Negli edifici in condominio ciascun condomino ha la proprietà
esclusiva di uno o più appartamenti e un diritto di comproprietà sulle parti
comuni dell'edificio, è questa la caratteristica fondamentale del condominio,
oltre ai beni di proprietà esclusiva dei singoli condomini, vi sono una serie
di beni che, per le funzioni che svolgono, devono essere necessariamente di
proprietà comune.
All'interno dell'elencazione dei beni di proprietà
comune, operata dal legislatore all'articolo 1117 c.c., rientra anche l'impianto
di riscaldamento centralizzato, cioè quell'impianto che fornisce il calore,
prodotto da una unica centrale termica, a tutte le unità immobiliari del
condominio, in ciò si distingue dall'impianto di riscaldamento autonomo, che
fornisce calore alla sola unità immobiliare in cui è installato.
E' opportuno, dunque, soffermarsi sul concetto di bene
comune; l'articolo 1117, al numero tre, indica testualmente come parti comuni
"le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere che servono
all'uso ed al godimento comune, come gli impianti per il riscaldamento fino al
punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei
singoli condomini", pertanto, si è in presenza di una presunzione
specifica ed autonoma di comproprietà dell'impianto centralizzato, fondata
sul presupposto della destinazione. Tale presunzione opera soltanto per quella
parte che può ritenersi centrale e non anche per le condutture che, staccandosi
dall'impianto centrale, si addentrano nei singoli appartamenti. Per queste
ultime, vige, in considerazione della funzione specifica che l'impianto viene ad
assolvere, la presunzione di proprietà esclusiva del condomino, in quanto dal
punto di diramazione in avanti le condutture soddisfano le esigenze individuali
di quest'ultimo, alimentando unicamente i termosifoni della sua unità
immobiliare.
Da tale definizione dell'impianto di riscaldamento
centralizzato quale bene comune, deriva in via diretta che il suo funzionamento
è regolato dal principio generale di uguaglianza dei condomini nell'uso della
cosa comune, principio per il quale tutti i servizi comuni devono essere fruiti
dai condomini in maniera uguale.
A tale principio si deve riconoscere, da un punto di vista
pratico, una importanza fondamentale posto che avviene sovente che l'impianto di
riscaldamento centralizzato non funzioni in maniera corretta, non riscaldando,
ovvero, sovrariscaldando, alcune unità immobiliari dell'edificio in condominio.
E' del tutto palese che se tale inconveniente può essere
eliminato senza danno per gli altri appartamenti, il condomino interessato può
chiedere ed ottenere la regolarizzazione dell'impianto.
Si potrebbe, a tal proposito, porre il quesito se il
condomino possa sottrarsi o meno alle spese di esercizio dell'impianto di
riscaldamento centralizzato quando l'erogazione di calore fornito da questo
all'appartamento sia insufficiente a riscaldarlo.
La risposta a tale quesito appare sostanzialmente negativa,
infatti, perché si possa avere una riduzione delle spese si deve trattare di un
grave deficit dell'erogazione, poiché una carenza di modesta entità non
appare idonea a determinare un danno, tale da giustificare la riduzione della
spesa. A tale proposito si deve sottolineare che recentemente la Corte di
Cassazione, a sezioni unite, ha evidenziato che l'obbligo del condomino di
contribuire alle spese necessarie alla conservazione ed al godimento delle parti
comuni dell'edificio, alla prestazione dei servizi nell'interesse comune e alle
innovazioni deliberate dalla maggioranza trova la sua fonte nella comproprietà
delle parti comuni dell'edificio (articolo 1123 comma 1 c.c.); con la
conseguenza che la semplice circostanza che l'impianto centralizzato di
riscaldamento non eroghi sufficiente calore non può giustificare un esonero dal
contributo, neanche per le sole spese di esercizio dell'impianto, dato che il
condomino non è titolare, nei confronti del condominio, di un diritto di natura
contrattuale sinallagmatica e, quindi, non può sottrarsi dal contribuire alle
spese allegando la mancata o insufficiente erogazione del servizio (Cassazione
civile sez. un., 26 novembre 1996, n. 10492).
