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lunedì 25 luglio 2011

Affitti in nero

Il Dlgs n. 23 del 14 marzo 2011 pone un punto fermo a favore della "sanabilità" della locazione non registrata, ossia sul fatto che la nullità dell'accordo non è assoluta.

L'erario, si era sempre opposto a considerare totalmente nullo l'affitto in nero: se così fosse stato, infatti, non sarebbe stato possibile pretenderne la registrazione e richiedere somme a titolo di versamento di imposte e sanzioni.

Il Dlgs dà oggi all'inquilino i mezzi e soprattutto la convenienza per ribellarsi all'affitto in nero. I mezzi, perché d'ora in poi l'inquilino potrà pagare la registrazione del contratto, con il modello 69, anche in assenza del contratto stesso allegato, e chiedere al proprietario di rimborsargli metà delle somme versate. La convenienza, perché, se denuncia il proprietario, l'inquilino ottiene in "regalo" un contratto a canone bassissimo (tre volte la rendita catastale è l'importo del nuovo canone annuo) e con durata di 4 anni più altri 4 di rinnovo, a partire dalla data di registrazione (cosa che avviene anche in caso di registrazione d'ufficio, cioè a seguito di autonomo accertamento condotto dalle Entrate).

Tuttavia, le nuove norme hanno dei buchi e l'inquilino deve fare attentamente i conti, prima di utilizzare le armi a disposizione. Dovrà infatti dimostrare che il contratto c'era, oppure che il canone pagato era superiore a quello dichiarato o infine che esisteva un contratto di comodato fittizio. Come può riuscirci? Senza accordo scritto (cioè nella maggior parte dei casi), l'unico metodo sicuro sembrerebbe quello di far causa al proprietario, portando in qualche modo prove dei versamenti, e rischiando comunque gli esiti favorevoli o sfavorevoli della sentenza. Quindi c'è da mettere in conto anche i costi da anticipare e i rischi e i tempi lunghissimi di un processo.

È vero che le Entrate possono innescare autonomamente procedure di accertamento, con verifica, per esempio, delle intestazioni delle utenze di luce e gas o dei movimenti bancari, che portino a identificare il versamento di somme sul conto corrente del proprietario. Sono però indagini complesse, messe in moto in genere per evasioni consistenti, perché prevedono l'impiego di uomini e mezzi.

Le indagini, se comunque fatte, possono giustificare l'applicazione delle sanzioni fiscali ma non sostituire l'azione in giudizio per il riconoscimento del contratto in sede civile: il fisco, infatti, applica le sanzioni ma non può "scrivere" un accordo di locazione. Cosa, questa, indispensabile per legge (lo dicono sia la legge 431/98 che la 311/2004); per quest'ultima un contratto è nullo non solo se non è registrato, ma anche se non è scritto) e, quindi, per ottenere l'applicazione del canone super-scontato.

Un contratto, però, non consiste solo di canoni e durate, ma anche di altre clausole (come, per esempio, i criteri di divisione delle spese che, nel contratto 4+4 anni, sono determinabili dalle parti anche in eccezione al Codice civile e alla legge 392/1978). In corso di causa può provvedere il giudice, con il limite - tuttavia - di accertare e ratificare quali erano le clausole di fatto applicate e integrarle con le disposizioni obbligatorie di legge, non potendosi sostituire alla volontà dei privati. E si ritorna, perciò al problema delle prove, di molto facilitato - ovviamente - nei casi in cui gli uffici finanziari ne abbiano fatto raccolta.

Il conduttore resta comunque responsabile in solido con il proprietario per le imposte di registro non versate e per le relative sanzioni (al limite l'erario può chiederle solo a lui "costringendolo" a farsi rimborsare dal proprietario la metà). Pertanto anche l'inquilino dovrà versare metà della sanzione dal 120 al 240% dell'imposta di registro, oltre agli interessi pregressi. In caso di denuncia del proprietario, è impensabile che il fisco non pretenda di sapere quanto versava di canone effettivo, anche perché solo con la prova dei versamenti si riuscirà a dimostrare che esisteva una locazione in nero.

