L'azienda agricola può produrre energia elettrica da due tipi dì fonti rinnovabili
Agroforestali
II regime agricolo agevolato si applica alla produzione di energia elettrica ottenuta dalle biomasse
a condizione che almeno il 51% della materia prima utilizzata nel processo produttivo
provenga dalla stessa azienda
Fotovoltaico
Anche la produzione di energia elettrica dal fotovoltaico beneficia del regime agricolo agevolato. Non potendosi però definire un criterio di prevalenza, occorre che sussista un evidente rapporto di collegamento tra produzione elettrica e conduzione del fondo agricolo
Viene fissata una franchigia di 200 Kw
al di sotto della quale l'energia rientra nel reddito agrario se prodotta da un'impresa agricola, Anche per la produzione eccedente, tuttavia, l'attività è agricola in presenza di determinate condizioni
LA TARIFFA INCENTIVANTE, È la somma corrisposta dall'ente gestore per garantire un'equa remunerazìone dei costì dì investimento e di esercizio e quindi equivale a un contributo in conto impianti.
IVA
La cessione di energia al gestore nazionale per l'energia (Gse), in quanto equiparato a un grossista, sconta l'aliquota del 10 %
IMPOSTE DIRETTE. La classificazione agricola dell'attività di produzione di energia elettrica comporta, ai fini delle imposte dirette, la tassazione sulla base del reddito agrario, che si traduce in nessuna tassazione aggiuntiva, tenuto conto del fatto che l'imprenditore che coltiva il terreno dichiara la rendita catastale
In collaborazione con AmministrazioniAC
Un unico referente per la consulenza per investimenti immobiliari ed assistenza nella tutela del patrimonio
lunedì 30 novembre 2009
venerdì 27 novembre 2009
Il nuovo blog
Il Blog rimane nella stessa veste, ma con contenuti innovati:
In particolare:
la singola materia verrà trattata nel corso della settimana, con approfondimenti, commenti, sentenze.
Verranno pubblicati post con documenti in formato pdf e guide operative, che esplicheranno in maniera chiara e pratica l'argomento trattato.
Grazie per l'attenzione
In particolare:
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Grazie per l'attenzione
mercoledì 25 novembre 2009
Fotovoltaico e energie alternative: La soluzione in agricoltura
La produzione di energia elettrica da fonti fotovoltaiche può avere natura agricola. In questo caso non è possibile quantificare la prevalenza di beni provenienti dalla azienda agricola secondo gli ordinari crìteri (circolari n.44/E del 2002 e n. 44/E/20O4) in quanto la luce è una risorsa che non appartiene all'impresa agricola. Tuttavia, l'agenzia Entrate ricorda che ci deve essere, comunque, una correlazione tra la produzione di energia e la conduzione del fondo agricolo. Con la circolare n. 44 E del 2002 e n. 44/E del 2004) vengono quindi fissati dei parametri basati sulla potenza nominale dell'impianto installato, confrontata con alcuni fattori relativi alla attività agri¬cola svolta. Al riguardo, viene fissata una franchigia pari a 200 Kw al di sotto della quale l'energia prodotta rientra nel reddito agrario se prodotta da una impresa agricola.
Per la produzione eccedente, l'attività è agricola qualora sussista almeno uno dei.seguenti tre requisiti: l'energia prodotta derivi da impianti integrati architettonicamente (anche parzialmente) su strutture aziendali esistenti; il volume d'affari derivante dall'attività agricola sia prevalente rispetto al volume d'affari dell'attività di produzione di energia fo tovoltaica eccedente i 200 Kw (a tal fine viene esclusa la tariffa incentivante); il titolare dell'impresa agricola deve coltivare almeno un ettaro di terreno per ogni io Kw di potenza eccedente la fran¬chigia ed entro il lìmite di i Mw. In base alla circolare, la produzione superiore a un Mw sembra essere esclusa dalla tassazione catastale, ma non viene precisato se la tassazione a bilancio riguardi soltanto la parte ecceden¬te. Si osserva che tale limitazione non è prevista dalla legge.
I terreni coltivati possono essere di proprietà dell'imprenditore o nella sua disponibilità. Devono inoltre essere da lui condotti e ubicati nel comune ove si trova l'impianto fotovoltaico o in comuni confinanti.
