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sabato 28 marzo 2009

Speciale Diritto del consumatore: prova del danno

Il danneggiato non è tenuto a provare la causa del
difetto e nemmeno la colpa del produttore, vertendo la prova
esclusivamente su elementi oggettivi, quali il danno, il difetto, la
relazione causale tra danno e difetto . Inoltre, sul danneggiato non
incombe l'onere di dimostrare di aver usato in modo diligente il
prodotto, né che il difetto sia imputabile alla sfera organizzativa del
produttore. Sia il danneggiato che il produttore possono avvalersi di
tutti i mezzi di prova, ovvero di quelle documentali, testimoniali,
della confessione, nonché delle presunzioni, come si evince dal 2° co.,
nella parte relativa alla prova a carico del produttore . La prova del
danno deve vertere sui pregiudizi risarcibili ai sensi dell'art. 123 c.
cons. e cioè, in primo luogo, sulle ripercussioni cagionate dalla morte
o da lesioni personali, per la quale valgono i principi generali in
materia di danno alla persona; in secondo luogo, l'onere verte sulla
prova della distruzione o del deterioramento di cose diverse dal
prodotto difettoso, che fossero destinate, in via prioritaria, ad uso
privato, circostanza che il danneggiato può provare avendo riguardo alla
natura della sua attività professionale, al luogo in cui il bene era
situato, all'eventuale iscrizione dello stesso negli inventari e nel
registro dei beni ammortizzabili dell'impresa. La prova del danno deve
essere documentale (relativamente al danno alla persona: certificati,
cartelle cliniche, ricevute di spesa, ecc.; per i danni alle cose:
documenti di acquisto, fatture di riparazione, ecc.) e testimoniale.
Relativamente alla prova del difetto, il danneggiato non è tenuto ad
indagare se il vizio denunciato è di fabbricazione o di progettazione,
bensì di dimostrare che il prodotto non offre la sicurezza che ci si
potrebbe legittimamente attendere sulla scorta delle circostanze
contemplate dall'art. 117 c. cons.
Il danneggiato è tenuto a dimostrare che l'evento
dannoso è stato provocato dal prodotto, provando l'esistenza della
causalità di fatto, ovvero che l'evento pregiudizievole è conseguenza
materiale della mancanza di sicurezza del prodotto, e di quella c.d.
giuridica, ovvero che quel danno è la realizzazione del rischio
connaturato al difetto (Cendon, Ziviz, 168). Il regime probatorio
delineato dall'articolo in commento conferma la natura oggettiva della
responsabilità per danni da prodotti difettosi, non dovendo il
danneggiato fornire anche la prova della colpa del produttore
Il 1° co. dell'art. 121 c. cons. evoca la
dir. 85/374/CEE in materia di responsabilità per prodotti difettosi
laddove sancisce che la responsabilità del produttore non è diminuita
quando il danno è provocato congiuntamente da un difetto del prodotto e
dall'intervento di un terzo. La disposizione riproduce, inoltre,
pressoché integralmente, l'art. 2055 c.c. in materia di solidarietà
nell'illecito extracontrattuale. Non rientra, invece, nell'ambito
applicativo del 1° co. dell'articolo in commento l'ipotesi del fatto
colposo del danneggiato, circostanza che diminuisce la misura del danno
risarcibile e che è espressamente disciplinata dal 2° co. dell'art. 121
c. cons., in applicazione del principio generale sancito dall'art. 1227
c.c. . La norma intende garantire una più intensa tutela al consumatore
danneggiato, identificando una pluralità di soggetti responsabili e
offrendo alla vittima la possibilità di ottenere l'integrale
risarcimento dal danno da uno qualsiasi dei responsabili . La disciplina
sulla responsabilità del produttore, pertanto, supera l'opposto
principio, c.d. della canalizzazione, secondo cui, anche nelle ipotesi
di prodotti composti da più parti prefabbricate realizzate da diverse
imprese, la responsabilità viene addossata sul produttore finale, ovvero
su quello che è meglio in grado si sopportare il peso del risarcimento
del danno. Tale principio contrasta con l'obiettivo di incentivare la
riduzione del rischio di danno per il consumatore attraverso l'adozione
di tutte le misure offerte dalla tecnica e attraverso la ricerca di
nuovi e più perfezionati strumenti. Pertanto, è giusto considerare
responsabili tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di un
prodotto difettoso . Ne consegue che, nel caso in cui il danno sia stato
provocato da una parte componente realizzata da un altro produttore, la
vittima – sulla scorta della norma in commento – può rivolgersi a quest'ultimo,
oppure al fabbricante del prodotto finito, che può, a sua volta,
esercitare l'azione di regresso per ottenere dal produttore della parte
componente la restituzione di quanto pagato. Analogamente si verificherà
nelle ipotesi contemplate dall'art. 118, lett. f), c. cons. che esclude
la responsabilità «nel caso del produttore o fornitore di una parte
componente o di una materia prima, se il difetto è interamente dovuto
alla concezione del prodotto in cui è stata in scorporata la parte o
materia prima o alla conformità alle istruzioni date dal produttore che
l'ha utilizzata». Secondo un autore, invece, il principio della
"canalizzazione" della responsabilità, benché apparentemente rifiutato
dal legislatore italiano, relativamente all'ipotesi di pluralità di
soggetti responsabili, riemergerebbe con riferimento all'individuazione
della "qualità" dagli stessi rivestita
L'art. 121 c. cons. stabilisce che, qualora
permanga un dubbio circa l'apporto dato da ciascuno dei responsabili
alla causazione del danno, la ripartizione (della colpa) avviene «in
parti uguali», laddove, invece, l'art. 2055 c.c. dispone che nel dubbio
«le singole colpe si presumono uguali». Tale differenza sembra
significare che il giudice, anche prescindendo da un'impossibile
graduazione delle colpe, allorché sussista un dubbio nel determinare
quale sia stato il grado di efficienza causale delle singole condotte,
può ripartire il risarcimento in eguale misura tra tutti i responsabili
L'art. 122 c. cons. ripropone testualmente il
contenuto dell'art. 10, D.P.R. 24.5.1988, n. 224 stabilendo che, qualora
il danneggiato abbia concorso colposamente alla realizzazione del danno,
il risarcimento deve essere valutato secondo quanto dispone l'art. 1227
c.c. Pertanto, il risarcimento del danno potrà essere diminuito in base
alla gravità della colpa della vittima, nonché all'entità delle
conseguenze che sono derivate da tale negligenza (art. 1227, 1° co., c.c.);
nessun risarcimento può, invece, essere corrisposto per i danni che il
creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza (art.
1227, 2° co., c.c.). I principi sanciti dall'art. 1127 c.c. vengono,
dunque, applicati anche alla responsabilità del produttore, sistema
improntato ad un criterio sostanzialmente oggettivo di imputazione della
responsabilità
Il 2° co. esclude il risarcimento qualora si provi
che il danneggiato era consapevole della difettosità del prodotto e del
relativo rischio e ciò nonostante si sia volontariamente esposto al
pericolo di subire un danno e costituisce un'eccezione alla regola
generale disposta dall'art. 1227 c.c. La norma si inquadra nella
Tre sono le condizioni affinché il risarcimento
venga escluso: la conoscenza del difetto; la consapevolezza del pericolo
che comporta l'uso del prodotto; l'essersi volontariamente esposto al
pericolo
Se, invece, il consumatore si è reso conto che il
prodotto impiegato era viziato e non colposamente gli è sfuggito quali
potessero essere i rischi connessi all'utilizzo dello stesso, il
risarcimento viene solo diminuito. Nell'ipotesi di un vizio
particolarmente grave del bene, che si associa alla piena consapevolezza
del consumatore danneggiato, il risarcimento deve essere escluso: ad
esempio, nel caso di biscotti avariati, il consumatore consapevole del
difetto deve astenersi dall'ingerirli. Quando il prodotto presenta,
invece, un'anomalia non grave, evitabile con adeguate precauzioni, il
consumatore può continuare ad utilizzare il bene
Invece, dinanzi ad un vizio di entità modesta, che
si associa un lieve sospetto da parte del consumatore in ordine al
pericolo di un danno, deve essere considerato non rilevante la
circostanza che questi non abbia adottato particolari cautele di
utilizzo
Relativamente al requisito della volontarietà,
affinché il risarcimento sia escluso, l'utilizzo del prodotto e
l'esposizione al rischio devono avvenire in conseguenza di una
iniziativa del danneggiato, sebbene non sia necessario che l'azione sia
compiuta materialmente da costui. La mancanza sopravvenuta di uno,
oppure, di tutti i requisiti contemplati dalla norma in commento
impedisce di porre a carico del danneggiato la sanzione di non
risarcibilità prevista dall'articolo de quo. La prova circa l'esistenza
delle condizioni contemplate dalla norma deve essere data dal
produttore, in applicazione di quanto dispone l'art. 2697 c.c., in
materia di onere della prova

