L’art. 1, commi da 74 a 76 della legge 27 dicembre 2006, n.
296 (di seguito legge finanziaria 2007), ha introdotto per la prima volta
nel nostro ordinamento tributario delle disposizioni in materia di trust.
Il comma 74, modificando l’art. 73 del TESTO UNICO DELLE
IMPOSTE SUI REDDITI del 22.12.1986, n. 917, include i trust tra i soggetti
passivi dell’imposta sul reddito delle società (IRES). In tal modo è stata
riconosciuta ai trust un’autonomia soggettività tributaria rilevante ai fini
dell’imposta tipica delle società, degli enti commerciali e non commerciali.
In particolare, sono soggetti all’imposta sul reddito delle
società:
i trust residenti nel territorio dello Stato che hanno per
oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (enti
commerciali);
i trust residenti nel territorio dello Stato che non hanno
per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (enti
non commerciali);
i trust non residenti, per i redditi prodotti nel territorio
dello Stato (enti non residenti).
Avendo presente la flessibilità dell’istituto, il
legislatore all’art. 73 ha individuato, ai fini della imposizione dei redditi,
due principali tipologie di trust:
trust con beneficiari individuati, i cui redditi vengono
imputati per trasparenza ai beneficiari stessi (trust trasparenti)
trust senza beneficiari individuati, i cui redditi vengono
tassati direttamente in capo al trust (trust opachi).
I redditi imputati al beneficiario sono stati qualificati
come redditi di capitale, con l’inserimento della lettera g-sexies) al comma 1
dell’art. 44 del TUIR
Dopo aver determinato il reddito del trust, il trustee
indicherà la parte di esso attribuito al trust – sulla quale il trust stesso
assolvera l’IRES – nonché la parte imputata per trasparenza ai beneficiari – su
cui questi ultimi assolveranno le imposte sul reddito.
In alternativa all’imposizione in capo al trust o ai
beneficiari, taluni redditi di natura finanziaria sono soggetti a ritenuta a
titolo d’imposta o ad imposta sostitutiva. Un trust che non esercita attività
commerciale, compreso, quindi, tra i soggetti di cui all’art. 73, comma 1 lett.
c), e che possiede, ad es., titoli soggetti alle disposizioni del d.lgs. 1
aprile 1996, n. 239 vede gli interessi, premi ed altri frutti relativi a detti
titoli sottoposti ad imposizione sostitutiva, ai sensi dell’art. 2 del decreto
sopra richiamato
Per quanto riguarda la disciplina dei redditi del beneficiario
del Trust il comma 74, lett. b), dell’articolo unico della finanziaria 2007
aggiunge al comma 2 dell’art. 73 del TUIR il seguente periodo: “nei casi in cui
i beneficiari del Trust siano individuati, i redditi conseguiti dal Trust sono
imputati in ogni caso ai beneficiari in proporzione alla quota di
partecipazione individuata nell’atto costitutivo del Trust o in altri
successivi documenti ovvero in loro mancanza in parti uguali”.
Premesso che il presupposto di applicazione dell’imposta è
il possesso di redditi, per “beneficiario individuato” è da intendersi il
beneficiario di “reddito individuato”, vale a dire il soggetto che esprime,
rispetto a quel reddito, una capacità contributiva attuale.
È necessario, quindi, che il beneficiario non solo sia
puntualmente individuato, ma che risulti titolare del diritto di pretendere dal
trustee l’assegnazione di quella parte di reddito che gli viene imputata per
trasparenza.
Infatti, a differenza dei soci delle società trasparenti,
che possono autonomamente stabilire i criteri di distribuzione degli utili
societari, i beneficiari di un trust non hanno alcun potere in ordine
all’imputazione del reddito del trust, cui provvede unicamente il trustee sulla
base dei criteri stabiliti dal disponente.
