Appropriazione indebita per
l’ex amministratore che non riconsegna la documentazione al condominio
reputandosi ancora in carica dopo la revoca. Lo ha stabilito la Corte di
cassazione con la sentenza 29451/2013.
La Suprema corte in primis ricorda che per la configurazione del delitto previsto dall’articolo 646 c.p. basta che l’ingiusto profitto sia potenziale, non essendo necessario che esso si realizzi effettivamente, il che emerge pacificamente dal rilievo che la norma richiede solo che il soggetto attivo agisca “per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto”. In altre parole basta il mero intento di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, a prescindere dalla concreta sua realizzazione.
“Nel caso di specie - argomenta la sentenza -, correttamente i giudici del merito hanno ravvisato il fine di profitto perseguito dall’odierno ricorrente nel fatto di continuare ad amministrare il condominio, il che lo poneva (e ciò non costituisce mera ipotesi, ma oggettiva constatazione) in condizioni di accampare ulteriori pretese o comunque di rendere più difficoltosa (se non di paralizzare) l’amministrazione del condominio stesso, giacché - come emerge dalla gravata pronuncia - il M. continuava a considerarsi amministratore del condominio ritenendo illegittima la delibera assembleare che lo aveva revocato, al punto da invitare i condomini dissenzienti a sottoscrivere un documento in suo sostegno”.
Infine, rammentano i giudici, l’ingiusto profitto non deve necessariamente connotarsi in senso patrimoniale.
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La Suprema corte in primis ricorda che per la configurazione del delitto previsto dall’articolo 646 c.p. basta che l’ingiusto profitto sia potenziale, non essendo necessario che esso si realizzi effettivamente, il che emerge pacificamente dal rilievo che la norma richiede solo che il soggetto attivo agisca “per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto”. In altre parole basta il mero intento di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, a prescindere dalla concreta sua realizzazione.
“Nel caso di specie - argomenta la sentenza -, correttamente i giudici del merito hanno ravvisato il fine di profitto perseguito dall’odierno ricorrente nel fatto di continuare ad amministrare il condominio, il che lo poneva (e ciò non costituisce mera ipotesi, ma oggettiva constatazione) in condizioni di accampare ulteriori pretese o comunque di rendere più difficoltosa (se non di paralizzare) l’amministrazione del condominio stesso, giacché - come emerge dalla gravata pronuncia - il M. continuava a considerarsi amministratore del condominio ritenendo illegittima la delibera assembleare che lo aveva revocato, al punto da invitare i condomini dissenzienti a sottoscrivere un documento in suo sostegno”.
Infine, rammentano i giudici, l’ingiusto profitto non deve necessariamente connotarsi in senso patrimoniale.
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