Analogamente va detto che non può darsi luogo a riduzione
delle spese nel caso in cui l'impianto è stato realizzato in modo tale da
assicurare al singolo appartamento un beneficio non diverso da quello garantito
agli altri condomini, anche se ostacoli occasionali impediscano la realizzazione
di tale risultato.
Ogni condomino ha il diritto di ottenere che l'impianto di
riscaldamento sia strutturato in modo da assicurare, nelle ore di accensione, un
uniforme riscaldamento di tutti gli appartamenti e ciò attraverso opportuni
accorgimenti tecnici, quali una differenziazione delle superfici radianti in
rapporto alla posizione, alla struttura, all'esposizione ed alla volumetria di
ogni appartamento. Se però, le caratteristiche di posizione, struttura ed
esposizione di un appartamento (si pensi ad esempio ad un attico) siano tali da
determinare nelle ore di interruzione del funzionamento dell'impianto un calo
della temperatura più accentuato che negli altri appartamenti, al di fuori di
qualsiasi deficienza nell'organizzazione e conduzione del servizio, il
condomino interessato ha diritto di ottenere una maggiore fruizione del servizio
comune, nei limiti stabiliti dalle norme generali regolanti il funzionamento
degli impianti termici, purché ciò sia consentito dalle caratteristiche
dell'impianto e possa realizzarsi senza pregiudizio o disagio per gli altri
condomini, restando a carico dello stesso le spese per il funzionamento
dell'impianto (anche in relazione all'eventuale deterioramento) e quelle che
possano rendersi necessarie per la messa in opera di strumenti o l'adozione di
accorgimenti tecnici atti ad evitare un eccesso di calore negli altri
appartamenti (Cassazione 10 giugno 1981, n. 3775)
A questo punto della nostra analisi si deve sottolineare che
si può produrre anche l'ipotesi inversa, esiste, infatti, la possibilità
concreta che una singola unità immobiliare sia sovrariscaldata.
Si pensi ad esempio al caso del cattivo isolamento della
canna fumaria, da tale disfunzione deriva la conseguenza che i locali ad essa
adiacenti avranno una temperatura superiore ai venti gradi previsti dalla legge.
Quale rimedio avrà il proprietario dell'appartamento che
è sovrariscaldato?
In tal caso, soccorre la previsione normativa posta
all'articolo 844 del codice civile che vieta le immissioni moleste, nel cui
ambito, rientra, anche l'immissione di calore.
In base alla previsione normativa le immissioni sono da
considerarsi lecite solo se non superano la soglia della normale tollerabilità,
valutazione, questa che è demandata al giudice, con riferimento a tale punto si
deve chiarire quale debba essere il criterio che dovrà adottare il giudice per
poter pervenire all'individuazione del concetto di normale tollerabilità. Sul
punto si sono sviluppate due teorie:
- Tollerabilità in senso soggettivo, è una tollerabilità che cambia con il cambiare dei soggetti chiomati a tollerare.
- Tollerabilità in senso oggettivo, cioè il criterio del normale uso
di quel mezzo, ciò implica che deve escludersi che il giudizio in questione
possa essere condotto sulla base esclusiva delle dichiarazioni di testimoni,
atteso che in materia di immissioni, la valutazione dell'intensità del calore
nonché del suo grado di tollerabilità per le persone, costituisce
accertamento di natura tecnica, che deve essere necessariamente compiuto
mediante apposita consulenza e non può formare oggetto di prova testimoniale.
Tra le due teorie sopra esposte deve essere ritenuta
prevalente la seconda, posto che una valutazione destinata ad incidere su di un
diritto reale non può essere in alcun modo demandata ad un criterio ancorato ad
un valutazione meramente soggettiva,
Alla luce di tali considerazioni, emerge che si deve
accertare, caso per caso, il reale eccesso di riscaldamento dell'unità
immobiliare.
Pertanto, se l'immissione di calore supera di poco i limiti
stabiliti dalla legge (che prevede una temperatura di venti gradi) siamo al di
fuori dell'ipotesi di immissione molesta, poiché, non si può configurare il
superamento della normale tollerabilità. Mentre nel caso in cui si superi di
molto la temperatura normale, ad esempio di sei o addirittura di dieci gradi, è
del tutto palese che l'immissione di calore è da considerarsi intollerabile,
solo nel caso in cui ricorra quest'ultimo presupposto il condomino può agire
per ottenere gli isolamenti necessari al fine di eliminare il rialzo di
temperatura.