Il comma 75 poi prosegue precisando che sono redditi di
capitale “i redditi imputati al beneficiario di trust ai sensi dell’art. 73,
comma 2, anche se non residenti”
In materia di imposizione indiretta, puntuali disposizioni
sono state introdotte:
dapprima con l’art. 6 del decreto-legge 3 ottobre
2006, n. 262 che ha previsto l’applicazione dell’imposta di registro sulla
costituzione dei vincoli di destinazione sui beni e diritti;
poi con la legge di conversione 24
novembre 2006, n. 286 che, senza convertire la disposizione dell’art. 6 del
decreto, ha invece assoggettato la costituzione dei vincoli di destinazione sui
beni e diritti all’imposta sulle successioni e donazioni
e in ultimo con la finanziaria 2007 che ha introdotto alcune
franchigie ed esenzioni.
Com’è noto con l’art 2 del d.l. 3 ottobre 2006, n. 262,
così come modificato in sede di conversione, ha “re-istituio” <>.
Le innovazioni più rilevanti dal punto di vista testuale
consistono nella sostituzione degli “atti a titolo gratuito” alle “altre
liberalità tra vivi” e nell’aggiunta “e sulla costituzione di vincoli di
destinazione”, tali novità sono il risultato della trasposizione senza
sostanziali modifiche, nei commi 47 e 49 dell’art. 2 legge 286/2006, delle
espressioni già contenute nell’art. 6, comma 5, comma 5 d.l. 262/2006, ispirato
dall’originario intento di inserire definitivamente l’imposizione delle
successioni e delle donazioni nella struttura e quindi nella sistematica del
tributo di registro
Secondo l’Agenzia delle Entrate (CIRCOLARE N. 48/E/2007 –
CIRCOLARE N. 3/E/2008), l’atto di costituzione del trust, che realizza il
trasferimento della proprietà dei beni segregati, integra la fattispecie
impositiva del tributo sulle successioni e donazioni. Qualora, invece, l’atto
istitutivo di trust non sia anche atto di dotazione patrimoniale, avvenendo la
segregazione dei beni in un momento successivo, lo stesso, se redatto per atto
pubblico o scrittura privata autenticata, è tassato con imposta fissa di
registro, ai sensi dell’art. 11 Tariffa, parte prima, allegata al TUIR, in
quanto atto privo di contenuto patrimoniale. L’interpretazione fornita
dall’Amministrazione finanziaria vede emergere la unitarietà causale del trust,
ai fini dell’imposizione indiretta, e quindi dei diversi momenti giuridici e
diversi effetti traslativi. L’Agenzia mostra di considerare la costituzione del
vincolo di destinazione quale fattispecie impositiva autonoma, in grado, quando
accompagnata dal trasferimento di beni, di comportare l’applicazione
dell’imposta sulle successioni e donazioni. Tale impostazione, insieme alla
considerazione del trust quale “rapporto giuridico complesso con un’unica causa
fiduciaria che caratterizza tutte le vicende del trust”, ha condotto a ritenere
che il presupposto si realizzi solo nel momento della costituzione del vincolo
con contestuale trasferimento della titolarità giuridica dei beni. Il supporto
teorico di tale interpretazione è quello, fatto proprio anche da parte della
dottrina, secondo cui il trust sarebbe idoneo, in quanto “vincolo di destinazione”,
a realizzare “una prospettiva, giuridicamente inequivoca e suscettibile di
tutela, di un vantaggio patrimoniale tangibile in favore del soggetto
beneficiario, diverso dall’autore del vincolo funzionale”.Ogni successiva
attribuzione ai beneficiari risulta, infatti, irrilevante ai fini del tributo
in oggetto, sia nel caso in cui il trasferimento riguardi gli stessi beni
segregati, sia quando ai beneficiari vengano trasferiti gli “incrementi” del
patrimonio del trust. Non solo, ma la valorizzazione del momento in cui il
vincolo è costituito in funzione dell’arricchimento futuro, comporta per la
determinazione dell’imposta dovuta e quindi per individuare l’aliquota
applicabile, così come le fattispecie di esenzione, occorre considerare il
rapporto tra il disponente ed il beneficiario. Nei casi di trust senza
beneficiari diretti (come è nei trust di scopo), così come quando non vi è
nessun rapporto di parentela tra i soggetti indicati, la tassazione si
realizzerebbe, secondo l’Agenzia, con l’aliquota più elevata, senza
applicazione di franchigie. In modo molto chiaro la circolare n. 3/E/2008 ha
affermato che il rapporto tra il disponente e beneficiario deve essere
considerato all’atto di segregazione del patrimonio, il beneficiario dovendo
essere determinato in questo momento. Quando, invece, all’atto di segregazione
il beneficiario non sia ancora determinato (per esempio, nelle ipotesi in cui
il disponente si riserva di nominare il beneficiario o quando l’atto istitutivo
prevede una successiva individuazione da parte del trustee), l’imposizione non
può tenere conto di alcun legame di parentela e sarà, di conseguenza, quella
più elevata.