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lunedì 18 luglio 2011

Immobili e prelazione

Il "diritto di prelazione", è concesso dalla legge a chi è inquilino in un contratto di locazione. La prelazione è imposta dalla legge solo in casi ben precisi. Tuttavia, niente vieta che sia concessa contrattualmente, anche in mancanza di obbligo: anzi, nei moduli prescritti per le locazioni a canone concordato, il locatore deve dichiarare espressamente se la concede o meno.
Locazioni commerciali

È la prelazione più diffusa. Vale solo quando l'immobile non abitativo è utilizzato per attività commerciali che prevedano diretti contatti con il pubblico . Espressamente escluso dalla legge l'uso per l'esercizio di attività professionali
In sostanza, in caso di vendita, l'inquilino ha diritto di continuare comunque il contratto di locazione fino alle scadenze naturali oppure acquistare, se lo vuole, l'immobile al prezzo e alle condizioni stabilite per la vendita dal proprietario, che non potrà alienare ad altri con condizioni diverse.
Meccanismi

Il proprietario deve dare per legge comunicazione della vendita con notifica attraverso l'ufficiale giudiziario all'inquilino . La giurisprudenza ha però valutato la raccomandata con ricevuta di ritorno come un mezzo di validità pari alla notifica. Nella comunicazione, va scritto il prezzo, sempre espresso in denaro, e le condizioni a cui avviene la vendita stessa, altrimenti la comunicazione è priva di valore. Non occorre allegare il compromesso. Il conduttore ha 60 giorni di tempo per esercitare il diritto all'acquisto, sempre per iscritto e tramite ufficiale giudiziario. Il pagamento, salvo diversi accordi, deve essere effettuato entro 90 giorni dalla prima comunicazione del proprietario, insieme alla stipula del compromesso o del rogito di acquisto.
Il diritto di riscatto

Cosa accade se il proprietario non effettua la comunicazione, ma vende l'immobile ad altri? Oppure se, fatto un prezzo all'inquilino, che rinuncia, ne concede uno inferiore ad un estraneo? L'inquilino ha la possibilità, entro sei mesi dalla trascrizione del rogito, di riscattare l'immobile dall'acquirente e perfino da altre persone a cui sia stato in seguito venduto, con un'apposita azione giudiziaria. Potrà pretendere anche eventuali danni (Cassazione, sentenza n. 9468/1990). Per riscattare, dovrà versare il prezzo denunciato sull'atto di vendita entro trenta giorni. Un periodo di tempo che scatta:
– dalla data della notifica dell'acquirente, che comunica di non opporsi al riscatto;
– oppure dalla prima udienza del giudizio, se l'acquirente stesso non fa opposizione al riscatto;
– o, infine, dalla data della sentenza che riconosce il diritto di riscatto, se vi è opposizione.
Cosa accade se l'inquilino non paga? Il caso è dubbio. Secondo la Cassazione più recente (sentenza n. 8809/1998) non perde il diritto: può solo essere costretto in giudizio a versare il prezzo più i danni conseguenti al ritardo.
Prelazione all'affitto

Scatta quando il locatore intende affittare ad altri. Il diritto dell'inquilino matura alla seconda, definitiva, scadenza del contratto non abitativo, dopo il suo rinnovo automatico , al nuovo canone richiesto dal proprietario . Infatti, la compravendita dell'immobile non è elencata per le locazioni commerciali tra i motivi di interruzione del contratto di locazione alla prima scadenza, di sei o di nove anni (come accade per quelle abitative). Si conserva tale diritto anche nel caso in cui il contratto con il nuovo inquilino sia sciolto entro un anno, ovvero quando il locatore abbia ottenuto il rilascio dell'immobile non intendendo locarlo a terzi, e, viceversa, lo abbia concesso in locazione entro i sei mesi successivi, ovviamente sempre in base al nuovo canone.
La prelazione non esiste però se il proprietario o l'inquilino hanno dato regolare disdetta, oppure l'inquilino è moroso.
Locazioni abitative

E' infatti conseguenza di un altro diritto, quello del proprietario a interrompere la locazione alla prima scadenza, quando intende vendere l'appartamento, evitando il rinnovo automatico del contratto previsto dalla legge n. 431/1998. Ricordiamo che tale prima scadenza è di quattro anni, per le locazioni a canone libero, e di tre anni per quelle a canone concordato. All'inquilino è data, come compenso, la possibilità di acquistare per primo i locali messi in vendita. Se, invece, il contratto giunge al termine naturale, per esempio dopo otto anni, la prelazione non c'è. Va ricordato, però, che il proprietario venditore, per poter interrompere alla prima scadenza, non deve possedere altri immobili, oltre a quello in cui abita e a quello dato in locazione. La prelazione all'acquisto e il corrispondente diritto di riscatto vanno esercitati secondo gli stessi meccanismi previsti per le locazioni commerciali. La legge di riforma pone un principio già noto nelle locazioni commerciali: se il locatore, dopo aver interrotto il contratto alla prima scadenza non vende, oppure è proprietario di più immobili, l'inquilino ha diritto al risarcimento del danno in misura non inferiore a 36 mensilità dell'ultimo canone di locazione versato (spese escluse).