Si pone, però, ora un quesito concreto, se legittimato
all'esercizio dell'azione sia anche il conduttore.
La risposta non è agevole, infatti, l'articolo 844 c.c. si
muove nell'area della tutela della ragione proprietaria, limitata dalla sola
ragione industriale, impostazione, questa, che porta ad escludere che il
conduttore possa esercitare l'azione de qua.
Tuttavia, una simile ricostruzione ci lascia dubbiosi, perché
si può anche delineare il caso in cui il proprietario, nonostante le
segnalazioni ed i ripetuti solleciti da parte del conduttore, resti inerte
abbandonando così il conduttore a se stesso. Si può, quindi, ritenere che
anche in tal caso trovi applicazione un principio elaborato in giurisprudenza
che ritiene legittimato all'esercizio dell'azione non solo il proprietario,
ma anche il soggetto che si trovi in relazione al bene in un rapporto di
continuità formale o fattuale, in base a tale considerazione possiamo ritenere
che anche il conduttore è legittimato all'esercizio dell'azione, proprio
perché si trova in relazione al bene in un rapporto di continuità formale.
Se complessa è stata l'individuazione del soggetto
legittimato attivo all'esercizio dell'azione molto più semplice è
l'individuazione della legittimato passivo che ovviamente è l'amministratore
del condominio.
Per quanto attiene il funzionamento giornaliero
dell'impianto di riscaldamento, va posto in evidenza che tale situazione è
regolata dal D.P.R. 26 Agosto 1993, n. 412; il legislatore individua sei zone
climatiche in funzione dei gradi giorno, indipendentemente dalla ubicazione
geografica:
Zona A: comuni che presentano un numero: di gradi - giorno non superiore a
600;
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Zona B: comuni che presentano un numero di gradi - giorno maggiore di 600
e non superiore a 900;
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Zona C: comuni che presentano un numero di gradi - giorno maggiore di 900 e non superiore a 1.400; | |
Zona D: comuni che presentano un numero di gradi - giorno maggiore di 1.400 e non superiore a 2.100; | |
Zona E: comuni che presentano un numero di gradi - giorno maggiore di
2.100 e non superiore a 3.000;
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Zona F: comuni che presentano un numero di gradi - giorno maggiore di
3.000.
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Da tale definizione emerge che assumono una importanza
fondamentale i cd gradi giorno che equivalgono alla somma, estesa a tutti i
giorni di un periodo annuale convenzionale di riscaldamento, delle sole
differenze positive giornaliere tra, la temperatura dell'ambiente
convenzionalmente fissata a venti gradi C, e la temperatura media esterna
giornaliera.
Per quanto attiene il periodo durante il quale si può avere
l'attivazione dell'impianto di riscaldamento esso è compreso tra le ore 5 e
le ore 23 di ciascun giorno.
Tale regola generale incontra due uniche eccezioni:
- nel caso in cui si sia in presenza di situazioni climatiche che ne
giustifichino l'esercizio e comunque con una durata giornaliera non
superiore alla metà di quella consentita a pieno regime.
- Nell'ipotesi in cui i sindaci, su conforme delibera immediatamente esecutiva della giunta comunale, a fronte di comprovate esigenze, amplino i periodi annuali di esercizio e la durata giornaliera di attivazione degli impianti termici, sia per i centri abitati sia per i singoli immobili.
In caso di mancato rispetto di tali obblighi o
l'amministratore del condominio o l'eventuale terzo che se ne è assunta la
responsabilità (o anche il proprietario nel caso di riscaldamento autonomo) è
punito con la sanzione amministrativa non inferiore a lire un milione e non
superiore a lire 5 milioni.
Tuttavia, sempre nel rispetto delle disposizioni normative
sin qui analizzate, resta ferma la possibilità dei condomini di determinare
l'orario di funzionamento del servizio di riscaldamento e stabilire la sua
gestione, trattandosi delle modalità di uso di un servizio condominiale,
pertanto, l'assemblea ovvero, il regolamento condominiale, possono liberamente
determinare l'orario di accensione e di spegnimento dell'impianto.
Soluzioni Immobiliari
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