In questo contesto anche alla luce delle pronunce
giurisprudenziali formatesi sull’argomento possiamo mettere in evidenza gli
aspetti di criticità che si sono formati nel corso degli anni e valutare nel
contempo le soluzioni alternative che si sono create sul punto. Con riferimento
all’interpretazione della prassi amministrativa, appare certamente problematica
la tassazione dei trust c.d. “di scopo” ai fini del tributo in esame. Se il
trust ha per oggetto il perseguimento di un fine e non, invece, l’arricchimento
di determinati soggetti (individuati oppure no al momento della istituzione del
trust), potrebbe, infatti, non realizzarsi alcun incremento patrimoniale,
connesso al trasferimento della ricchezza. È quindi possibile affermare che la
costituzione di un trust di scopo, con segregazione dei beni, non determina
normalmente la prospettiva certa sul piano giuridico di un futuro arricchimento
patrimoniale. Affermare la tassazione all’atto di segregazione dei beni
significherebbe, allora, una sostanziale violazione del principio di capacità
contributiva, perché il momento giuridico della costituzione del vincolo (con
segregazione dei beni) non coincide con nessuna manifestazione di ricchezza,
attuale e futura.
Inoltre, occorre sottolineare che il rilievo della
costituzione del vincolo di destinazione, in quanto collegato ad un futuro
trasferimento di ricchezza, pone al di fuori del campo applicativo dell’imposta
quei trust nei quali i trasferimenti si realizzano nell’ambito di sequenze
negoziali onerose. Sono ad esempio i casi dei trust di garanzia o con funzioni
solutorie oppure preordinati “alla semplice amministrazione di un pacchetto
azionario al fine di dare efficacia reale alle statuizioni contenute in una
convenzione parasociale”>. L’estraneità di tali atti dal campo applicativo
del tributo, affermato da tempo in dottrina è ora sostenuto anche dalla più
recente giurisprudenza di merito.
SENTENZA N. 120 DEL 30/12/2009 CTP BOLOGNA: in un caso di
trust realizzato al fine di costituire una reciproca garanzia tra due soggetti
disponenti. Tale sentenza ha affermato la sola imposizione fissa del registro
per l’atto di trust, data l’assenza sia dell’intento liberale sia
dell’arricchimento, ritenute entrambe condizioni fondamentali per integrare il
presupposto dell’imposta sulle successioni e donazioni.
SENTENZA N. 287 DEL 09/08/2010 CTP PESARO: alla stessa
conclusione è giunta anche la
Commissione marchigiana. Infatti, in un caso di un trust con
finalità liquidatorie che ad avviso di questi giudici non farebbe sussistere
“alcun arricchimento patrimoniale dei beneficiari, in quanto l’attribuzione
finale dei beni nei loro confronti rappresenta un adempimento del debito che il
disponente aveva verso gli stessi e non un arricchimento privo di
giustificazione”.
SENTENZA N. 12 DEL 12/01/2009 CTP LODI: un altro caso
analogo è quello di un trust istituito da una società, che aveva segregato il
proprio patrimonio, affinché il trustee procedesse alla liquidazione
nell’interesse dei creditori e dei soci e rispetto al quale l’Agenzia delle
Entrate richiedeva la tassazione proporzionale dell’atto di segregazione dei
beni in trust, ai fini della imposta sulle successioni e donazioni, con
l’aliquota dell’8%. La
Commissione lombarda ha invece affermato la non applicabilità
della imposta sulle successioni e donazioni, visto che nel caso in esame il
trust “ha finalità liquidatorie del patrimonio conferito, ed al trustee è
concessa la più ampia facoltà di operare con piena autonomia decisionale”.
