minore cui appartengono. Secondo i fautori di tale tesi dottrinaria, infatti, questa semplice premessa avrebbe il pregio di ridurre al rango di pseudo problema la questione della non impugnabilità in via autonoma delle circolari: proprio perchè rilevanti all'interno di un ordinamento parziale (o sezionale), esse non possono essere prese in considerazione dall'ordinamento generale, cui, invece, appartiene - per definizione - il potere giurisdizionale.


Anche la giurisprudenza ha da tempo espresso analoga opinione sulla inefficacia normativa esterna delle circolari. A quest'ultime, infatti, è stata attribuita la natura di atti meramente interni della pubblica amministrazione, i quali, contenendo istruzioni, ordini di servizio, direttive impartite dalle autorità amministrative centrali o gerarchicamente superiori agli enti o organi periferici o subordinati, esauriscono la loro portata ed efficacia giuridica nei rapporti tra i suddetti organismi ed i loro funzionari. Le circolari amministrative, quindi, non possono spiegare alcun effetto giuridico nei confronti di soggetti estranei all'amministrazione, nè acquistare efficacia vincolante per quest'ultima, essendo destinate esclusivamente ad esercitare una funzione direttiva nei confronti degli uffici dipendenti, senza poter incidere sul rapporto tributario, tenuto anche conto che la materia tributaria è regolata soltanto dalla legge, con esclusione di qualunque potere o facoltà discrezionale dell'amministrazione finanziaria (in questa prospettiva cfr. Cass., Sez. 1^, 25 marzo 1983, n. 2092 e 17 novembre 1995, n. 11931; Cass. Sez. 5^, 10 novembre 2000, n. 14619 e del 14 luglio 2003 n. 11011).

Questi risultati interpretativi vanno condivisi alla stregua delle seguenti considerazioni.

1) La circolare emanata nella materia tributaria non vincola il contribuente, che resta pienamente libero di non adottare un comportamento ad essa uniforme, in piena coerenza con la regola che in un sistema tributario basato essenzialmente sull'auto tassazione, la soluzione delle questioni interpretative è affidata (almeno in una prima fase, quella, appunto, della determinazione dell'imposta da corrispondere) direttamente al contribuente.
2) La circolare nemmeno vincola, a ben vedere, gli uffici gerarchicamente sottordinati, ai quali non è vietato di disattenderla (evenienza, questa, che, peraltro, è raro che si verifichi nella pratica), senza che per questo il provvedimento concreto adottato dall'ufficio (atto impositivo, diniego di rimborso, ecc.) possa essere ritenuto illegittimo "per violazione della circolare": infatti, se la (interpretazione contenuta nella) circolare è errata, l'atto emanato sarà legittimo perchè conforme alla legge, se, invece, la (interpretazione contenuta nella) circolare è corretta, l'atto emanato sarà illegittimo per violazione di legge.
3) La circolare non vincola addirittura la stessa autorità che l'ha emanata, la quale resta libera di modificare, correggere e anche completamente disattendere l'interpretazione adottata. Ciò è tanto vero che si è posto il problema della eventuale tutela del contribuente di fronte al mutamento di indirizzo (interpretativo) adottato dall'amministrazione e si è escluso che tale tutela sia possibile anche sotto il profilo dell'affidamento, stante la evidente collisione che si determinerebbe con il principio - coniugato secondo un diverso lessico, ma riferito ad un unico concetto - di inderogabilità delle norme tributarie, di indisponibilità dell'obbligazione tributaria, di vincolatezza della funzione di imposizione, di irrinunciabilità del diritto di imposta. Non si può, al riguardo, non concordare con quella autorevole dottrina che sostiene che, ammettere che l'amministrazione, quando esprime opinioni interpretative (ancorchè prive di fondamento nella legge), crea vincoli per sè e i Giudici tributari, equivale a riconoscere all'amministrazione stessa un potere normativo che, a tacer d'altro, è in palese conflitto con il principio costituzionale della riserva relativa di legge codificato dall'art. 23 Cost.. Tutt'al più, come è stato pure affermato, potrebbe ammettersi che il mutamento da parte dell'amministrazione di un precedente indirizzo (interpretativo) sul quale il contribuente possa aver fatto affidamento, eventualmente rilevi (o possa esse valutato) ai fini della applicazione delle sanzioni.
4) La circolare non vincola, infine, come già si è detto, il Giudice tributario (e, a maggior ragione, la Corte di Cassazione) dato che per l'annullamento di un atto impositivo emesso sulla base di una interpretazione data dall'amministrazione e ritenuta non conforme alla legge, non dovrà essere disapplicata la circolare, in quanto l'ordinamento affida esclusivamente al Giudice il compito di interpretare la norma (del resto, al Giudice tributario è attribuita, nella materia tributaria, la giurisdizione esclusiva). In tal caso non può non concordarsi con una autorevole dottrina secondo la quale, ammettere l'impugnabilità della circolare interpretativa innanzi al giudice amministrativo - con la possibilità per quest'ultimo di annullarla, peraltro con effetto erga omnes - significherebbe precludere a tutti gli uffici dell'amministrazione finanziaria di accogliere quella interpretazione, con il risultato - contrario ai principi costituzionali - di elevare il Giudice amministrativo al rango di interprete autentico della norma tributaria.