venerdì 27 marzo 2009

Condominio: Cass. 6475/2009 - Condominio co-responsabile per furto attraverso l'impalcatura

l condominio corresponsabile con l'impresa appaltatrice per omessa custodia, ex articolo 2051 del codice civile, in caso di furto realizzato tramite impalcature sprovviste delle luci esterne e degli altri dispositivi di sicurezza volti a garantire "l'inviolabilità degli appartamenti".

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza in esame, la quale per la priva volta, innovando rispetto alle precedenti sentenze sull'ipotesi in esame, pronuncia il succitato principio di diritto. Infatti, nelle passate pronunce (si guardino Cass, Civ, 2844/2005; Cass. Civ. 5775/1998) riguardanti la medesima fattispecie, la Suprema Corte aveva sempre affermato al responsabilità esclusiva ex art 2043 codice civile dell'impresa che per tali lavori si avvale di quei ponteggi, la quale, trascurando le più elementari norme di diligenza e perizia e la doverosa adozione delle cautele idonee a impedire l'uso anomalo delle dette impalcature, aveva così violato il principio del "neminem laedere" ed aveva colposamente creato un agevole accesso ai ladri e posto in essere le condizioni del verificarsi del danno.

Famiglia: Addebito alla moglie che intratteneva relazioni extraconiugali

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I CIVILE

Sentenza 11 novembre 2008 - 23 gennaio 2009, n. 1734

Svolgimento del processo

Con sentenza del 19.1.2005 il Tribunale di Belluno, pronunciando sulla domanda di separazione per colpa della moglie proposta da G. C. D. P. nei confronti di R. T. e sull'analoga domanda per colpa del marito proposta in via riconvenzionale dalla T., dichiarava la separazione con addebito al marito per maltrattamenti, escludeva i comportamenti di adulterio dedotti a carico della moglie, disponeva l'affidamento del minore alla madre e liquidava, a titolo di contributo al mantenimento, un assegno di euro 300,00 per il figlio e di euro 80,00 per la moglie, entrambi rivalutabili, oltre al 50% delle spese straordinarie ed alla condanna del medesimo al pagamento delle spese processuali.

Proponeva impugnazione il C. D. P., insistendo nella pronuncia di addebito alla moglie e nella esclusione dell'assegno a favore della stessa.

All'esito del giudizio, nel quale si costituiva la T. chiedendo il rigetto del gravame, la Corte d'Appello di Venezia con sentenza del 20.6-27.7.2005, in parziale riforma della sentenza impugnata, addebitava la separazione anche alla moglie, escludeva l'assegno liquidato a suo favore e compensava integralmente fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Riteneva la Corte d'Appello, sulla base del contenuto di due lettere inviate alla T. da tali S. G. e P. G. in costanza di matrimonio, che era risultata provata la sussistenza delle dedotte relazioni extraconiugali “di tipo amoroso” intrattenute dalla moglie con costoro e che dette relazioni erano state determinanti per il venir meno del legame coniugale, provocando quelle reazioni violente, pur ingiustificabili, del marito che avevano comportato in primo grado la pronuncia, ormai definitiva, di addebito della separazione a costui. Revocava di conseguenza l'assegno già disposto a favore della T., precisando che in ogni caso non ne avrebbe avuto diritto in quanto i redditi dei due erano quasi equivalenti.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione R. T. che deduce tre motivi di censura illustrati anche con memoria.

Resiste con controricorso, illustrato anch'esso con memoria, G.C. D. P..

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso R. T. denuncia difetto di motivazione. Lamenta che la Corte d'Appello abbia dedotto la sussistenza delle relazioni extraconiugali che sarebbero state da lei intrattenute con i sigg. G. e G. sulla base di due lettere che le avrebbero indirizzato, senza considerare che costoro, in sede di deposizione testimoniale, avevano escluso dette relazioni e senza tener conto della diversa interpretazione data al riguardo sia dal giudice di primo grado che dal giudice penale nel procedimento per maltrattamenti a carico del C., con la conseguenza che in definitiva la Corte di merito non aveva esposto le ragioni per le quali non avesse tenuto conto di tali elementi istruttori.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 151 comma 2 e 2697 C.C.. Sostiene che la Corte d'Appello non abbia considerato che i maltrattamenti da lei subiti erano risultati pienamente provati sia in sede penale che nel presente giudizio e che, anche ammettendo per ipotesi che costei avesse intrattenuto delle relazioni extraconiugali, queste sarebbero state solo la conseguenza delle aggressioni fisiche del marito e non la causa dell'intollerabilità della convivenza, con la conseguente erroneità dell'addebito anche nei suoi confronti.

Gli esposti motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente in quanto volti entrambi a dimostrare l'erroneità dell'interpretazione dei fatti di causa operata dalla Corte d'Appello e dalla rilevanza ad essi attribuita ai fini della pronuncia di addebito della separazione anche a carico della ricorrente T., sono infondati, risolvendosi sostanzialmente nella prospettazione di una diversa valutazione non riconducibile nemmeno nell'ambito della previsione di cui al n. 5 dell'art. 360 C.P.C. che richiede per la sua configurabilità un contrasto fra le varie parti della motivazione della sentenza ovvero una lacuna nel tessuto argomentativo.

La doglianza della ricorrente, basata innanzitutto sulla mancata considerazione di altri elementi di valutazione (prove testimoniali e sentenza di condanna pronunciata in sede penale nei confronti del marito) da parte della Corte d'Appello che ha fondato invece la sua decisione unicamente su due lettere ritenute determinanti ai fini del convincimento sulla sussistenza di rapporti sentimentali extra-coniugali anche “inusuali” con altra donna, non tiene conto del principio, sempre affermato dalla giurisprudenza, secondo cui il giudice di merito non ha l'obbligo di prendere in considerazione tutti gli elementi emersi qualora ne reputi alcuni decisivi e di univoco significato, dandone idonea motivazione.

Ciò è avvenuto nel caso in esame in cui è stato dato credito alle due lettere in quanto scritte in epoca non sospetta dagli stessi soggetti che a tale relazione avevano dato luogo, privilegiandone implicitamente il contenuto rispetto alle deposizioni testimoniali rese successivamente dagli stessi, le cui dichiarazioni, riportate in ricorso, si pongono all'evidenza in netto contrasto con dette lettere.

