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domenica 26 giugno 2011

Condominio:beni comuni divisibili? - Cassazione 8092/2011

La Sentenza n. 8092/2011 della Suprema Corte di Cassazione, ricalca il filone relativo alla differenziazione tra gli istituti giuridici della comunione e del condominio. Una differenza che sta alla base delle decisioni in materia di super-condominio e di quelle sul condominio minimo poi sfociate nella sentenza a Sezioni unite n. 1046 del 31 gennaio 2006.

Secondo l'indirizzo ormai uniforme della Cassazione, la differenza sostanziale tra comunione e condominio è da rinvenirsi nel legame funzionale e di materia che lega le parti comuni alle proprietà esclusive e che determina, nel condominio, l'illiceità della divisione. Al contrario, nella comunione vige l'obbligo di divisione, dato che si tratta di un regime transitorio di cui ogni partecipante può chiedere, in ogni momento, lo scioglimento. In particolare, la Cassazione ha evidenziato, soprattutto al riguardo delle ipotesi di super-condominio, come la normativa condominiale si applichi alle situazioni strutturali di accessorietà, come ad esempio strade, impianti fognari, impianti termici comuni a diversi stabili. E non, invece, ai beni suscettibili di godimento soggettivo diretto svincolato da ogni apparenza di destinazione collegata alle unità immobiliari, come ad esempio piscine e campi da tennis: in questi casi si fa riferimento alle regole relative alla comunione semplice.

Nel caso esaminato dalla sentenza 8092/2011, l'assemblea di condominio aveva modificato l'immobile del portiere – trasformandolo in autorimessa – e un condomino se ne era aggiudicato l'acquisto. In un secondo tempo, però, una parte dei condomini aveva rifiutato il trasferimento della propria quota di proprietà all'acquirente. I giudici di merito avevano escluso che il condomino potesse, validamente, richiedere il trasferimento di singole quote di alcuni degli altri condomini, essendo necessario il trasferimento dell'intero bene a seguito di unanime decisione di tutti i comproprietari.

La Suprema corte, invece, ha cassato la decisione sul presupposto che, una volta cessato il collegamento funzionale tra unità immobiliari e la ex portineria trasformata in autorimessa (che quindi non "serve" più tutto lo stabile) verrebbe meno la condominialità e, pertanto, l'indivisibilità del bene: a quel punto si tratterebbe di una semplice comunione, e quindi le singole quote sarebbero pienamente commerciabili.

La sentenza, peraltro, non chiarisce se sia possibile, attraverso una delibera assembleare, modificare radicalmente la destinazione di una parte comune tanto da incidere sulla sua natura condominiale, ma la trattazione non è avvenuta in ragione del carattere del giudizio di Cassazione, che può intervenire solo su capi dibattuti in sede di merito ed espressamente impugnati in sede di legittimità. Questa possibilità, peraltro, viene riconosciuta dal disegno di legge di riforma, che all'articolo 1117-ter del Codice civile, che cosnente «la sostituzione delle parti comuni, ovvero la modificazione della loro destinazione d'uso» con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell'edificio.

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