Pertanto, a giudizio della Commissione, “non si ravvisa alcun vincolo di
destinazione e non è applicabile l’imposta sulle donazioni”>
Di contro abbiamo una SENTENZA DEL 06.12.2010 CTP FORLI’,
per un trust che aveva come scopo principale la costituzione di una garanzia
patrimoniale necessaria al reperimento di una nuova finanza per la risoluzione
della crisi di impresa e, in subordine, la liquidazione dei beni segregati; in
caso di impossibilità nel raggiungimento dello scopo, ovvero al termine della
durata stabilita, il fondo in trust sarebbe tornato ai disponenti. Ma tale
sentenza non è entrata nel merito ed ha sancito la decadenza ad impugnare degli
altri disponenti e de trustee non autorizzando l’integrazione del contraddittorio.
La lettura fornita dall’Agenzia pone un importante problema
in tutti quei casi in cui il vantaggio per i beneficiari non si configuri in
termini di sicuro arricchimento, di posizione giuridica incontrovertibile e
tutelata. Il che avviene quando il diritto dei beneficiari è sottoposto a
condizione (tipico è il caso del bene attribuito al beneficiario se e quando
quest’ultimo conseguirà un determinato risultato, come ad esempio la laurea, il
matrimonio, ecc), come in talune ipotesi di trust discrezionale in cui non sia
certa la futura attribuzione a beneficiari
In simili circostanze, la legittimità dell’imposizione al
momento della costituzione del vincolo non appare giustificabile, visto che,
proprio per la specifica struttura negoziale del trust, non è possibile
considerare quest’ultimo espressivo di un incremento patrimoniale certo,
ancorché futuro, connesso al trasferimento di ricchezza.
Sembrerebbe invece maggiormente coerente nelle fattispecie
prese in esame il dover applicare in via analogica l’art. 58, secondo comma,
D.Lgs. 346/190 e rinviare al momento della attribuzione al beneficiario o,
quanto meno, al momento in cui è determinata la posizione giuridica del
beneficiario stesso. Tale è peraltro la soluzione accolta dalla giurisprudenza
di merito.
In riferimento a tale situazione si segnalano:
SENTENZA N. 481 DELL’11/06/2009 CTP CASERTA E SENTENZA N.
120 DEL 30/10/2009 CTP BOLOGNA, nelle quali si afferma che, quando i
beneficiari del trust siano titolari di una mera aspettativa giuridica, la
tassazione deve avvenire considerando il diritto del soggetto come sottoposto a
condizione sospensiva, mancando del tutto l’arricchimento tassabile; con
applicazione della imposta fissa di registro, ai sensi dell’art. 58, comma 2,
d. lgs. N. 346/1990 ed integrazione del presupposto impositivo solo nel momento
in cui il trust realizzerà il programma predisposto dal disponente: altra
soluzione dal punto di vista teorico potrebbe essere quella dell’applicazione
analogica dell’art. 42, primo comma, lett. E) D. Lgs. 346/90 e quindi del
rimborso della maggiore imposta pagata al momento della segregazione.
Considerazioni in parte analoghe sembrano doversi fare per
le ipotesi di trust con beneficiari non ancora determinati al momento della
istituzione del trust e segregazione dei beni. Secondo la prassi
amministrativa, quando l’individuazione sia rimessa ad un atto successivo
(normalmente, del disponente o del trustee), l’imposizione dovrà essere la più
elevata, perché nessuna franchigia e nessuna esenzione potrà applicarsi, perché
dovrà essere considerata l’aliquota massima dell’8%.