Né maggior rilievo può assumere in questa sede di legittimità il richiamo alla sentenza di condanna pronunciata nei confronti del marito e della quale, oltre tutto, nulla si dice in ordine all'ipotesi contestata se non che trattavasi di “gravi reati”. Peraltro, se con tale richiamo si sia inteso alludere al comportamento violento assunto dal marito nei confronti della moglie, la circostanza risulta vagliata dalla Corte d'Appello che, pur non potendo interferire sulla pronuncia del Tribunale sul punto in ragione del giudicato che si era formato sull'addebito a carico del C., ha comunque evidenziato il comportamento assolutamente ingiustificabile a sua volta assunto da costui.

Anche la tesi espressa in particolare con il secondo motivo, con cui si sostiene che le relazioni extra-coniugali sarebbero state comunque successive alle aggressioni fisiche subite ad opera del marito, si muove sul piano della valutazione con la prospettazione di una successione dei fatti diversa da quella esposta dalla Corte d'Appello la quale ha ritenuto invece che il comportamento, pur violento e non giustificabile del marito, era stato una reazione alle relazioni extra-coniugali della moglie e sottolineato che non erano emersi elementi per spiegare diversamente tale comportamento, ben spiegabile invece in presenza dell'infedeltà della moglie.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 156 C.C. nonché errata ed insufficiente motivazione. Lamenta che la Corte d'Appello, dopo aver escluso il diritto all'assegno a seguito del disposto addebito anche nei suoi confronti, abbia poi erroneamente osservato che in ogni caso non le competerebbe per la quasi equivalenza dei due redditi, senza considerare che il marito vive in un'abitazione propria e lei invece in una casa presa in locazione. Con evidenti conseguenze sul piano economico.

Orbene, escluso il diritto della moglie all'assegno di mantenimento per effetto dell'addebito pronunciato anche nei suoi confronti (art. 156 comma 1 C.C.), ogni valutazione nella comparazione dei rispettivi redditi risulta necessariamente assorbita anche se la Corte d'Appello ne ha fatto cenno, sostenendo, con un'affermazione da considerare però un “obiter dictum”, che in ogni caso l'assegno di mantenimento non le competerebbe per la sua indipendenza economica.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorse e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 2.500,00 per onorario ed in euro 200,00 per spese oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Tributario: Cass. Sent 4773/2009 - Istanza rimborso rivolta a Ufficio incompetente

TRIBUTARIO - ISTANZA DI RIMBORSO RIVOLTA AD UFFICIO INCOMPETENTE La S.C., innovando rispetto al precedente orientamento, ha affermato che l’ufficio finanziario cui sia presentata una domanda di rimborso è tenuto, ove sia incompetente, a trasmettere la stessa a quello competente, in conformità alle regole di collaborazione tra organi della stessa amministrazione, restando configurabile, in difetto, un silenzio-rifiuto del rimborso medesimo, impugnabile dinanzi alle commissioni tributarie.

Fiscale: Adempimenti, le scadenze del 31 marzo

Dal sito dell'Agenzia delle entrate, tutte le scadenze del 31 marzo.

Clicca qui per accedere alla pagina del sito dell'Agenzia delle entrate

mercoledì 25 marzo 2009

Servizi offerti: Dir. Penale presentazione di denuncia o querela

La Denuncia e la querela

Chiunque sia venuto a conoscenza di un fatto che costituisce reato può presentare denuncia del fatto, ovvero può esporre ad un pubblico ufficiale o direttamente al Pubblico Ministero gli elementi essenziali del fatto, l’indicazione del giorno dell’acquisizione della notizia nonché le fonti di prova già note.

Più completa è la denuncia più facile sarà, per l’autorità giudiziaria, agire; pertanto, se è possibile, è bene indicare le generalità, il domicilio e quanto altro valga ad identificare la persona che ha cagionato il fatto oggetto di reato, se vi è persona offesa e se vi sono persone che hanno assistito ai fatti e /o che possono riferirne (art. 332 c.p.p.).

Qualora il reato che si riscontra in denuncia rientri fra quelli c.d. procedibili d’ufficio (art. 50 comma 2 c.p.p.) sarà sufficiente la semplice esposizione dei fatti di cui alla denuncia affinché l’autorità giudiziaria sia legittimata ad esercitare l’azione penale.
Vi sono, invece, dei reati procedibili solo a querela di parte, ovvero solo qualora vi sia l’espressa volontà che si proceda in ordine ad un fatto previsto dalla legge come reato (art. 336 c.p.p.).

Ipotesi di reati procedibili a querela di parte.

  • importanza della denuncia: come già detto essa costituisce la narrazione dei fatti da cui si evince l’esistenza del reato. E’ importante, pertanto, che questa sia il più possibile chiara, precisa e completa;
  • Importanza della querela: è la condizione necessaria a procedere. In pratica, se manca la volontà della parte offesa a procedere (è questa la querela), l’autorità giudiziaria non potrà svolgere la necessaria attività volta all’individuazione della fattispecie reato.
    E’ importante, quindi, che il cittadino il quale voglia venga perseguito un fatto reato lo faccia attraverso un atto di denuncia-querela che corrisponda alle caratteristiche sopraccitate: è frequente, infatti, che la persona si rivolga direttamente alle Forze dell’Ordine semplicemente esponendo i fatti ma senza chiedere che si proceda contro di questi.
ASSISTENZA NELLA REDAZIONE :
I nostri professionisti, dopo aver valutato con attenzione il caso loro sottoposto, potranno, suggerire al cittadino la forma migliore con cui deve essere espressa la denuncia – querela controllandone la forma, i contenuti e consigliando, a seconda del tipo di reato, la soluzione migliore.

Grazie.

lunedì 23 marzo 2009

Lo speciale sul risarcimento danno - Il prodotto difettoso

I professionisti di legal affrontano in questo speciale in due pubblicazioni l'argomento del risarcimento del danno da prodotto difettoso.

Partiranno dal Codice del Consumo fino ad arrivare ai casi concreti.

Oggi, nel primo post sarà trattata:
- la Natura della responsabilità
- la Responsabilità del produttore
- la responsabilità del fornitore

Buona lettura, buona informazione.

Speciale: Prodotto difettoso, il Produttore e il Fornitore - ipotesi di responsabilità

Natura della Tutela e responsabilità del produttore

A differenza di quanto previsto dall'art. 3, D.P.R. 24.5.1988, n. 224, il Titolo II del Codice del consumo non contempla espressamente la nozione di produttore. Secondo parte della dottrina è necessario fare riferimento alle relative definizioni contenute in altre parti del Codice del consumo e, segnatamente, all'art. 103, lett. d), del Titolo I, Parte IV, rubricato «Sicurezza dei prodotti» e all'art. 128, Titolo III «Garanzia legale di conformità e garanzie commerciali per i beni di consumo», che al 2° co., lett. d), fornisce un'altra definizione di produttore. Secondo tale opinione, poiché entrambe le definizioni non contemplano nè produttore di un componente del prodotto finito e nemmeno il produttore della materia prima (come, invece, prevedeva l'art. 3, 2° co., D.P.R. n. 224/1988), il legislatore ha inteso individuare il produttore del prodotto finito come il principale soggetto di imputazione giuridica della responsabilità per danno da prodotti difettosi . Secondo altra parte della dottrina la definizione di produttore deve, invece, evincersi, per ragioni di uniformità, coordinamento e coerenza oltre che di efficienza del sistema, dal combinato disposto delle norme contenute dal Titolo II, nonché dalle definizioni contemplate in altre parti del Codice, con particolare riferimento agli artt. 103, 115, 118, 116 e 3, lett. d), che contemplano una definizione di produttore applicabile a tutto il Codice del consumo. Ciò premesso, possono considerarsi «produttori» tutti coloro che partecipino al processo produttivo, alla stessa stregua di quanto sancito dall'art. 3, D.P.R. 24.5.1988, n. 224e, dunque, il fabbricante del prodotto finito, il fornitore di una parte componente del prodotto finito medesimo, il fornitore della materia prima, i rappresentanti e gli intermediari di tali soggetti, l'agricoltore, l'allevatore, il pescatore ed il cacciatore, il ricondizionatore del prodotto usato, nonché ogni persona che, apponendo il proprio nome, marchio o altro segno distintivo, si presenti come produttore del bene

