L'interpretazione del regolamento condominiale è compito spettante al giudice chiamato a decidere della causa ed è insindacabile in sede di legittimità. Questo il principio di diritto applicato di recente dalla Cassazione per giudicare la corretta interpretazione di una clausola d'un regolamento condominiale d'origine contrattuale (sentenza 22596/2010).
Il caso concreto:
Un condomino, al momento della ristrutturazione di alcune soffitte, di cui era proprietario, inglobava, nelle stesse, un corridoio che un altro condomino sosteneva essere bene comune ed eccepiva, sempre quest'ultimo, che tali ristrutturazioni erano state eseguite in violazione di un articolo del regolamento condominiale contrattuale, che sottoponeva qualsiasi intervento modificativo dell'edificio all'ottenimento di una preventiva autorizzazione dell'amministratore; chiedeva, quindi, accertarsi rii-legittimità di tale incorporazione e la condanna alla rimessione hi pristino e al risarcimento di danni subiti.
Sia il tribunale (che dichiarava illegittima l'incorporazione del corridoio e condannava l'esecutore delle ristrutturazioni alla rimozione della porzione di corridoio occupata) sia la corte territoriale, rilevavano l'esistenza di un corridoio comune coerente con le soffitte medesime. Presentato il ricorso, la Cassazione annullava la sentenza della Corte d'appello e statuiva la non condominialità di quel corridoio posto che lo stesso serviva solamente alcune unità immobiliari senza assumere alcuna utilità per la collettività.
Nel giudizio di rinvio, la corte d'appello chiamata a pronunciarsi sull'interpretazione dell'articolo del regolamento contenente l'obbligo del permesso dell'amministratore per ogni variante allo stato dell'immobile, precisava che «il citato permesso doveva (...) essere rilasciato dall'amministratore e non dall'assemblea il che evidenziava che non si verteva in tema di diritti soggettivi all'esecuzione, ma solo di una norma procedimentale destinata a regolare l'armonico contemperamento delle facoltà di godimento dei condomini dello stabile; che inoltre l'amministratore, una volta informato al pari dell'assemblea, non aveva ritenuto di proporre alcuna reazione»
Ritengono i supremi giudici che la corte d'appello, nell'interpretare l'articolo citato, non sia incorsa nei denunciati vizi di violazione di legge e di motivazione. E invero, all'esito di tale analisi, il giudice di appello è coerentemente giunto alla conclusione che dalla omessa richiesta di preventiva autorizzazione dell'arnministratore , per l'esecuzione di variante allo stato dell'immobile di proprietà esclusiva del singolo condomino, deriva - nel caso di opere non vietate e comunque legittime - non la rimozione dell'opera realizzata e il ripristino della situazione precedente, bensì solo eventualmente il diritto (del condominio o, per esso, del sìngolo condomino) al risarcimento del danno per il pregiudizio derivante dalla violazione di una norma procedimentale volta a disciplinare in modo armonico le facoltà di godimento spettanti ai singoli condomini con riferimento alla proprietà esclusiva di ciascuno.
«Il procedimento logico-giuridico sviluppato - sostiene la Cassazione - è ineccepibile, hi quanto coerente e razionale, e il giudizio di fatto in cui si è concretato il risultato dell'interpre-tazione della norma regolamentare hi questione è fondato sii un'indagine condotta nel rispetto dei comuni canoni di ermeneutica e sorretto da motivazione, adeguata ed immune dai vizi denunciati».
Prosegue, inoltre, precisando che «tale interpretazione del giudice di merito è insindacabile hi sede di legittimità, quando non riveli violazione dei canoni di ermeneutica oppure vizi logici per mancanza, insufficienzao contraddittorietà della motivazione».
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