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lunedì 17 gennaio 2011

Condominio: Interpretazione regolamento (Cassazione 22596/2010)

L'interpretazione del rego­lamento condominiale è com­pito spettante al giudice chia­mato a decidere della causa ed è insindacabile in sede di legitti­mità. Questo il principio di di­ritto applicato di recente dalla Cassazione per giudicare la corretta interpretazione di una clausola d'un regolamento con­dominiale d'origine contrattua­le (sentenza 22596/2010).

Il caso concreto:
Un condomino, al momento della ristrutturazione di alcu­ne soffitte, di cui era proprieta­rio, inglobava, nelle stesse, un corridoio che un altro condo­mino sosteneva essere bene co­mune ed eccepiva, sempre quest'ultimo, che tali ristruttu­razioni erano state eseguite in violazione di un articolo del re­golamento condominiale con­trattuale, che sottoponeva qualsiasi intervento modificati­vo dell'edificio all'ottenimen­to di una preventiva autorizza­zione dell'amministratore; chiedeva, quindi, accertarsi rii-legittimità di tale incorporazio­ne e la condanna alla rimessio­ne hi pristino e al risarcimento di danni subiti.
Sia il tribunale (che dichiara­va illegittima l'incorporazione del corridoio e condannava l'esecutore delle ristrutturazio­ni alla rimozione della porzio­ne di corridoio occupata) sia la corte territoriale, rilevavano l'esistenza di un corridoio co­mune coerente con le soffitte medesime. Presentato il ricorso, la Cassazione annullava la sentenza della Corte d'appello e statuiva la non condominialità di quel corridoio posto che lo stesso serviva solamente al­cune unità immobiliari senza assumere alcuna utilità per la collettività.
Nel giudizio di rinvio, la cor­te d'appello chiamata a pronunciarsi sull'interpretazione del­l'articolo del regolamento con­tenente l'obbligo del permesso dell'amministratore per ogni variante allo stato dell'immobi­le, precisava che «il citato per­messo doveva (...) essere rila­sciato dall'amministratore e non dall'assemblea il che evi­denziava che non si verteva in tema di diritti soggettivi all'ese­cuzione, ma solo di una norma procedimentale destinata a re­golare l'armonico contempera­mento delle facoltà di godimen­to dei condomini dello stabile; che inoltre l'amministratore, una volta informato al pari dell'assemblea, non aveva rite­nuto di proporre alcuna reazione»
Ritengono i supremi giudici che la corte d'appello, nell'interpretare l'articolo citato, non sia incorsa nei denunciati vizi di violazione di legge e di moti­vazione. E invero, all'esito di ta­le analisi, il giudice di appello è coerentemente giunto alla con­clusione che dalla omessa ri­chiesta di preventiva autorizza­zione dell'arnministratore , per l'esecuzione di va­riante allo stato dell'immobile di proprietà esclusiva del singo­lo condomino, deriva - nel ca­so di opere non vietate e co­munque legittime - non la rimozione dell'opera realizzata e il ripristino della situazione precedente, bensì solo even­tualmente il diritto (del condo­minio o, per esso, del sìngolo condomino) al risarcimento del danno per il pregiudizio de­rivante dalla violazione di una norma procedimentale volta a disciplinare in modo armoni­co le facoltà di godimento spet­tanti ai singoli condomini con riferimento alla proprietà esclusiva di ciascuno.

«Il procedimento logico-giu­ridico sviluppato - sostiene la Cassazione - è ineccepibile, hi quanto coerente e razionale, e il giudizio di fatto in cui si è con­cretato il risultato dell'interpre-tazione della norma regola­mentare hi questione è fonda­to sii un'indagine condotta nel rispetto dei comuni canoni di ermeneutica e sorretto da moti­vazione, adeguata ed immune dai vizi denunciati».
Prosegue, inoltre, precisan­do che «tale interpretazione del giudice di merito è insinda­cabile hi sede di legittimità, quando non riveli violazione dei canoni di ermeneutica op­pure vizi logici per mancanza, insufficienzao contraddittorie­tà della motivazione».

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