La natura oggettiva della responsabilità del produttore emerge, secondo parte della dottrina, dal combinato disposto dell'art. 114 con l'art. 118 c. cons. Invero, la prima norma dispone che la responsabilità del fabbricante è collegata semplicemente a un difetto del prodotto, senza richiedere requisiti ulteriori rispetto all'esistenza di un difetto, mentre l'art. 118 enumera tassativamente i casi di esclusione della responsabilità, tra i quali non figura la diligenza del fabbricante [Alpa, L'attuazione della direttiva comunitaria sulla responsabilità del produttore. Secondo altra parte della dottrina, invece, una lettura sistematica degli artt. 114 e 117 suggerisce che solo con riguardo ai difetti di fabbricazione sia possibile una qualificazione della responsabilità in termini oggettivi. Quando si tratta dei difetti di progettazione vengono in considerazione le circostanze introdotte dall'art. 117 preposte alla definizione della clausola generale relativa alle "legittime aspettative di sicurezza" e che implicano valutazioni attinenti al comportamento del produttore

Il Codice del consumo – che come detto recepisce il D.P.R. 24.5.1988, n. 224 – non qualifica la responsabilità del produttore in termini di responsabilità contrattuale od extracontrattuale. La maggior parte della dottrina attribuisce la qualifica di speciale alle norme sulla responsabilità del produttore, trattandosi di un tipo di responsabilità che opera in virtù di specifici presupposti stabiliti dalla normativa e che si aggiunge alle altre forme di responsabilità che già tutelano il danneggiato. Essa si affianca alla generale fattispecie di responsabilità civile di cui all'art. 2043 c.c. e si applica, pertanto, tanto nel caso in cui tra fabbricante (o soggetto assimilato) e danneggiato sussista un rapporto contrattuale (come ad. es. una compravendita), quanto nel caso in cui il danneggiato sia terzo rispetto al fabbricante . Resta salvo il regime generale della responsabilità per colpa, quello della responsabilità conseguente all'esercizio di determinate attività, quali, ad esempio, quelle pericolose (art. 2050 c.c.) e di circolazione di autoveicoli (art. 2054 c.c.), quello della responsabilità contrattuale (a cui si è aggiunta la disciplina in tema di vendita di beni di consumo di cui agli artt. 1519 bis – 1519 nonies e ora contemplata dagli artt. 128-135 c. cons. Secondo altra dottrina, invece, la responsabilità introdotta dalla disciplina in commento avrebbe natura extracontrattuale


Responsabilità del fornitore

Fornitore è colui che realizza il passaggio del bene, sebbene senza stipulare alcun contratto o altro atto negoziale con il consumatore, anche solo effettuando la consegna del prodotto, ed anche solamente a fini pubblicitari. Per fornitore si può intendere sia quello del prodotto finale, che quello di una parte del prodotto o di una materia prima . La responsabilità del fornitore è subordinata alla triplice condizione che: a) non sia nota l'identità del produttore: b) il fornitore abbia distribuito il prodotto nell'esercizio di un'attività commerciale; c) non sia stato in grado o abbia omesso di comunicare, nel termine di tre mesi dalla richiesta formulatagli dal danneggiato, o in quello ulteriore concessogli dal giudice, l'identità o il domicilio del produttore o della persona che gli ha a sua volta fornito il prodotto. Il presupposto della «distribuzione del prodotto nell'esercizio di un'attività commerciale», rievoca l'art. 2082 c.c. concernente la disciplina applicabile ai soggetti che esercitano professionalmente un'attività economica organizzata al fine dello scambio di beni. Pertanto, fornitore è colui che si occupa della vendita, della locazione, del leasing o di altra forma di commercializzazione del prodotto, cioè colui che realizza il passaggio della merce dal produttore al consumatore . Infatti, gli effetti dell'applicazione della norma in commento, non rileva né il livello economico a cui opera il "fornitore", potendosi trattare di un dettagliante o di un venditore all'ingrosso e nemmeno il profilo strettamente giuridico che assume l'attività da questi svolta. Può, invero, trattarsi di attività di vendita del prodotto (come, ad esempio, nelle ipotesi di vendite per corrispondenza o al dettaglio), oppure, di locazione (come, ad esempio, la locazione di un apparecchio elettronico fabbricato in un Paese extracomunitario e del quale non sia identificato l'importatore) . Sono esclusi dall'ambito di applicazione della norma quei soggetti che abbiano distribuito il prodotto in via occasionale o in forme diverse da quelle proprie dell'impresa, nonché nell'ambito dei rapporti di amicizia e di cortesia. Rientrano, invece, nell'ambito applicativo della norma i casi in cui il prodotto sia stato ceduto a titolo gratuito (come, ad esempio, a titoli di omaggio o premio) nell'ambito di un'attività commerciale . La dottrina identifica la «distribuzione commerciale« di cui all'art. 116 con la «messa in circolazione» di cui all'art. 119 c. cons. Pertanto, il prodotto si considera distribuito allorché ricorra almeno una delle circostanze contemplate dall'art. 119. Secondo parte della dottrina l'art. 116 si applica, altresì, ai prodotti "sfusi", dove non soltanto l'identità del produttore non è di immediata evidenza, ma il prodotto non risulta marchiato in alcun modo . Alcuni ritengono che la nozione di fornitore debba considerarsi ridimensionata in ragione della più ampia nozione di "produttore" contemplata dall'art. 103, 1° co., lett. d), c. cons., che ricomprenderebbe tra i produttori gli operatori professionali della catena di commercializzazione nella misura in cui la loro attività incida sulle caratteristiche di sicurezza dei prodotti (con esclusione, pertanto, di quelli che l'art. 103, 1° co., lett. e) definisce come meri "distributori", che non incidono sulla sicurezza dei prodotti)

L'art. 116 riproduce testualmente l'art. 4, D.P.R. 24.5.1988, n. 224, ai sensi del quale il fornitore è ritenuto responsabile allo stesso titolo del produttore nell'ipotesi in cui, quando non sia nota l'identità del produttore e il fornitore abbia distribuito il prodotto nell'esercizio di un'attività commerciale, egli non riesca a comunicare al danneggiato, entro un dato termine (tre mesi dalla richiesta del danneggiato o quello ulteriore accordatogli dal giudice), gli elementi necessari ad identificare il produttore o colui che abbia a sua volta fornito il prodotto. Secondo l'orientamento prevalente della dottrina la disposizione in commento assume una posizione residuale nel quadro dei soggetti sottoposti alle norme sulla responsabilità da prodotto difettoso. Essa, infatti, non equipara il fornitore al produttore sotto il profilo della responsabilità, avendo come esclusiva finalità quella di indurre il fornitore a rivelare l'identità del produttore. Emergerebbe, pertanto, una netta differenziazione dei regimi di responsabilità in relazione alla qualità soggettiva rivestita da coloro che sono coinvolti nel processo di circolazione dei prodotti: la responsabilità del produttore sarebbe oggettiva e, quindi, soggetta alle disposizioni del Codice del consumo; quella del fornitore, invece, sarebbe una responsabilità sussidiaria, ancorata ai tradizionali criteri di imputazione secondo le norme del diritto comune, salva l'ipotesi in cui si ometta di comunicare l'identità del produttore. Secondo altra parte della dottrina, invece, tale differenziazione dei regimi di responsabilità sarebbe contraria al principio di tutela del consumatore, poiché l'obbligo di esercitare un controllo sul prodotto grava anche sul fornitore, a cui compete – analogamente al produttore – di presentare il prodotto e di esplicarne all'acquirente le istruzioni e le avvertenze per la sua utilizzazione, concorrendo, pertanto, a cagionare il danno per le medesime ragioni considerate rilevanti dal Codice con riguardo al produttore Si suggerisce, pertanto, un'equiparazione tra produttore e fornitore, individuando il soggetto responsabile non solo nel produttore in senso tecnico, ma altresì in tutti quegli operatori professionali che, benché non svolgano un'attività di fabbricazione dei beni in senso tecnico o economico, tuttavia possano incidere sulle caratteristiche di sicurezza del prodotto