Una simile soluzione appare criticabile, perché non in linea
con le stesse giustificazioni che stanno alla base della stessa scelta
dell’Agenzia di tassare il trust al momento della costituzione del vincolo sui
beni segregati. Scelta che, lo si è visto, si motiva, alla luce del presupposto
dell’imposta ed in modo conforme all’art. 53 Cost., solo in quanto sia
possibile determinare un collegamento, rilevante giuridicamente, tra la
costituzione del vincolo e l’incremento patrimoniale connesso al futuro
trasferimento di ricchezza. Collegamento che, nel caso del trust, si evidenzia
nella struttura del negozio e che ha alla base l’unitarietà in termini causali
delle diverse fattispecie negoziali poste in essere.
In questa prospettiva, l’incremento patrimoniale connesso al
trasferimento futuro di ricchezza in favore del beneficiario rappresenta la
capacità contributiva colpita dal tributo e la tassazione, che avviene in un
momento precedente, si giustifica solo in quanto il vincolo è costituito in
funzione di tale successivo trasferimento di ricchezza al beneficiario. Da una
tale ricostruzione teorica dovrebbe discendere, a nostro avviso, che la
tassazione non possa prescindere dalla considerazione dei concreti caratteri
negoziali del trust e, in particolare, dalla individuazione del beneficiario,
che pure può avvenire in un momento successivo alla segregazione dei beni.
Affermare il contrario significherebbe spezzare quel legame
tra tassazione immediata del vincolo e futuro “arricchimento” su cui si regge
l’imposizione, sia in termini di costruzione del presupposto, sia in termini di
determinazione della base imponibile.
Anche in queste ipotesi, sembra che lo strumento normativo
più appropriato per consentire il rinvio dell’imposizione al momento
dell’individuazione del beneficiario debba essere quello di cui all’art. 58,
secondo comma, d. lgs. 346/90 equiparando l mancata individuazione del
beneficiario alla previsione della condizione sospensiva. In questo senso, si è
espressa con SENTENZA N. 30 DEL 12.02.2009 CTP DI FIRENZE, che ha esaminato il
caso della istituzione di un trust, avente ad oggetto beni immobili, con
contestuale segregazione e con scadenza definita. Il trust prevedeva che, al
termine del medesimo, i beni venissero attribuiti ad un beneficiario finale che
però non era già determinato al momento della istituzione del trust, ma solo
determinabile. A seconda del verificarsi di condizioni previste nell’atto
istitutivo, beneficiario finale del trust poteva essere il coniuge oppure il
figlio oppure altri parenti fino al IV grado
Secondo quanto afferma la stessa prassi amministrativa l’elemento
che invece deve necessariamente verificarsi al momento della costituzione del
vincolo, affinché il presupposto si realizzi, è il trasferimento dei beni.
L’Agenzia ritiene che la “costituzione di vincoli non traslativi non è soggetta
all’imposta sulle successioni e donazioni” (CIRC. 3/E/2008, par. 5.3),
valorizzando il disposto dell’art. 1, d.lgs. 346/1990 che prevede
l’applicazione dell’imposta sui “trasferimenti di beni e diritti”. Ed è proprio
sulla distinzione tra vincoli di destinazione traslativi e non traslativi che
la circolare da ultimo citata fonda la propria ricostruzione teorica, così come
le specifiche soluzioni interpretative. Distinzione da cui dovrebbe conseguire
l’estraneità al campo applicativo dell’imposta in esame del trust auto-dichiarato.
Nella fattispecie non si realizza, infatti, alcun effetto traslativo, in quanto
il bene rimane nella titolarità giuridica del disponente e non si trasferisce
ad un terzo.
La mancata imposizione sulla costituzione del vincolo non
traslativo, eventualmente rilevante ai fini del tributo di registro, dovrebbe
però completarsi con l’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni
in relazione alle successive attribuzioni a favore di beneficiari (se poste in
essere), in quanto atti che naturalmente rientrano nel campo dell’imposta
La scelta interpretativa dell’Agenzia di considerare rilevante
il trust si fini del tributo sulle successioni e donazioni al momento della
segregazione dei beni pone dunque diversi problemi interpretativi.