Tariffa incentivante
La tariffa incentivante è una somma corrisposta dall'ente gestoreper garantire una equa remunerazione dei costi dì investimento e di esercizio e, quindi, equivale aun contributo in conto impiantì (circolare n. 46/E del 19 luglio 2007). La circolare n, 32/E ricorda che essa non è rilevante ai fini delle imposte dirette qualorasiapex-cepita da soggetti che naturalmcnte,operopzione, determinano il reddito in base all'articolo 32 del Tuir. La tariffa è soggetta all'applicazione della ritenuta d'acconto del 4% solo se percepita da soggetti che rientrano nel reddito d'impresa, comprese le società che hanno esercitato l'opzioneper la tassazione in base al reddito agrario. Quindi le società semplici e le imprese individuali non subiscono alcuna ritenuta, mentre le altre società sono soggette a ritenuta anche se hanno optato per la tassazione catastale.
Vuoi saperne di più?
chiedi a AmministrazioniAC
Per la produzione eccedente, l'attività è agricola qualora sussista almeno uno dei.seguenti tre requisiti: l'energia prodotta derivi da impianti integrati architettonicamente (anche parzialmente) su strutture aziendali esistenti; il volume d'affari derivante dall'attività agricola sia prevalente rispetto al volume d'affari dell'attività di produzione di energia fo tovoltaica eccedente i 200 Kw (a tal fine viene esclusa la tariffa incentivante); il titolare dell'impresa agricola deve coltivare almeno un ettaro di terreno per ogni io Kw di potenza eccedente la fran¬chigia ed entro il lìmite di i Mw. In base alla circolare, la produzione superiore a un Mw sembra essere esclusa dalla tassazione catastale, ma non viene precisato se la tassazione a bilancio riguardi soltanto la parte ecceden¬te. Si osserva che tale limitazione non è prevista dalla legge.
I terreni coltivati possono essere di proprietà dell'imprenditore o nella sua disponibilità. Devono inoltre essere da lui condotti e ubicati nel comune ove si trova l'impianto fotovoltaico o in comuni confinanti.
Tariffa incentivante
La tariffa incentivante è una somma corrisposta dall'ente gestoreper garantire una equa remunerazione dei costi dì investimento e di esercizio e, quindi, equivale aun contributo in conto impiantì (circolare n. 46/E del 19 luglio 2007). La circolare n, 32/E ricorda che essa non è rilevante ai fini delle imposte dirette qualorasiapex-cepita da soggetti che naturalmcnte,operopzione, determinano il reddito in base all'articolo 32 del Tuir. La tariffa è soggetta all'applicazione della ritenuta d'acconto del 4% solo se percepita da soggetti che rientrano nel reddito d'impresa, comprese le società che hanno esercitato l'opzioneper la tassazione in base al reddito agrario. Quindi le società semplici e le imprese individuali non subiscono alcuna ritenuta, mentre le altre società sono soggette a ritenuta anche se hanno optato per la tassazione catastale.
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lunedì 23 novembre 2009
Anteprima 2010
Legal
Il professionista che ha bisogno di una consulenza mirata o il privato che ha un problema particolare potranno sottoporre le proprie questioni allo staff di Legal
Saranno ricontattati e con un preventivo chiaro e dettagliato potranno liberamente decidere di affidare l'incarico ai professionisti.
AmministrazioniAC
Il blog, invece si dedicherà sempre di più ad affrontare casi e questioni di immobili, locazioni e condominio il tutto affidato allo staff di AmministrazioniAC
45 post dettagliati in un anno, 12 guide operative per i problemi degli immobili, 17 professionisti che collaborano, ecco il motivo per cui affidare ad AmministrazioniAC la soluzione dei Vostri quesiti.
Grazie.
Nel frattempo ci trovate su Facebook, Viadeo e xing
Clicca sul link a fianco
Legal
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venerdì 20 novembre 2009
Condominio: Gli 8 punti del decoro architettonico
I consulenti di AmministrazioniAC hanno steso un vademecum in 8 punti riguardo la salvaguardia del decoro architettonico in condominio:
1) veranda e balcone: il balcone è di proprietà esclusiva, ma non lo sono i fregi e il parapetto, non solo la creazione di una veranda può violare il decoro
2) Canna fumaria: l'installazione di una canna fumaria in aderenza, appoggio o incastro nella facciata condominiale è consentita solamente se realizzata in armonia con le caratteristiche dell'immobile
3) Cartellone pubblicitario: L'apposizione di un cartellone che occupa l'intera facciata, lede il decoro dell'immobile, dovranno essere valutati i singoli casi in cui si porvvederà a installare il cartellone sulla sommità del condominio
4) Condizionatore: il posizionamento dell'unità esterna di un condizionatore potrà essere valutata a seconda delle sue dimensioni, in ogni caso potranno essere considerate installazioni "nascoste" direttamente sui terrazzi di proprietà esclusiva
5) Antenna parabolica: se montata sulla ringhiera o sul parapetto può alterare l'estetica dell'immobile, potranno essere valutate due soluzioni: una colorazione particolare della parabola oil montaggio sul tetto di un'antenna centralizzata.