Legittimato ad agire contro il fornitore è qualunque danneggiato da un prodotto difettoso che può essere un acquirente o un utente a qualsiasi titolo, c.d. bystander. La richiesta deve essere scritta e quindi può considerarsi ad substantiam. Secondo la dottrina la richiesta di risarcimento del danneggiato è atto recettizio, pertanto il termine di tre mesi decorre dal momento in cui essa perviene al domicilio del fornitore e non è presupposto processuale, potendo il danneggiato proporre direttamente l'azione nei confronti del fornitore, senza che la domanda possa ritenersi improcedibile. Ne consegue che il termine entro il quale il fornitore dovrà effettuare la comunicazione decorrerà dal momento della notificazione dell'atto introduttivo. In tal caso, nell'ipotesi in cui il produttore o il precedente fornitore compaia e non contesti l'indicazione è possibile che l'attore sia condannato al pagamento delle spese processuali subite dal fornitore-convenuto per effetto della chiamata in giudizio. L'incompletezza o la genericità delle indicazioni date dal danneggiato sulla identità del prodotto – che non consentono al fornitore di individuare il prodotto che ha arrecato il danno –, oppure la omessa conservazione dello stesso prodotto, sono circostanze che possono essere valutate dal giudice al fine di giustificare la mancata individuazione da parte del fornitore dell'identità del produttore o del precedente fornitore . Il fornitore è, infatti, ammesso a liberarsi da ogni obbligo risarcitorio comunicando al danneggiato l'identità e il domicilio del produttore o della persona che gli ha fornito il prodotto, nel termine di tre mesi dalla richiesta fattagli pervenire dal danneggiato. Secondo parte della dottrina il fornitore che non abbia adempiuto agli oneri di comunicazione di cui all'art. 116 può liberarsi da ogni responsabilità provando che l'identità del produttore non era ignota al danneggiato al momento della richiesta . Altri Autori, invece, ritengono che, poiché lo scopo della disposizione è quello di assicurare un legittimato passivo all'azione di danno del consumatore, la designazione del produttore entro il termine previsto dalla legge rappresenta l'unica possibilità per il fornitore di evitare di essere convenuto nel relativo giudizio. Pertanto, egli non sfugge alla legittimazione passiva se il consumatore perviene ad identificare il produttore, oppure questi si rivela da sé . Il fornitore non può liberarsi dalla responsabilità dimostrando che la mancata notificazione e comunicazione del nome del fabbricante (o del precedente fornitore o dell'importatore) non dipendono da una sua colpa

Nelle ipotesi in cui il giudizio sia iniziato in mancanza della richiesta stragiudiziale al fornitore, oppure in quelle nelle quali sia stato concesso il termine ulteriore di cui al 4° co. dell'articolo che si commenta, il terzo indicato quale produttore o precedente fornitore può essere chiamato in causa ai sensi dell'art. 106 c.p.c. e il fornitore convenuto è estromesso se la persona indicata compare e non contesta l'indicazione. Secondo autorevole dottrina l'estromissione del convenuto può avvenire solo se il danneggiato ha azionato unicamente la speciale responsabilità da prodotto introdotta dalla disciplina sulla responsabilità del produttore e non quando il danneggiato abbia fatto valere anche un rimedio accordatogli dalle norme comuni, come contemplato dall'art. 127 c. cons.

venerdì 20 marzo 2009

Condominio - Cassazione 25502/2008 - Poteri dell'Amministratore - impugnazione delibera

L'amministratore del condominio è l'unico esclusivo legittimato passivo in ordine alla domanda del condomino volta all'accertamento della invalidità della delibera assembleare senza la necessità di una specifica autorizzazione assembleare - trattandosi di controversia rientrante nella sue normali attribuzioni - e senza necessità di procedere all'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini i quali, peraltro, restano sempre legittimati ad intervenire in proprio o a proporre impugnazione.

Cassazione 4492/2009 - Responsabilità civile e legittima difesa

RESPONSABILITÀ CIVILE - LEGITTIMA DIFESA – PROVA - LESIONI RECIPROCHE Ai fini dell’applicazione dell'art. 2044 cod. civ., dal quale si evince che la responsabilità per danni è esclusa quando il danno è arrecato per difendere sè od altri contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, è necessario che chi invoca la scriminante penalistica della legittima difesa per svincolarsi dall’obbligo risarcitorio provi pienamente la sussistenza della stessa, non essendo sufficiente nel giudizio civile la “semiplena probatio” che, invece, nel processo penale può determinare l’assoluzione dell’imputato ex art. 530, comma 3, c.p.p.. (Nella specie la S.C., nell’annullare la sentenza di merito, ha reputato non corretto il ragionamento della Corte di Appello che aveva ritenuto presuntivamente provata la legittima difesa in presenza di lesioni reciproche, così rigettando la richiesta di risarcimento dei danni avanzata da uno dei soggetti lesi).

Fiscale: software bonus famiglia

Il software Bonus famiglia consente la compilazione e la trasmissione telematica dei modelli per la richiesta del Bonus famiglia.

Il prodotto informatico può essere utilizzato:

  • dai singoli contribuenti che intendono presentare direttamente in via telematica il Modello per la richiesta all'Agenzia delle Entrate;
  • dai datori di lavoro per la trasmissione all'Agenzia delle Entrate dei Modelli per la richiesta al sostituto d'imposta e agli enti pensionistici relativi alle richieste pervenute dai propri dipendenti e i dati relativi agli importi ad essi erogati.
  • dagli intermediari abilitati alla trasmissione telematica che sono stati incaricati dai singoli contribuenti o dai datori di lavoro della trasmissione dei modelli di richiesta.
Clicca qui per il sito dell'Agenzia dell'Entrate.

Fiscale:Rivalutazione dei beni immobili relativi all’impresa

Dal sito dell'Agenzia delle Entrate

Articolo 15, commi da 16 a 23, del decreto legge 29 novembre 2008, n. 185 - Rivalutazione dei beni immobili relativi all’impresa

In formato Pdf.

mercoledì 18 marzo 2009

Hai ancora dubbi?

Siamo a disposizione per fornire chiarimenti:

Su come intervenire in caso di maltrattamento
Sul randagismo
Sulla fauna selvatica
Sulla caccia& pesca
Sugli animali esotici
Sulla vita degli animali in condominio.

Leggi, sentenze e commenti li trovi qui

Hai bisogno di un parere lo trovi qui e
clicca sulla voce "animali"

Crediamo che tutelare gli animali, sia un impegno e non un'affare, i nostri professionisti si impegnano in tutte le posizioni di questa materia a fornire consulenza gratuita (con esclusivo rimborso spese vive) e nei casi rienuti più complessi a richiedere compensi in base ai minimi tariffari

Maltrattamento Animali

Un nostro collega, mi invia una guida contro il maltrattamento degli animali, che ho deciso di pubblicare.