In primo luogo, dovrebbe affermarsi il non assoggettamento
al tributo per i casi di trust c.d. “non liberali”, in quanto in grado di
riflettere assetti di interessi sicuramente onerosi.
Inoltre, nelle ipotesi in cui i trust abbiano beneficiari,
oppure questi non siano determinati, oppure non sia individuabile un diritto
certo all’arricchimento futuro oppure si tratti di un trust auto-dichiarato,
anche volendo seguire l’impostazione dell’Agenzia, dovrebbe comunque affermarsi
una imposizione fissa (di registro) al momento dell’istituzione del trust con
eventuale tassazione proporzionale (successioni e donazioni) in un momento
successivo
Negli anni precedenti l’abrogazione dell’imposta sulle
successioni e donazioni, in dottrina si era affermato che, nel caso del trust,
l’imposizione dovesse realizzarsi solo al momento delle attribuzioni dal trust
fund ai beneficiari, divenendo definitivo ed effettivo il trasferimento
gratuito di ricchezza, con rilevazione della capacità economica colpita dal
tributo, cui è preordinato il complessivo meccanismo negoziale.
L’unitarietà giuridica dei diversi negozi che compongono il
trust si fondava sull’intento liberale che è alla base dell’effetto finale
dell’arricchimento non oneroso di un soggetto, realizzato per il tramite di
diversi strumenti negoziali, aventi causa giuridica differente da quella del
contratto tipico di donazione. Si potrebbe ribattere che tale soluzione non sia
conciliabile con la formulazione del comma 47 dell’art. 2 d.l. 262/2006, da cui
sembrerebbe derivare l’autonomo rilievo della costituzione del vincolo.
Tuttavia, la persistente validità della soluzione
interpretativa esposta potrebbe affermarsi considerando che la espressa
menzione normativa dei vincoli di destinazione dovrebbe, quantomeno con
riferimento al trust, essere letta come volontà legislativa di considerare
unitariamente il programma negoziale in cui s’inserisce il vincolo e attraverso
il quale si realizza l’incremento patrimoniale connesso al trasferimento della
ricchezza. Anche perché, come già detto, la lettera della norma non può essere di
per sé significativa, visto che la mera costituzione di un vincolo di
destinazione non risulta in grado di esprimere nessuna capacità contributiva,
tale da giustificare l’imposizione
L’imposizione proporzionale immediata del Trust avrebbe
infatti come effetto quello di determinare la tassazione ai fini della imposta
sulla successioni e donazioni su una ricchezza espressa dal patrimonio
segregato, che può non coincidere con il (futuro) vantaggio patrimoniale.
L’ipotesi in cui il bene è conferito in trust ed il beneficiario riceve, in
termini di attribuzione, solo e proprio quello stesso bene è, infatti, la più
semplice e nemmeno la più diffusa. È però possibile parlare di vantaggi
patrimoniali per i beneficiari anche quando si costituisce un trust, segregando
uno o più beni, con lo scopo di produrre ricchezza e distribuire le utilità
corrispondenti, ma con la previsione della successiva “restituzione” degli
stessi beni segregati al disponente: o si pensi al caso in cui l’atto
istitutivo di un trust segreghi un immobile ad uso abitativo ed attribuisca al
beneficiario il diritto, reale o personale, di godimento per un determinato
periodo di tempo, trascorso il quale il bene sarà ritrasferito al disponente.
’imposizione, in questi casi, sembrerebbe comunque collegata ad una situazione
che esprime una capacità contributiva, ossia il futuro vantaggio economico dei
beneficiari. Tuttavia, si deve considerare che l’imposta sulle successioni e
donazioni non colpisce genericamente le “utilità economiche” attribuite in occasione
del passaggio non oneroso di un bene, ma specificatamente l’incremento
patrimoniale connesso al trasferimento di ricchezza espressa dal bene
trasferito, che rappresenta “il presupposto imponibile, ma anche il parametro
di commisurazione del tributo”.