6) Sopraelevazione: potrà essere effettuata nel pieno rispetto dello stile dell'immobile, senza che possa esser percepita modifica dall'occhio di un comune osservatore.
7) Tende: di colori diversi generano sicurante un danneggiamento del valore estetico dell'immobile
8) Porta: è ammessa l'apertura di una nuova porta esclusivamente nell'androne e solamente rispettando i criteri estetici dell'immobile.
1) veranda e balcone: il balcone è di proprietà esclusiva, ma non lo sono i fregi e il parapetto, non solo la creazione di una veranda può violare il decoro
2) Canna fumaria: l'installazione di una canna fumaria in aderenza, appoggio o incastro nella facciata condominiale è consentita solamente se realizzata in armonia con le caratteristiche dell'immobile
3) Cartellone pubblicitario: L'apposizione di un cartellone che occupa l'intera facciata, lede il decoro dell'immobile, dovranno essere valutati i singoli casi in cui si porvvederà a installare il cartellone sulla sommità del condominio
4) Condizionatore: il posizionamento dell'unità esterna di un condizionatore potrà essere valutata a seconda delle sue dimensioni, in ogni caso potranno essere considerate installazioni "nascoste" direttamente sui terrazzi di proprietà esclusiva
5) Antenna parabolica: se montata sulla ringhiera o sul parapetto può alterare l'estetica dell'immobile, potranno essere valutate due soluzioni: una colorazione particolare della parabola oil montaggio sul tetto di un'antenna centralizzata.
6) Sopraelevazione: potrà essere effettuata nel pieno rispetto dello stile dell'immobile, senza che possa esser percepita modifica dall'occhio di un comune osservatore.
7) Tende: di colori diversi generano sicurante un danneggiamento del valore estetico dell'immobile
8) Porta: è ammessa l'apertura di una nuova porta esclusivamente nell'androne e solamente rispettando i criteri estetici dell'immobile.
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mercoledì 18 novembre 2009
Condominio: decoro architettonico e rimozione barriere
Neppure le opere destinate alla rimozione delle barriere architettoniche si sottraggono alla discussione sul decoro dell'edificio condominiale.
La materia come ci sottolineano i consulenti di AmministrazioniAC è regolata dalla legge 13 del 1989 che determina standard per gli edifici di nuova costruzione ( DM 14 giugno 1989) e incentiva gli interventi volti alla rimozione delle barriere.
L'art. 2 della suddetta legge permette che le modifiche con tali finalità possano essere assunte all'interno del Condomino con maggioranze inferiori rispetto a quelle reviste per le innovazioni (in seconda convocazione 1/3 dei partecipanti e 1/3 del valore dell'edificio)
Ma il secondo comma del citato art. 2 impone che le modifiche seppur atte a rimuovere barriere architettoniche debbono sottostare al principio della salvaguardia del decoro architettonico dell'edificio.
La Corte di Cassazione seppur con pronuncia risalente si è schierata a favore di un orientamento molto restrittivo che favorisce indubbiamente la salvaguardia del decoro a svantaggio degli interventi atti a facilitare la fruibilità dell'immobile (in particolare delle aree comuni) da parte del portatore di handicap.
Mentre la giurisprudenza di merito supportata dalla brillante pronuncia della Corte Costituzionale n. 167 del 10 maggio 1999 ha una visione più ampia permettendo quindi lavori che possono concretamente facilitare non solo l'accesso, ma come dicevamo in precedenza, la fruibilità dei beni condominiali.
La materia come ci sottolineano i consulenti di AmministrazioniAC è regolata dalla legge 13 del 1989 che determina standard per gli edifici di nuova costruzione ( DM 14 giugno 1989) e incentiva gli interventi volti alla rimozione delle barriere.