Partiamo dal Codice Penale, chiarissimo in materia:

1. Dopo il titolo IX del libro II del codice penale è inserito il seguente:
"TITOLO IX-BIS - DEI DELITTI CONTRO IL SENTIMENTO PER GLI ANIMALI

Art. 544-bis. - (Uccisione di animali). - Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi.

Art. 544-ter. - (Maltrattamento di animali). - Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre mesi a un anno o con la multa da 3.000 a 15.000 euro.
La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi.
La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell'animale.

Art. 544-quater. - (Spettacoli o manifestazioni vietati). - Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque organizza o promuove spettacoli o manifestazioni che comportino sevizie o strazio per gli animali è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni e con la multa da 3.000 a. 15.000 euro.
La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti di cui al primo comma sono commessi in relazione all'esercizio di scommesse clandestine o al fine di trarne profitto per sè od altri ovvero se ne deriva la morte dell'animale.

Art. 544-quinquies. - (Divieto di combattimenti tra animali). - Chiunque promuove, organizza o dirige combattimenti o competizioni non autorizzate tra animali che possono metterne in pericolo l'integrità fisica è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 50.000 a 160.000 euro.
La pena è aumentata da un terzo alla metà:
1) se le predette attività sono compiute in concorso con minorenni o da persone armate;
2) se le predette attività sono promosse utilizzando videoriproduzioni o materiale di qualsiasi tipo contenente scene o immagini dei combattimenti o delle competizioni;
3) se il colpevole cura la ripresa o la registrazione in qualsiasi forma dei combattimenti o delle competizioni.
Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato, allevando o addestrando animali li destina sotto qualsiasi forma e anche per il tramite di terzi alla loro partecipazione ai combattimenti di cui al primo comma è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 5.000 a 30.000 euro. La stessa pena si applica anche ai proprietari o ai detentori degli animali impiegati nei combattimenti e nelle competizioni di cui al primo comma, se consenzienti.
Chiunque, anche se non presente sul luogo del reato, fuori dei casi di concorso nel medesimo, organizza o effettua scommesse sui combattimenti e sulle competizioni di cui al primo comma è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 5.000 a 30.000 euro.

Art. 544-sexies. - (Confisca e pene accessorie). - Nel caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per i delitti previsti dagli articoli 544-ter, 544-quater e 544-quinquies, è sempre ordinata la confisca dell'animale, salvo che appartenga a persona estranea al reato.
E' altresì disposta la sospensione da tre mesi a tre anni dell'attività di trasporto, di commercio o di allevamento degli animali se la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta è pronunciata nei confronti di chi svolge le predette attività. In caso di recidiva è disposta l'interdizione dall'esercizio delle attività medesime".

Art. 638 :Chiunque senza necessita' uccide o rende inservibili o comunque deteriora animali che appartengono ad altri e' punito, salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire seicentomila. La pena e' della reclusione da sei mesi a quattro anni, e si procede d'ufficio, se il fatto e' commesso su tre o piu' capi di bestiame raccolti in gregge o in mandria, ovvero su animali bovini o equini, anche non raccolti in mandria. Non e' punibile chi commette il fatto sopra volatili sorpresi nei fondi da lui posseduti e nel momento in cui gli recano danno.

L'articolo 727 del codice penale è sostituito dal seguente:
"Art. 727. - (Abbandono di animali). - Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda da 1.000 a 10.000 euro.
Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze".

Si fa poi divieto:

Divieto di utilizzo a fini commerciali di pelli e pellicce

1. E' vietato utilizzare cani (Canis familiaris) e gatti (Felis catus) per la produzione o il confezionamento di pelli, pellicce, capi di abbigliamento e articoli di pelletteria costituiti od ottenuti, in tutto o in parte, dalle pelli o dalle pellicce dei medesimi, nonché commercializzare o introdurre le stesse nel territorio nazionale.

2. La violazione delle disposizioni di cui al comma 1 è punita con l'arresto da tre mesi ad un anno o con l'ammenda da 5.000 a 100.000 euro.

3. Alla condanna consegue in ogni caso la confisca e la distruzione del materiale di cui al comma 1

La formazione è essenziale:
E'dal 2004 che è previsto che lo Stato e le regioni possono promuovere di intesa, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, l'integrazione dei programmi didattici delle scuole e degli istituti di ogni ordine e grado, ai fini di una effettiva educazione degli alunni in materia di etologia comportamentale degli animali e del loro rispetto, anche mediante prove pratiche.

La vigilanza:
1. Al fine di prevenire e contrastare i reati previsti dalla presente legge, con decreto del Ministro dell'interno, sentiti il Ministro delle politiche agricole e forestali e il Ministro della salute, adottato entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le modalità di coordinamento dell'attività della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri, del Corpo della guardia di finanza, del Corpo forestale dello Stato e dei. Corpi di polizia municipale e provinciale. 2. La vigilanza sul rispetto della presente legge e delle altre norme relative alla protezione degli animali è affidata anche, con riguardo agli animali di affezione, nei limiti dei compiti attribuiti dai rispettivi decreti prefettizi di nomina, ai sensi degli articoli 55 e 57 . del codice di procedura penale, alle guardie particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute.

La legge 189/2004 è esemplare eppure i casi di maltrattamento sono sempre più frequenti!

Grazie per la lettura!


lunedì 16 marzo 2009

Dir. Canonico: Annullamento del matrimonio

Cosa è:
L’annullamento viene dichiarato quando il matrimonio non è mai stato valido dalla sua origine; il divorzio è lo scioglimento di un matrimonio già valido.

Il Giudice competente:
Per i matrimoni celebrati con rito civile o con rito religioso diverso dal cattolico, è competente il Tribunale civile, mentre per i matrimoni concordatari, e cioè celebrati in Chiesa e trascritti nei registri di Stato civile, sono competenti sia il Tribunale ecclesiastico sia quello civile.

La nullità:
La pronuncia di nullità evidenzia che il matrimonio, anche se formalmente celebrato, non è mai stato valido, per mancanza di uno dei requisiti necessari o in presenza di impedimenti che hanno reso nulla la manifestazione del consenso.
Il matrimonio canonico può essere dichiarato nullo dai tribunali ecclesiastici, quando sussistono i motivi di particolare gravità previsti dal codice di diritto canonico.
Dalla dichiarazione di nullità discende l'inefficacia del matrimonio dalla sua origine, come se non fosse mai stato celebrato.