In questa prospettiva, non appare soddisfacente, in termini
di coerenza logica del tributo (che rappresenta un corollario del principio di
capacità contributiva), una interpretazione che giunga ad affermare la
tassazione in funzione di un futuro vantaggio patrimoniale, parametrando
l’imposta al valore del bene segregato, quando al ricchezza successivamente
trasferita non coincida con quest’ultimo. A meno di non ritenere immediatamente
rilevante, in termini impositivi, l’istituzione di trust con segregazione del
bene, solo quando sia negozialmente previsto il successivo trasferimento del
bene segregato (o, in generale, delle utilità economiche che ne rappresentano
il valore, in cui eventualmente il bene è stato convertito) ai beneficiari; in
tutte queste ipotesi, quando cioè si prevede l’attribuzione di altri vantaggi
ma non il trasferimento del bene, rinviando la tassazione al momento delle
effettive attribuzioni ai beneficiari.
Occorre notare che la prospettiva della generalizzazione
della imposta fissa di registro per tutti i casi di trust, con rinvio della
imposizione ai fini del tributo successorio al momento dell’effettivo
trasferimento di ricchezza, pare emergere dalla stessa giurisprudenza di
merito.
SENTENZE N. 47 E N. 48 DEL 30/042009 CTP TREVISO, le quali
affermano chiaramente che la tassazione proporzionale del trust, nelle imposte
indirette, può essere affermata solo nel “momento in cui effettivamente si
realizza il trasferimento definitivo del patrimonio, a conclusione e
scioglimento del trust”. Invero, “fino a quel momento ...l’attribuzione
comporta semplicemente una separazione di patrimonio …con una consolidazione
finale ed effettiva dell’esito traslativo in quel preciso momento”. Nel trust
“assimilabile a donazione liberale, perciò e infatti solo a quel punto si
concreta l’incremento patrimoniale del soggetto come era in animo del
disponente, mentre prima, secondo ragione, il fisco può ambire semplicemente
alla misura fissa, vista la ancora persistente mancanza di incremento
patrimoniale in capo al beneficiario”.
Tali considerazioni sembrano cioè affermare che in ogni caso
la costituzione di un trust deve essere tassata con imposta fissa di registro,
per rinviare l’imposizione proporzionale al momento dell’effettivo
arricchimento del beneficiario. Ciò non solo nelle ipotesi, prima esaminate, in
cui i beneficiari siano, nell’atto istitutivo del trust, non determinati o
abbiano solo una generica aspettativa. Secondo il giudice veneto, infatti, la
segregazione dei beni in trust non sarebbe in grado di comportare un “effetto
traslativo pieno e perfetto”, che resta invece “condizionato all’obiettivo
finale”. Fino a tale momento, “rimane dunque in essere un fenomeno di
separazione patrimoniale al più vario scopo e titolo, che per certo toglie
provvisoriamente la disponibilità gestionale al disponente.. ma non altera
definitivamente consistenze e capacità degli interessati”, derivandone la non
applicazione delle imposte proporzionali ipotecarie e catastali, ma la sola
imposizione in misura fissa. Questo in senso del tutto opposto a quanto detto
dall’Agenzia delle Entrate, secondo cui ogni trasferimento immobiliare dal
disponente al trustee e da questi al beneficiario deve essere tassato secondo
le ordinarie aliquote delle imposte ipo-catastali.