L'art. 2 della suddetta legge permette che le modifiche con tali finalità possano essere assunte all'interno del Condomino con maggioranze inferiori rispetto a quelle reviste per le innovazioni (in seconda convocazione 1/3 dei partecipanti e 1/3 del valore dell'edificio)
Ma il secondo comma del citato art. 2 impone che le modifiche seppur atte a rimuovere barriere architettoniche debbono sottostare al principio della salvaguardia del decoro architettonico dell'edificio.
La Corte di Cassazione seppur con pronuncia risalente si è schierata a favore di un orientamento molto restrittivo che favorisce indubbiamente la salvaguardia del decoro a svantaggio degli interventi atti a facilitare la fruibilità dell'immobile (in particolare delle aree comuni) da parte del portatore di handicap.
Mentre la giurisprudenza di merito supportata dalla brillante pronuncia della Corte Costituzionale n. 167 del 10 maggio 1999 ha una visione più ampia permettendo quindi lavori che possono concretamente facilitare non solo l'accesso, ma come dicevamo in precedenza, la fruibilità dei beni condominiali.
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lunedì 16 novembre 2009
TIA: dopo la pronuncia della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale con sentenza 238/2009 ha affermato che la T.i.a. (tariffa igiene ambientale) presenta tutti i requisiti del tributo e che pertanto non è inquadrabile tra le entrate non tributarie, ma costiuisce una mera variante della Tarsu.
La Corte prosegue confermando che la Tia per sua stessa natura non può essere inserita nell'ambito di applicazione dell'IVA.
Dato che fino alla pronuncia della Corte Costituzionale, veniva fatta pagare l'IVA sulle somme dovute, è subito sorto il problema del rimborso, per altro già affrontato dai professionisti di Legal nelle regioni Toscana, Liguria e Lombardia dove le CTP competenti, avevano preceduto la Corte Costituzionale, dando ragione al contribuente.
Ulteriore problema è la necessaria titolarità del tributo direttamente al Comune competente e non più ad aziende esterne a cui era stata di frequente affidata la gestione e la riscossione.
Cosa fare in concreto per presentare l'istanza di rimborso:
preliminarmente è bene chiarire che se si tratta di un immobile destinato ad un'attività commerciale, molto probabilmente l'IVA pagata sulla TIA sarà stata portata in detrazione e pertanto non potrà essere presentata la richiesta di rimborso, se così non fossesi dovrà presentare idonea richiesta al proprio Comune, dopo di chè come previsto dall'art. 21 Dlgs 546/1992 trascorsi 90 giorni dalla data di richiesta,sarà possibile presentare il ricorso contro il rifiuto tacito della restituzione .
La Corte prosegue confermando che la Tia per sua stessa natura non può essere inserita nell'ambito di applicazione dell'IVA.
Dato che fino alla pronuncia della Corte Costituzionale, veniva fatta pagare l'IVA sulle somme dovute, è subito sorto il problema del rimborso, per altro già affrontato dai professionisti di Legal nelle regioni Toscana, Liguria e Lombardia dove le CTP competenti, avevano preceduto la Corte Costituzionale, dando ragione al contribuente.
Ulteriore problema è la necessaria titolarità del tributo direttamente al Comune competente e non più ad aziende esterne a cui era stata di frequente affidata la gestione e la riscossione.
Cosa fare in concreto per presentare l'istanza di rimborso:
preliminarmente è bene chiarire che se si tratta di un immobile destinato ad un'attività commerciale, molto probabilmente l'IVA pagata sulla TIA sarà stata portata in detrazione e pertanto non potrà essere presentata la richiesta di rimborso, se così non fossesi dovrà presentare idonea richiesta al proprio Comune, dopo di chè come previsto dall'art. 21 Dlgs 546/1992 trascorsi 90 giorni dalla data di richiesta,sarà possibile presentare il ricorso contro il rifiuto tacito della restituzione .
venerdì 13 novembre 2009
Condominio: Servitù di parcheggio in area comune
Il requisito dell'apparenza, senza il quale, ai sensi dell'articolo 1061 c.c., la servitù non può essere usucapita né acquistata per destinazione del padre di famiglia, deve ravvisarsi nella presenza di opere permanenti, artificiali o naturali, obiettivamente destinate all'esercizio della servitu', visibili, in modo da escludere la clandestinita' del possesso e da farne presumere la conoscenza da parte del proprietario del fondo asservito. Pertanto il semplice fatto della sosta dell'autovettura senza la presenza delle opere suddette, destinate all'esercizio della servitù, non è idoneo all'acquisto del diritto di servitù per usucapione.