Impedimenti dirimenti
Attengono a circostanze che rendono la persona inabile a contrarre un matrimonio. Se nonostante ciò, la persona si sposa, contrae matrimonio invalido, salvo che nei casi in cui, quando sia possibile, abbia ottenuto la prescritta dispensa.
Tali impedimenti sono
1\Età
Secondo il can. 1083,1, per contrarre matrimonio, l’uomo deve aver raggiunto l’età minima di 16 anni, la donna di 14. Si tratta di una nullità insanabile.
2\Impotenza
Deve trattarsi di una incapacità a realizzare il coito (can. 1084.1). Per determinare la nullità del matrimonio, l'impotenza deve essere certa, antecedente, perpetua, assoluta o relativa .
3\Vincolo di precedente matrimonio(can. 1085)
4\Disparità di culto(can. 1086)
è il matrimonio tra un battezzato e un non battezzato ( ma è dispensabile)
5\Ordine sacerdotale(can. 1087)
Ovvero lo stato clericale. Ha il suo fondamento nel celibato ecclesiastico. E’ dispensabile dal Pontefice.
6\Voto o professione religiosa(can. 1088)
l'avere fatto voto pubblico perpetuo di castità in un istituto religioso. E’ dispensabile dal Pontefice.
7\Il ratto
L’impedimento tutela la libertà di consenso della donna.
Sussiste quando si rapisce o si trattiene una donna presso di sè, con l’intenzione di contrarre matrimonio. L’impedimento è dispensabile, e quindi il matrimonio tra il rapitore e la rapita può aver luogo, a condizione che la rapita, separata dal rapitore e posta in luogo sicuro e libero, scelga spontaneamente il matrimonio.
8\Crimen
L'impedimentum criminis, previsto dal can. 1090, contempla due diverse fattispecie: riguarda chi, allo scopo di contrarre matrimonio con una persona, uccide (anche a mezzo di sicario) il coniuge proprio o dell’altro; oppure coloro che cooperano fisicamente o moralmente all'uccisione. La Santa Sede può concedere la dispensa, rarissima in caso di omicidio pubblico.
Parentela
9\La consanguineità (can. 1091): riguarda la linea retta e collaterale entro il quarto grado.
L’affinità (can. 1092), il vincolo di un coniuge con i consanguinei in linea retta dell’altro.
La pubblica onestà (impedimentum publicae honestatis) (can. 1093) sorge tra una persona e i consanguinei in linea retta dell'altra, a seguito di un matrimonio invalido o di un concubinato pubblico o notorio;
La parentela legale (can. 1094) sorge a seguito di adozione, in linea retta, oppure in secondo grado della linea collaterale.


IL CONSENSO NEL CODICE DI DIRITTO CANONICO
Il codice di diritto canonico disciplina il consenso matrimoniale (e quindi regola anche le ipotesi di vizio del consenso) nei canoni 1095-1107.

IL CONSENSO MATRIMONIALE
Il consenso delle parti rappresenta il requisito fondamentale del matrimonio canonico.
Il canone 1057 & 1 del codice di diritto canonico specifica che "Il matrimonio è costituito con il consenso delle parti legittimamente manifestato tra persone giuridicamente capaci. Nessuna potestà umana può supplire detto consenso".
Se manca il consenso, seppure apparentemente manifestato, viene a mancare lo stesso matrimonio, la cui causa efficiente è appunto costituita dal consenso delle parti.

L'OGGETTO DEL CONSENSO
Deve essere diretto alla costituzione di una comunione di vita, "per sua natura ordinata al bene dei coniugi ed alla procreazione ed educazione della prole" (come prevede il can. 1055 &1).
I contraenti devono almeno sapere che il matrimonio è un consorzio permanente tra uomo e donna, ordinato alla procreazione della prole, mediante la cooperazione sessuale tra i coniugi, come previsto dal can.1096& 1 del codice di diritto canonico: l'ignoranza su tali elementi non si presume dopo la pubertà (can. 1096 & 2).

LA MANCANZA DEL CONSENSO PER INCAPACITA’
Le parti devono prestare un valido consenso matrimoniale.
Requisito essenziale per la validità del consenso, è che provenga da una persona capace di intendere e di volere.
Il can. 1095 distingue tre diverse ipotesi in cui il soggetto contraente appare incapace di contrarre matrimonio:

1\per mancanza di un sufficiente uso della ragione:
Si tratta di un difetto che può dipendere da molte ragioni, permanenti come l’infermità di mente e le psicosi, oppure transitorie come l’ipnosi, l’alcoolismo o l’uso di droghe.

2\per un grave difetto di discrezione del giudizio relativamente ai diritti e ai doveri matrimoniali essenziali da dare ed accettare reciprocamente.
Riguarda le personalità caratterizzate da nevrosi gravi e psicopatie, come gli isterici, nevrastenici, paranoici, psiconevrotici, ansiosi, oppure da immaturità psichica e dalla mancanza del senso della realtà,. Le manifestazioni di questi soggetti sono i disturbi psicomotori e le turbe del comportamento.

3\ per l’incapacità di assumere le obbligazioni essenziali del matrimonio, per cause di natura psichica
Mentre le prime due ipotesi riguardano l’atto soggettivo del consenso, e cioè il fattore intellettivo che risulta alterato, questa ipotesi riguarda l’incapacità di assumere l’oggetto del consenso e quindi l’impossibilità di adempiere l’obbligo che deve essere assunto. Si deve trattare di una incapacità perpetua ed assoluta, collegata a situazioni di carattere psichico: tra gli esempi, in generale gli aspetti caratteriali e in particolare l’immaturità psichica, le personalità border-line, i maniaci, le anomalie psicosessuali come l’omosessualità, il transessualismo, la ninfomania, il narcisismo, il feticismo e le perversioni psicosessuali: insomma riguarda tutte quelle persone incapaci di stabilire un rapporto interpersonale a fine matrimoniale.
Tale incapacità rende invalido il matrimonio perché il soggetto non è capace di assumere gli obblighi matrimoniali, e quindi anche nell’ipotesi che detto soggetto abbia avuto la discrezione di giudizio sufficiente per un valido consenso.
L’incapacità deve essere antecedente al matrimonio e perpetua.

LA SIMULAZIONE DEL CONSENSO
Il can. 1101 disciplina la simulazione del consenso.
Si tratta dei casi in cui la manifestazione esterna (ed apparente) del consenso non corrisponde alla volontà interna.


Il codice di dritto canonico presume che il consenso interno sia corrispondente alle parole o ai gesti usati nella celebrazione, ma si tratta di una presunzione semplice, che viene superata dalla prova contraria.
La simulazione può essere bilaterale, e quindi concordata, oppure unilaterale.
In entrambi i casi presuppone UN ATTO POSITIVO DI VOLONTA’ espresso in foro esterno.
Perciò la simulazione unilaterale non può essere confusa con la riserva mentale, che rimane un atto interno, non portato all’esterno.
Nel caso in cui un coniuge abbia effettuato una riserva mentale, limitata all’interno del proprio animo, ancorchè il matrimonio sia nullo in foro interno, l’ordinamento canonico non potrebbe mai dichiararne la nullità, per mancanza di prove.

Il can. 1101 distingue le due ipotesi di simulazione totale o parziale del consenso.
Dal punto di vista teorico si tratta di una distinzione abbastanza semplice:. “Nella simulazione totale manca la volontà di compiere il matrimonio, mentre nella simulazione parziale tale volontà c’è anche se tale da essere per così dire contraddittoria con se stessa e finisca per mancare come vera e propria volontà matrimoniale” (Giacchi)
Dal punto di vista pratico, la conseguenza è sempre la stessa: in caso di simulazione, totale o parziale che sia, il matrimonio è nullo. La parte anche se esprime all’esterno un consenso, non ha l’animo di obbligarsi.
Dalla simulazione totale o parziale va distinta la diversa ipotesi in cui una o entrambe le parti esprimano il consenso al matrimonio ed alle sue caratteristiche essenziali, avendo però la semplice intenzione di non adempiere in futuro se ne capiterà l’occasione, agli obblighi assunti, in particolare quello della fedeltà.
In tale caso, l’intenzione non riguarda la formazione del consenso, ma l’esecuzione, e non incide quindi sulla validità del matrimonio.
Come anche nel caso in cui venga espresso il consenso sullo scambio dei corpi ai fini degli atti di per sé adatti alla procreazione, ma poi nella pratica, per i più svariati motivi, si posticipi nel tempo la possibilità di mettere al mondo figli, ricorrendo a mezzi contraccettivi. Anche in tale caso, si avrebbe un errato uso del diritto (e corrispondenti obblighi), non incidente però sulla formazione del consenso.

