In molti casi la morosità degli inquilini si riflette sul
proprietario, costretto a pagare le imposte anche su canoni che non ha
incassato: non si tratta, però, di una regola assoluta, dal momento che
la legge prevede qualche (limitata) eccezione.
Ma andiamo con ordine. In generale i redditi delle persone fisiche –
esclusi quelli conseguiti in regime di impresa – vanno dichiarati e
assoggettati a tassazione soltanto nell'anno in cui avviene la loro
materiale percezione: è il cosiddetto criterio di cassa. Questo
principio incontra una deroga per i redditi fondiari – e in particolare
dei fabbricati – che scontano il prelievo d'imposta semplicemente al
verificarsi della loro maturazione.
L'articolo 26 del Tuir, infatti, presuppone il mero possesso
dell'immobile (a titolo di proprietà, usufrutto e di ogni altro diritto
reale), sia esso tenuto a disposizione che ceduto in locazione. Perciò,
nell'ipotesi in cui l'inquilino non paghi i canoni, il locatore dovrà
comunque farli concorrere alla formazione del proprio reddito
complessivo.
Considerati gli effetti penalizzanti che derivano da questa norma, è
previsto un temperamento – anche se articolato e circoscritto – che
esclude l'imponibilità del reddito immobiliare non percepito (in questa
eventualità, il possessore dell'unità immobiliare sarà, comunque, tenuto
ad assoggettare a tassazione la rendita catastale), in presenza delle
seguenti condizioni:
1) che la locazione sia a uso abitativo;
2) che il mancato pagamento dei canoni derivi dalla morosità del conduttore;
3) che quest'ultima venga accertata giudizialmente a seguito del procedimento per convalida di sfratto per morosità.
Queste condizioni devono essere concomitanti e, pertanto, se la
morosità nel pagamento riguarda un immobile commerciale (negozio,
ufficio, capannone), il locatore dovrà pagare l'Irpef, anche se ha
esperito il procedimento di convalida di sfratto, poiché la norma in
questo caso non gli attribuisce alcun effetto fiscale (circolare
150/1999 del ministero delle Finanze).
Questa "discriminazione" ha generato un inevitabile contrasto
interpretativo, nell'ambito del quale, secondo un orientamento più
garantista, anche la morosità che si manifesta nella locazione di
immobili non abitativi autorizza a non dichiarare i canoni non
percepiti, secondo il codificato principio di capacità contributiva
(Cassazione, sentenza n. 6911/2003).
È importante mettere in evidenza che questa composita tematica è
stata comunque riequilibrata dalla Corte costituzionale (sentenza n. 362
del 26 luglio 2000), attraverso la formulazione di principi perequativi
di portata generale, che come tali trovano applicazione
indistintamente, sia ai rapporti locativi di natura abitativa che
commerciale. Nel dettaglio, la Consulta ha statuito che:
• il riferimento al canone di locazione potrà operare nel tempo solo
fin quando risulterà in vita un contratto di locazione e quindi sarà
dovuto un canone in senso tecnico;
• tornerà in vigore la regola generale, e quindi si potrà evitare la
tassazione, quando la locazione sia cessata per scadenza del termine
(articolo 1596 del Codice civile) e il locatore pretenda la restituzione
dell'immobile essendo in mora il locatario per il relativo obbligo,
oppure quando si sia verificata una qualsiasi causa di risoluzione del
contratto, ivi comprese quelle di inadempimento in presenza di clausola
risolutiva espressa e di dichiarazione di avvalersi della clausola
(articolo 1456 del Codice civile), o di risoluzione a seguito di diffida
ad adempiere (articolo 1454 del Codice civile).
Pertanto, la presenza nel contratto di una clausola risolutiva dello
stesso e la dichiarazione di avvalersene al ricorrere dei sopravvenuti
presupposti (quale, appunto, la morosità del locatario) sono da ritenere
elementi sufficienti a legittimare il locatore a non dichiarare i
canoni non riscossi (Cassazione sentenza n. 12905/2007), senza
necessariamente attendere un eventuale pronuncia giudiziale:
l'attivazione di quest'ultima sarà, invece, richiesta per far accertare
anche la morosità di anni pregressi, finalizzata all'utilizzo del
credito d'imposta.
Attenzione: queste regole di favore si estendono a qualsiasi
tipologia di immobile compreso nel rapporto di locazione, dal momento
che il giudice delle leggi non fa alcuna distinzione fra unità abitativa
e commerciale.
È importante ricordare che qualora venga esercitata la facoltà di
risolvere anticipatamente il rapporto contrattuale rispetto alla a
scadenza naturale, occorre segnalare la circostanza all'anagrafe
tributaria. L'esecuzione di questo obbligo persegue nel contempo anche
lo scopo di dare coerenza e giustificazione alla più ridotta consistenza
reddituale del locatore in conseguenza del mancato incasso dei canoni
(si veda l'Esperto risponde del 10 febbraio 2014).
Tutte queste considerazioni valgono a prescindere dal regime
impositivo prescelto dal contribuente, ordinario o della cedolare secca.
Il principio di tassazione in base alla maturazione del reddito
fondario dei fabbricati trova infine un'ulteriore attenuazione
nell'articolo 36, Tuir, che consente al contribuente di evitare il
prelievo Irpef sul reddito derivante dall'immobile qualora quest'ultimo
venga sottoposto a lavori di restauro, risanamento conservativo e
ristrutturazione edilizia. Gli interventi devono essere supportati dai
titoli abilitativi richiesti dalla normativa edilizia, e l'esimente
impositiva sarà conseguibile per tutto il periodo di validità del
provvedimento amministrativo. Questa esimente opera sia per la rendita
catastale che per i canoni di locazione: infatti, anche se ci fosse un
rapporto locativo, sarebbe sospeso o risolto in anticipo per consentire i
lavori. Anche in questo caso, questa eccezione vale sia in relazione
agli immobili a destinazione abitativa che commerciale.
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