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domenica 10 luglio 2011

Condominio: tabelle millesimali, Cass. S.U. 18477/2010

La pronuncia della Corte(Cass S.U. 18477/2010) ). ha suscitato molto scalpore, anche se ha comportato la soluzione della annosa questione della revisione delle tabelle millesimali. Certo è che la pronuncia ha sovvertito alcuni principi, che in precedenza erano stati ritenuti pacifici dalla stessa Corte, per la quale la determinazione e la modifica delle tabelle millesimali non è di competenza dell'assemblea (Cassazione 7359/1996), dovendosi l'approvazione o modifica delle tabelle configurare come un negozio di accertamento (Cassazione 7359/1964).

Secondo la pronuncia della Cassazione 14037/99 – la formazione/modifica delle tabelle millesimali, operata con delibera assembleare, senza l'unanimità dei consensi, è inefficace nei confronti dei condomini assenti o dissenzienti. Solo con la sentenza 11960/2004, la Corte era arrivata a distinguere – in sede di modifiche – tra tabelle millesimali allegate al regolamento e tabelle non allegate al regolamento. Nell'occasione, la Corte aveva puntualizzato che, ove le tabelle fossero allegate al regolamento contrattuale di condominio, per la modifica, sarebbe stato necessario il consenso unanime di tutti i condomini o una sentenza emessa dal giudice. Solo nella seconda ipotesi, la modifica avrebbe potuto essere deliberata dall'assemblea, con le maggioranze di cui all'articolo 1136, secondo comma, Codice civile. Sta di fatto che le sezioni unite hanno ora ritenuto che la delibera assembleare, che approva le tabelle, non si pone come fonte diretta del l'obbligo contributivo dei condomini, ma solo come parametro di quantificazione di tale obbligo. Conseguentemente, l'approvazione della tabella millesimale non può essere considerata né un contratto, né un atto negoziale, ma deve essere considerata solo come il risultato di una operazione tecnico-aritmetica, senza che possa configurarsi alcuna attività negoziale.

Secondo la sentenza, la tabella millesimale non incide dunque sul valore della proprietà, ma solo sugli obblighi contributivi. Oltretutto, dovendo essere allegata al regolamento – che può essere approvato anche a maggioranza – la tabella non deve necessariamente soggiacere alla regola della unanimità, in quanto quest'ultima costituirebbe un ostacolo alla libera determinazione della volontà dei singoli condomini. La sentenza delle sezioni unite ha anche evidenziato che, sulla diversa natura delle disposizioni regolamentari e sul loro diverso regime di modificabilità, non può incidere tout court il solo fatto che la tabella sia allegata al regolamento. E ciò, anche alla stregua della giurisprudenza del passato (Cassazione 12173/1991 e Cassazione sezioni unite n. 943/1999), per la quale hanno natura contrattuale solo le clausole regolamentari limitatrici dei diritti dei condomini, sulle proprietà esclusive o comuni, attributive ad alcuni condomini di maggiori diritti rispetto ad altri. Quest'ultimo principio è sicuramente da condividere, non potendosi riconoscere natura contrattuale – sempre e comunque – alle tabelle millesimali solo per il fatto che esse, ai sensi dell'articolo 68, disposizione di attuazione al Codice civile, siano allegate a un regolamento di origine contrattuale. Ulteriormente, secondo la sentenza richiamata, la determinazione dei valori della proprietà di ciascun condomino e la loro espressione in millesimi sarebbe regolata direttamente dalla legge, sicché non rientra neppure nelle competenze dell'assemblea.