Cass. 20409/2009
Si ringrazia AmministrazioniAC
Cass. 20409/2009
Si ringrazia AmministrazioniAC
Fiscale: Cass. 20094 - Prima casa
La Corte di Cassazione con sentenza n.20094 del 18 settembre 2009, ha sancito la possibilità per il contribuente di usufruire della agevolazione fiscali previste per chi vende, entro il primo quinquennio dall’acquisto di un immobile, qualora questi ottemperi all’onere della prova, posto a suo carico, di aver adibito a propria abitazione o dei propri familiari, l’immobile de quo. Risulta consequenziale la non tassabilità della plusvalenza derivante della vendita dell’immobile stesso.
Così si è pronunciata la Cassazione con la Sentenza 20094 / 2009
Così si è pronunciata la Cassazione con la Sentenza 20094 / 2009
martedì 10 novembre 2009
Condominio e disabili: Ascensore
In tema di installazione di un ascensore in una chiostrina ad opera di alcuni condomini, occorre premettere che è legittimo, ai sensi dell'art. 1102 cod. civ., sia l'utilizzazione della cosa comune da parte del singolo condomino con modalita' particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione, purche' nel rispetto delle concorrenti utilizzazioni, attuali o
potenziali, degli altri condomini, sia l'uso piu' intenso della cosa, purche' non sia alterato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari, dovendosi a tal fine avere riguardo all'uso potenziale in relazione ai diritti di ciascuno nel rispetto del principio generale di cui all'art. 1102 cod. civ..
D'altra parte, la trasformazione della cosa comune nell'interesse esclusivo di alcuni condomini e con pregiudizio del diritto di godimento della stessa anche di un solo condomino, configura l'innovazione vietata dall'art. 1120 cod. civ., comma 2, atteso che in tal caso: a) l'uso del bene avviene in violazione del limite sancito dall'art. 1102 cod. civ., di non alterare la destinazione naturale ed esorbita dal novero delle modifiche consentite al condomino, dovendo peraltro intendersi per innovazione in senso tecnico-giuridico non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l'entita' sostanziale o ne muti la destinazione originaria; b) le innovazioni che comportano la compromissione dei diritti degli altri condomini sono vietate ai sensi dell'art. 1120 c.c., comma 2, in quanto rendono il bene inservibile all'uso comune, dovendo qui considerarsi che la condizione di inservibilita' del bene comune all'uso o al godimento anche di un solo condomino e' riscontrabile anche nel caso in cui l'innovazione produca una sensibile menomazione dell'utilita' che il condomino precedentemente ricavava dal bene.
Non può al riguardo neppure richiamarsi la disposizione di cui alla L. n. 13 del 1989, art. 2, comma 1, che in tema di innovazioni idonee "ad eliminare le barriere architettoniche” prevede per facilitare il raggiungimento della maggioranza un abbassamento del quorum che sarebbe richiesto per le innovazioni, richiamando quelli di cui all'art. 1136 c.c., commi 2 e 3. Infatti l'art. 2, comma 3 citato fa salvo il disposto dell'art. 1120 c.c., comma 2, e art. 1121 c.c., comma 3, cosi' escludendo la deroga al divieto delle innovazioni pregiudizievoli
potenziali, degli altri condomini, sia l'uso piu' intenso della cosa, purche' non sia alterato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari, dovendosi a tal fine avere riguardo all'uso potenziale in relazione ai diritti di ciascuno nel rispetto del principio generale di cui all'art. 1102 cod. civ..
D'altra parte, la trasformazione della cosa comune nell'interesse esclusivo di alcuni condomini e con pregiudizio del diritto di godimento della stessa anche di un solo condomino, configura l'innovazione vietata dall'art. 1120 cod. civ., comma 2, atteso che in tal caso: a) l'uso del bene avviene in violazione del limite sancito dall'art. 1102 cod. civ., di non alterare la destinazione naturale ed esorbita dal novero delle modifiche consentite al condomino, dovendo peraltro intendersi per innovazione in senso tecnico-giuridico non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l'entita' sostanziale o ne muti la destinazione originaria; b) le innovazioni che comportano la compromissione dei diritti degli altri condomini sono vietate ai sensi dell'art. 1120 c.c., comma 2, in quanto rendono il bene inservibile all'uso comune, dovendo qui considerarsi che la condizione di inservibilita' del bene comune all'uso o al godimento anche di un solo condomino e' riscontrabile anche nel caso in cui l'innovazione produca una sensibile menomazione dell'utilita' che il condomino precedentemente ricavava dal bene.