In realtà, la circolare interpretativa esprime, come è stato efficacemente detto, una "dottrina dell'amministrazione", vale a dire l'opinione di una parte (anche se "forte") del rapporto tributario, che, peraltro, può essere discussa e disattesa dal giudice tributario. E, qualora il giudizio di quest'ultimo corrisponda al parere espresso dall'amministrazione, caso sarà pur sempre l'interpretazione del giudice che avrà esclusivo valore ed efficacia.

L'irrilevanza, nel senso fin qui spiegato, della circolare interpretativa in materia tributaria è stata, indirettamente, confermata da una recente sentenza della Corte Costituzionale - la n. 191 del 14 giugno 2007 - a proposito di un atto che sembrerebbe avere rispetto alla circolare, un "valore più cogente", dato il suo carattere "intersoggettivo", e cioè la risposta dell'Agenzia delle Entrate ad una istanza di interpello L. 27 luglio 2000, n. 212, ex art. 11, (c.d. "Statuto del contribuente").

La norma, come è noto, prevede che il contribuente possa "inoltrare per iscritto all'amministrazione finanziaria, che risponde entro cento venti giorni, circostanziate e specifiche istanze di interpello concernenti l'applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali, qualora vi siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni stesse" (art. 11, comma 1): "la risposta dell'amministrazione finanziaria, scritta e motivata, vincola con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell'istanza di interpello, e limitatamente al richiedente" (art. 11, comma 2). Orbene, la Corte costituzionale, affermato che "l'istituto dell'interpello del contribuente, regolato dalla L. n. 212 del 2000, art. 11, costituisce lo strumento attraverso il quale si esplica in via generale l'attività consultiva delle agenzie fiscali in ordine all'interpretazione delle disposizioni tributarie", evidenzia che il parere espresso nella risposta "è vincolante soltanto per l'amministrazione e non anche per il contribuente, il quale resta libero di disattenderlo": "coerentemente con la natura consultiva dell'attività demandata all'Agenzia delle entrate nella procedura di interpello, l'art. 11, non prevede, invece, alcun obbligo per il contribuente di conformarsi alla risposta dell'amministrazione finanziaria, nè statuisce l'autonoma impugnabilità di detta risposta davanti alle commissioni tributarie (oggetto di impugnazione può essere, eventualmente, solo l'atto con il quale l'amministrazione esercita la potestà impositiva in conformità all'interpretazione data dall'agenzia fiscale nella risposta all'interpello)": sicchè deve ritenersi che "la risposta all'interpello, resa dall'amministrazione ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 11, deve considerarsi un mero parere, che non integra alcun esercizio di potestà impositiva nei confronti del richiedente". Conclusione, codesta, che deve essere assunta anche riguardo alla circolare emanata dall'amministrazione.

Alla luce delle considerazioni svolte può, pertanto, affermarsi il seguente principio di diritto: "La circolare con la quale l'Agenzia delle Entrate interpreti una norma tributaria, anche qualora contenga una direttiva agli uffici gerarchicamente subordinati perchè vi si uniformino, esprime esclusivamente un parere dell'amministrazione non vincolante per il contribuente, e non è, quindi, impugnabile nè innanzi al Giudice amministrativo, non essendo un atto generale di imposizione, nè innanzi al giudice tributario, non essendo atto di esercizio di potestà impositiva".

Cassazione civile, sez. Unite, 2 novembre 2007, n. 23031

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