In materia di imposte ipotecaria r catastale l’Agenzia si è
espressa nel senso che le stesse debbano essere applicate in misura
proporzionale tanto al momento del passaggio dei beni dal disponente al trustee
quanto al momento della devoluzione finale, in quanto considerate quale
“corrispettivo” per l’esecuzione delle formalità di trascrizione. Secondo
l’agenzia, ciò che rileva ai fini dell’applicazione delle menzionate imposte in
misura proporzionale è solo la presenza o meno, nella singola fattispecie
dell’effetto traslativo. Nonostante il testo degli artt. 1 e 10 d.lgs. 347/1990
(T.U. delle imposte ipotecarie e catastali) indichi come “oggetto” delle
relative imposte, rispettivamente, le “formalità di trascrizione” e le “volture
catastali”, secondo alcuni la fattispecie imponibile coincide, da tempo, con
quella delle imposte di registro e sulle successioni e donazioni e la “nuova
istituzione” dell’imposta sulle successioni e donazioni ha confermato
l’originaria correlazione fra disciplina di quest’ultima e quelle dei tributi
“connessi”. Seguendo questa logica il presupposto delle imposte ipotecaria e
catastale, nei casi esaminati, dovrebbe quindi definirsi con riferimento alla
fattispecie già assunta come presupposto dell’imposta sulle successioni e sulle
donazioni e la disciplina relativa a tale imposta dovrebbe definire anche i
profili soggettivi della fattispecie imponibile. Muovendo da tale ricostruzione
parrebbe dunque logico ritenere che l’applicazione delle imposte in considerazione
possa essere effettuata, in misura proporzionale, solo all’atto del
trasferimento “finale” tramite il quale si realizza il presupposto del tributo.
Anche per l’applicazione delle imposte ipotecaria e catastale, infatti, è
necessario che il presupposto d’imposta sia manifestativo di capacità
contributiva, talché si comprende come in ipotesi di trasferimento di beni dal
disponente al trustee l’arricchimento, che è presupposto del tributo fin qui
considerato e, conseguentemente, anche delle imposte ipotecaria e catastale,
difetti e che pertanto non appaia appropriata una imposizione della vicenda
traslativa con ricorso a criteri impositivi in misura proporzionale.
In primo luogo che non possono essere incluse nella fattispecie
imponibile dell’imposta sulle donazioni tutte le ipotesi di trasferimenti di
situazioni giuridiche soggettive a contenuto patrimoniale con funzione solo
“strumentale” alla realizzazione di assetti finali “onerosi”. Ma, anche laddove
l’assetto negoziale complessivo sia diretto a risultati liberali, il
trasferimento “iniziale” non giustifica, di per sé l’applicazione dell’imposta,
in quanto l’indice di capacità contributiva, si realizzerà solo
successivamente. Il beneficiario “finale” risulta essere, quindi, l’unico
soggetto passivo dell’imposta. Solo in capo a quest’ultimo, infatti, si
producono stabilmente quegli incrementi patrimoniali che costituiscono
presupposto de tributo in considerazione Per l’atto negoziale in cui l’effetto
dispositivo-destinatorio si accompagna ad un effetto traslativo, occorrerà aver
riguardo alla finalità per cui lo stesso negozio (complessivamente considerato)
è posto in essere. Conseguentemente, laddove sia già previsto nel programma
negoziale il trasferimento finale di un bene ad un soggetto terzo rispetto al
disponente ed anche all’attuatore, il trasferimento strumentale dovrebbe
risultare fuori dal campo di applicazione dell’imposta di donazione, la quale
dovrebbe essere applicata solo al momento dell’eventuale trasferimento al
beneficiario finale ovverosia al prodursi dell’effetto liberale Il rilievo
unitario della sequenza negoziale e poi completato, secondo il pensiero
dell’Agenzia, valorizzando il rapporto tra disponente e beneficiario, per
quanto attiene la determinazione delle franchigie, delle aliquote e delle
fattispecie di esenzione. Nella relazione si è avuto modo di delimitare il
campo applicativo della imposta, escludendo le fattispecie di trust “non
liberali” e mettendo in luce le contraddizioni in cui cade la stessa Agenzia
nelle ipotesi di trust “auto-dichiarato”. Proprio in relazioni a tali
fattispecie, la recente giurisprudenza ha scelto quindi di percorrere strade
abbastanza diverse da quelle indicate dall’Agenzia, rinviando l’imposizione ad
un momento successivo e considerando tassabile l’atto istitutivo del trust (con
segregazione di beni) con la sola imposta fissa di registro. A questa soluzione
la giurisprudenza è arrivata equiparando la mancata individuazione del
beneficiario alla previsione della condizione sospensiva, nonché condividendo
la soluzione per cui il perfezionamento della fattispecie traslativa si
verifica solo nel momento della effettiva attribuzione ai beneficiari.