Non può al riguardo neppure richiamarsi la disposizione di cui alla L. n. 13 del 1989, art. 2, comma 1, che in tema di innovazioni idonee "ad eliminare le barriere architettoniche” prevede per facilitare il raggiungimento della maggioranza un abbassamento del quorum che sarebbe richiesto per le innovazioni, richiamando quelli di cui all'art. 1136 c.c., commi 2 e 3. Infatti l'art. 2, comma 3 citato fa salvo il disposto dell'art. 1120 c.c., comma 2, e art. 1121 c.c., comma 3, cosi' escludendo la deroga al divieto delle innovazioni pregiudizievoli
lunedì 9 novembre 2009
Associaizioni: Posteggio per il disabile
Il disabile che parcheggia l'auto nelle strisce blu è tenuto a pagare la tariffa oraria anche se non ha trovato posto nelle aree riservate. In assenza di una nor¬mativa che stabilisca espressa¬mente questo beneficio la gratuità della sosta per i portatori di handicap è consentita solo nei parcheggi riservati.
Malgrado unprecedente della Cassazione (sentenza 25388/08) che aveva affermato la gratuità della so¬sta in ogni caso per i disabili titolari del contrassegno, nella Sentenza in esame ( 212/2009)i Giudici "al contrario, hanno sostenuto che nessuna norma esclude il pagamento della sosta nelle zone con strisce blu" e precisa la Cassazione"ha fondamento invocare l'esigenza di favorire la mobilità delle persone disabili. Dalla gratuità, anziché onerosità della sosta come per gli altri utenti, «deriva, infatti, un vantaggio meramente economico» e non in termini di mobilità che è invece favorita dalla concreta disponibilità del posto dove sostare."
Malgrado unprecedente della Cassazione (sentenza 25388/08) che aveva affermato la gratuità della so¬sta in ogni caso per i disabili titolari del contrassegno, nella Sentenza in esame ( 212/2009)i Giudici "al contrario, hanno sostenuto che nessuna norma esclude il pagamento della sosta nelle zone con strisce blu" e precisa la Cassazione"ha fondamento invocare l'esigenza di favorire la mobilità delle persone disabili. Dalla gratuità, anziché onerosità della sosta come per gli altri utenti, «deriva, infatti, un vantaggio meramente economico» e non in termini di mobilità che è invece favorita dalla concreta disponibilità del posto dove sostare."
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venerdì 6 novembre 2009
Lavoro: Cass. 14586/2009 licenziamento del dipendente
Non si può licenziare il lavoratore che si allontana dal posto di lavoro quando sia stato sempre corretto e diligente e non abbia recato alcun danno alla società. Lo ha stabilito la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione annullando con rinvio una sentenza della Corte di Appello di Torino che, in riforma della sentenza di primo grado, aveva ritenuto legittimo il licenziamento del dipendente di una società che aveva abbandonato per un brevissimo lasso di tempo il posto di lavoro, peraltro rimanendo nella sede lavorativa. In primo grado, infatti, il Tribunale di Biella aveva ritenuto illegittima la sanzione disciplinare, mentre i giudici di appello avevano ritenuto che, ai fini della legittimità del licenziamento, si dovesse tenere conto che la condotta del dipendente aveva determinato il blocco, anche se per un breve tempo, delle macchine e che il dipendente aveva abbandonato il posto di lavoro del quale aveva la responsabilità, per di più in orario notturno, quando i controlli dei superiori erano minori.
Contro la sentenza di appello il dipendente licenziato aveva proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che i giudici del merito non avevano tenuto conto della lunga carriera lavorativa, dell’assenza di precedenti sanzioni e della mancanza di qualsiasi danno alla produzione, oltre che della possibilità di una sanzione diversa dal licenziamento prevista dal contratto collettivo. La Suprema Corte, accogliendo il ricorso e rinviando la questione alla Corte di Appello di Genova per un nuovo esame, ha affermato che il principio di proporzionalità tra la sanzione e l’illecito implica un giudizio di adeguatezza eminentemente soggettivo, e cioè calibrato sulla gravità della colpa e sull’intensità della violazione della buona fede contrattuale che esprimano i fatti contestati, alla luce di ogni circostanza utile (in termini soggettivi ed oggettivi) ad apprezzarne l’effettivo disvalore ai fini della prosecuzione del rapporto contrattuale. Infatti, solo a queste condizioni il principio di proporzionalità risulta in grado di influire sul comportamento degli altri dipendenti senza assumere un valore di “esemplarità” disgiunto dalla misura della responsabilità del dipendente e dalla conseguente realizzazione dell’interesse aziendale in termini proporzionati alla portata della prima, garantendo in tal modo, per come si è detto, la reale eticità del rapporto.