Le tabelle millesimali sarebbero infatti predisposte principalmente al fine del computo delle maggioranze in assemblea, avendo carattere pregiudiziale rispetto alla costituzione e alla validità delle delibere assembleari, oltreché per la misura della contribuzione dei singoli condomini. Tant'è che l'articolo 68 delle disposizioni attuative, al suo comma primo, dispone che per gli effetti indicati dagli articoli 1123, 1124, 1126 e 1136 del Codice, il regolamento di condominio deve precisare il valore proporzionale di ciascun piano o ciascuna porzione di piano, spettanti in proprietà esclusiva ai condomini. A sua volta, l'articolo 68, secondo comma, dispone che i valori dei piani o delle porzioni di piano, ragguagliabili a quello dell'intero edificio, devono essere espressi in millesimi, in apposita tabella allegata al regolamento di condominio. Infine, il terzo comma del medesimo articolo 68, dispone che, nell'accertamento dei valori, non si tiene conto del canone locatizio, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione di ciascun piano o di ciascuna porzione di piano. In sostanza, la richiamata disposizione attuativa del Codice escluderebbe implicitamente, secondo la nuova pronuncia, qualsiasi riferimento agli effetti reali delle tabelle millesimali, attribuendo alle stesse natura puramente dichiarativa.

Nello stesso senso del richiamato articolo 68, dovrebbe leggersi anche la disposizione di cui all'articolo 1118, Codice civile, per il quale «il diritto di ciascun condomino sulle cose indicate dall'articolo precedente è proporzionato al valore del piano o porzione di piano che gli appartiene, se il titolo non dispone altrimenti». Sotto questo profilo – a parte la possibilità di un titolo contrario – occorre per ogni proprietà esclusiva, prendere in considerazione, sia gli elementi intrinseci, sia gli elementi estrinseci della proprietà, oltre alle pertinenze (Cassazione 1° luglio 2004, n. 12018).
Sta però di fatto che, per il disposto legislativo, la quota di comproprietà sui beni comuni può essere determinata non solo dal rapporto di valore tra le singole proprietà, ma anche da un accordo contrattuale, così come previsto dall'articolo 1117 e dello stesso articolo 1118, per il quale alla presunzione di comunione può essere contrapposto un titolo contrario e diverso.


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lunedì 4 luglio 2011

Conviene l'impianto fotovoltaico? Se sì, quanto?

Conviene l'impianto foto­voltaico? Se sì, quanto?

La risposta alla prima domanda è alquanto ovvia SI, mentre per rispondere alla seconda la questione diventa un pò più complessa.

Innanzitutto dovremo rispondere preliminarmente a queste domande:
dove è posto l'impianto, al Sud, dove c'è più sole o al Nord?
Quando verrà terminato?

Quali sono i consumi familia­
ri?


Mettendo a confronto due impianti similari, uno a Milano e l'altro a Bari (Fonte Sole24Ore)
è facile notare che , Bari è me­glio: viene prodotta più ener­gia, in parte autoconsumata e in parte venduta alla rete, perciò l'investimento si ripaga in minor tempo (otto anni invece di nove) e alla fine del periodo,ventennale di esercizio agevo­lato con le tariffe del cosiddet­to "conto energia" si finisce per incassare di più, in buona parte sotto forma di mancata spesa, cioè di risparmio sulla bolletta dell'energia elettrica ma in par­te anche come soldi sonanti.

Tenuto conto di entrambi i criteri, al Sud è previsto un ren­dimento dell'investimento an­nuo del 12% e al Nord del 10%, ben più di quel che possono ga­rantire investimenti finanziari a basso o medio rischio.

A meno di farsi finanziare da una banca, l'impianto è e resta un investimento di lungo perio­do. In altre parole, occorre sin da subito stanziare, nel caso in questione, 12.500 euro che ver­ranno "ripagati" in otto o nove anni: solo dopo si inizierà vera­mente a guadagnare. Quindi in­vestirà in fotovoltaico chi non prevede in breve tempo di do­ver avere spese notevoli e, in ge­nere, chi conta di abitare nella stessa casa ancora per un lungo periodo e l'utilizza per abitazio­ne principale. È vero che si potrebbe anche dire: «Con il foto­voltaico installato, la mia casa vale di più, se decido di vender­la», ma questa legittima aspetta­tiva va confrontata, caso per ca­so, con la realtà, cioè con la sen­sibilità degli acquirenti di im­mobili che potrebbero o non po­trebbero dare il giusto peso alle fonti rinnovabili come un plus di valore immobiliare.

Da considerare infine che l'esempio riportato vale per un impianto in funzione al 31 dicembre 2011 poichè
se l'installazione avvenisse mesi dopo, per esem­pio a settembre 2012, gli incenti­vi statali calerebbero di un bel po' (circa del 15,4%).
Ma dall'altro lato dobbiamo considerare che con l'evoluzione tecnologica avremo un'indubbia riduzione del costo dei pannelli e degli inverter, di fatto riducendo il "mancato guadagno" a un ben più accettabile "-5%" rispetto all'anno in corso.

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