Il datore di lavoro non potrà, pertanto, in linea di principio (e cioè, in assenza di puntuali controindicazioni in punto di proporzionalità) irrogare un licenziamento per giusta causa quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione. In particolare, la Corte di Appello, non operando una valutazione coordinata e unitaria dei dati legalmente rilevanti ai fini della valutazione della proporzionalità della sanzione, ha assegnato esclusivo ed auto sufficiente rilievo alla posizione (peraltro non formalizzata) di responsabilità del dipendente, senza considerare, nell’ambito di un apprezzamento che doveva essere necessariamente globale e non parcellizzato, innanzitutto le difformi previsioni della contrattazione collettiva, che, enucleate al fine di “garantire un rapporto quanto più definito tra sanzione e mancanza”, hanno tipizzato espressamente il fatto contestato prevedendo, con riferimento allo stesso, le minori sanzioni della sospensione o della multa: previsioni dalle quali la corte di merito non poteva prescindere, specie in un contesto professionale (sicuramente rilevante ai fini della prognosi circa la correttezza del futuro adempimento) caratterizzato da una durata ultraventennale del rapporto e dall’assenza di precedenti sanzioni.
Alla luce di quanto affermato, la Corte di Appello investita nuovamente della questione, dovrà fare applicazione del seguente principio di diritto: “In caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, essendo determinante, ai fini del giudizio di proporzionalità, l’influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che, per le sue concrete modalità e per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza.
Spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi a tal fine preminente rilievo alla configurazione che delle mancanze addebitate faccia la contrattazione collettiva, ma pure l’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto della mansioni svolte dal dipendente, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto (ed in specie alla sua durata e all’assenza di precedenti sanzioni), alla sua particolare natura e tipologia”
Contro la sentenza di appello il dipendente licenziato aveva proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che i giudici del merito non avevano tenuto conto della lunga carriera lavorativa, dell’assenza di precedenti sanzioni e della mancanza di qualsiasi danno alla produzione, oltre che della possibilità di una sanzione diversa dal licenziamento prevista dal contratto collettivo. La Suprema Corte, accogliendo il ricorso e rinviando la questione alla Corte di Appello di Genova per un nuovo esame, ha affermato che il principio di proporzionalità tra la sanzione e l’illecito implica un giudizio di adeguatezza eminentemente soggettivo, e cioè calibrato sulla gravità della colpa e sull’intensità della violazione della buona fede contrattuale che esprimano i fatti contestati, alla luce di ogni circostanza utile (in termini soggettivi ed oggettivi) ad apprezzarne l’effettivo disvalore ai fini della prosecuzione del rapporto contrattuale. Infatti, solo a queste condizioni il principio di proporzionalità risulta in grado di influire sul comportamento degli altri dipendenti senza assumere un valore di “esemplarità” disgiunto dalla misura della responsabilità del dipendente e dalla conseguente realizzazione dell’interesse aziendale in termini proporzionati alla portata della prima, garantendo in tal modo, per come si è detto, la reale eticità del rapporto.
Il datore di lavoro non potrà, pertanto, in linea di principio (e cioè, in assenza di puntuali controindicazioni in punto di proporzionalità) irrogare un licenziamento per giusta causa quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione. In particolare, la Corte di Appello, non operando una valutazione coordinata e unitaria dei dati legalmente rilevanti ai fini della valutazione della proporzionalità della sanzione, ha assegnato esclusivo ed auto sufficiente rilievo alla posizione (peraltro non formalizzata) di responsabilità del dipendente, senza considerare, nell’ambito di un apprezzamento che doveva essere necessariamente globale e non parcellizzato, innanzitutto le difformi previsioni della contrattazione collettiva, che, enucleate al fine di “garantire un rapporto quanto più definito tra sanzione e mancanza”, hanno tipizzato espressamente il fatto contestato prevedendo, con riferimento allo stesso, le minori sanzioni della sospensione o della multa: previsioni dalle quali la corte di merito non poteva prescindere, specie in un contesto professionale (sicuramente rilevante ai fini della prognosi circa la correttezza del futuro adempimento) caratterizzato da una durata ultraventennale del rapporto e dall’assenza di precedenti sanzioni.
Alla luce di quanto affermato, la Corte di Appello investita nuovamente della questione, dovrà fare applicazione del seguente principio di diritto: “In caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, essendo determinante, ai fini del giudizio di proporzionalità, l’influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che, per le sue concrete modalità e per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza.
Spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi a tal fine preminente rilievo alla configurazione che delle mancanze addebitate faccia la contrattazione collettiva, ma pure l’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto della mansioni svolte dal dipendente, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto (ed in specie alla sua durata e all’assenza di precedenti sanzioni), alla sua particolare natura e tipologia”
mercoledì 4 novembre 2009
Immobili: ICI e giardino pertinenziale
La Corte di cassazione con la sentenza 19638/09 ha sancito un nuovo principio in tema d’Ici e giardino pertinenziale: II giardino che risulti come area edificabile ma utilizzato come pertinenza del fabbricato principale, sconta la tassazione ai fini lei, qualora il contribuente non ne abbia denunciato la pertinenzialità nella dichiara¬zione ai fini del tributo.
La questione nasce da un caso in cui il contribuente in sede di dichiarazione lei, aveva indicato solo la villetta e l'autorimessa, e non anche il terreno, e in relazione a questi due soli immobili aveva provveduto poi a versare l'imposta. Nei fatti, il terreno veniva utilizzato dal contribuente a uso giardino e, come tale, era stato coltivato con alberi e prato.
In sede di impugnazione la difesa del contribuen¬te ha fatto riferimento, anche nel ricorso per Cassazione, al disposto dell'articolo 2, comma i, lettera a), del Dlg n. 504/92 (decreto Ici), secondo cui ai fini del tributo comunale sono tassabili i fabbricati, da intendersi quali unità immobiliari iscritte o da iscrivere al catasto urbano e con¬siderando parte integrante di esso «l'area occupata dalla costru¬zione e quella che ne costituisce pertinenza
Sulla base, infatti, delle decisioni di legittimità già assunte, si esclude dall'im¬posizione lei l'area pertinenziale, che viene dunque assoggettata al regime del bene principale; là dove per pertinenza è da intendersi quanto disposto dall'articolo 817 del Codice civile. Pertanto, nell'ipotesi in cui un terreno sia al tempo stes¬so pertinenziale ed edificabilc, prevale il carattere dell'accessorietà al bene principale e, in tal modo, l'immobile sfugge a un'autonoma tassazione (per tutte, Cassazione 6501/05). La Corte si è poi spinta oltre affermando il principio per cui l'omessa indicazione dell'immobile o anche della sua natura pertinenziale rispetto al fabbricato principale comporta che il terreno conserva solo il carattere dell'edificabilità e, in quanto tale, esso deve essere tassato.
La questione nasce da un caso in cui il contribuente in sede di dichiarazione lei, aveva indicato solo la villetta e l'autorimessa, e non anche il terreno, e in relazione a questi due soli immobili aveva provveduto poi a versare l'imposta. Nei fatti, il terreno veniva utilizzato dal contribuente a uso giardino e, come tale, era stato coltivato con alberi e prato.
In sede di impugnazione la difesa del contribuen¬te ha fatto riferimento, anche nel ricorso per Cassazione, al disposto dell'articolo 2, comma i, lettera a), del Dlg n. 504/92 (decreto Ici), secondo cui ai fini del tributo comunale sono tassabili i fabbricati, da intendersi quali unità immobiliari iscritte o da iscrivere al catasto urbano e con¬siderando parte integrante di esso «l'area occupata dalla costru¬zione e quella che ne costituisce pertinenza
Sulla base, infatti, delle decisioni di legittimità già assunte, si esclude dall'im¬posizione lei l'area pertinenziale, che viene dunque assoggettata al regime del bene principale; là dove per pertinenza è da intendersi quanto disposto dall'articolo 817 del Codice civile. Pertanto, nell'ipotesi in cui un terreno sia al tempo stes¬so pertinenziale ed edificabilc, prevale il carattere dell'accessorietà al bene principale e, in tal modo, l'immobile sfugge a un'autonoma tassazione (per tutte, Cassazione 6501/05). La Corte si è poi spinta oltre affermando il principio per cui l'omessa indicazione dell'immobile o anche della sua natura pertinenziale rispetto al fabbricato principale comporta che il terreno conserva solo il carattere dell'edificabilità e, in quanto tale, esso deve essere tassato.
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