La simulazione totale avviene quando una parte con atto positivo di volontà esclude lo stesso matrimonio..
Nella casistica, va fatto riferimento al soggetto che si sposa esclusivamente per un fine diverso dal matrimonio, escludendo espressamente il consortium di tutta la vita con l’altro, è il caso, ad esempio, del matrimonio contratto per evitare il servizio militare.
Si può anche simulare a causa di una particolare perversione d’animo del contraente, che esclude positivamente la dignità sacramentale del matrimonio tra cristiani.
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La simulazione parziale avviene quando una parte, sebbene voglia il matrimonio, escluda uno o più dei Bona matrimonii e cioè il bonum prolis, il bonum fidei o il bonum sacramenti.
L’ESCLUSIONE DEL BONUM PROLIS comporta l’esclusione del diritto agli atti coniugali, temporaneamente o per sempre.
Chi esclude tale diritto, deve concepire i rapporti sessuali sempre con l’uso di contraccettivi o simili, o comunque deve sottrarsi agli atti coniugali idonei alla procreazione.
Non viene meno tale vizio nel caso di nascita di prole avvenuta per errore, o eventualmente in stato di ubriachezza.
Le cause dell’esclusione sono le più varie: normalmente sono date dal desiderio di vivere una vita libera, dalla mancanza di amore verso l’altra parte o dal desiderio di non legarsi per tutta la vita, all’avversione verso i bambini, oppure dal timore della nascita di un figlio deforme.
L’ESCLUSIONE DEL BONUM FIDEI Comporta la negazione con atto positivo di volontà del diritto esclusivo agli atti coniugali.
Deve essere escluso l’obbligo della fedeltà: il comportamento successivo al matrimonio (ad esempio con varie relazioni extraconiugali) non costituisce prova di tale esclusione.
Tra le cause dell’esclusione citiamo la presenza al momento del matrimonio di una relazione con altro/i partner/s (magari presente/i alla celebrazione) al/ai quale/i non si intende rinunciare, per mancanza di amore verso l’altro coniuge, oppure perché si considera il libertinaggio come un diritto irrinunciabile.
L’ESCLUSIONE DEL BONUM SACRAMENTI
Si tratta dell’esclusione dell’indissolubilità, che costituisce una proprietà essenziale del matrimonio.
Se un soggetto con atto positivo di volontà vuole contrarre un matrimonio dissolubile, contrae un matrimonio nullo.
Poichè l’indissolubilità attiene alla stessa essenza del matrimonio, al contrario delle ipotesi sopra esaminate, relative agli altri Bona, nell’esclusione dell’indissolubilità non si può distinguere tra l’obbligo ed il suo adempimento, il suo uso cioè non conforme al diritto scambiato.
I casi di esclusione dell’indissolubilità sono generalmente un matrimonio di prova, oppure il riservarsi la possibilità di divorziare, in caso di fallimento del matrimonio.
Tra le cause dell’esclusione, ricordiamo: una concezione narcisistica della vita, oppure una visione molto laica del matrimonio.

Tra le cause dell’esclusione di tutti i Bona considerati, si accompagna quasi sempre la previsione della cattiva riuscita del matrimonio e la mancanza di amore verso l’altra parte.

ESCLUSIONE DELLA DIGNITA’ SACRAMENTALE
Si contrae matrimonio nullo se viene positivamente esclusa la dignità sacramentale, ossia l’esplicito e formale rifiuto della dottrina della Chiesa in relazione alla sacramentalità del matrimonio.

IL MATRIMONIO SOTTO CONDIZIONE
Non si può contrarre validamente il matrimonio con una condizione futura, una condizione cioè apposta relativamente ad un evento futuro e incerto, al quale la persona abbia voluto legare, con atto positivo di volontà, la validità del matrimonio.
Alcuni esempi: “il matrimonio che oggi celebriamo avrà valore se erediterai da tuo padre un immobile” oppure “Il matrimonio sarà valido se conseguirai la laurea”.
Se si riuscirà a provare l’apposizione della condizione in epoca antecedente alla celebrazione, il matrimonio verrà dichiarato nullo.

Il matrimonio celebrato sotto condizione presente o passata sarà invece valido o no a seconda che la condizione si verifichi o meno.
Ad esempio: “il matrimonio sarà valido solo se sei vergine”.

LA VIOLENZA : LA FORZA FISICA
E’ una costrizione materiale che toglie la volontà.
L’esempio classico è quello di far esprimere il consenso matrimoniale con una pistola puntata contro.
Ovviamente tale comportamento violento toglie ogni libertà di consenso.

IL TIMORE : IL TURBAMENTO DELL’ANIMO
Si tratta di una pressione psicologica, una coazione morale, per liberarsi dalla quale una persona è costretta a scegliere il matrimonio.
Pertanto sussiste un consenso matrimoniale, che viene dato appunto per liberarsi dal timore, ma la volontà non è libera.
Il can. 1103 prevede espressamente la necessità del concomitante concorso di quattro requisiti, ai fini della nullità del matrimonio.
Il timore deve insomma essere
GRAVE
PROVENIENTE DALL’ESTERNO
ANCHE SENZA RIGUARDARE IL MATRIMONIO
SENZA CHE SI POSSA TROVARE ALTRA SOLUZIONE

Vizi del consenso
Ricapitolando:
i vizi del consenso, secondo la normativa positiva prevista dal codice di diritto canonico, che si riferisce alle seguenti ipotesi
-- la mancanza di un sufficiente uso della ragione;
.. il grave difetto di discrezione del giudizio circa i diritti e doveri matrimoniali;
-- l'impossibilità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio per cause di natura psichica;
-- l'ignoranza sull'essenza del matrimonio; o
-- l'errore sulla persona o su una qualità essenziale e sostanziale del coniuge;
-- l'errore, indotto con inganno (dolo) su una qualità dell'altra parte che per sua natura può turbare in modo grave la comunione della vita coniugale;
-- l 'errore di diritto sulle proprietà essenziali del matrimonio o sulla sua dignità sacramentale, ma esclusivamente nel caso in cui determini la volontà
-- l'esclusione del matrimonio oppure di una delle sue finalità essenziali (la fedeltà, l'indissolubilità del vincolo e la procreazione)
-- il matrimonio sotto condizione futura;
-- la violenza fisica ed il timore grave provocato dall'esterno.

Vizi di forma
Ricordiamo che gli sposi sono i soggetti della celebrazione. Il sacerdote che assiste e recepisce le loro volontà è solo un teste qualificato.
Il diritto canonico prevede varie forme di celebrazione del matrimonio (tra quelle in via eccezionale, elenchiamo il matrimonio per procura; il matrimonio segreto; il matrimonio in urgente pericolo di morte; il matrimonio davanti ai soli testimoni, in caso di pericolo non urgente di morte oppure se vi è la impossibilità della presenza dell’ecclesiastico competente per almeno un mese).
Ordinariamente, perché il matrimonio sia valido, deve essere celebrato davanti al Vescovo competente per territorio, oppure davanti al parroco, nel suo territorio, o ad un sacerdote da questi delegato, alla presenza di due testimoni.
In caso di mancanza di delega preventiva, il matrimonio è nullo.

EFFETTI
La dichiarazione di nullità del matrimonio canonico inficia la validità di tale matrimonio sin dalla sua origine e cancella il vincolo coniugale come se non fosse mai esistito (con il divorzio invece viene dichiarato lo scioglimento degli effetti civili di un matrimonio valido, sia esso religioso o civile).
La pronuncia definitiva del tribunale ecclesiastico viene trasmessa al Tribunale della Signatura Apostolica che ai fini del riconoscimento ne cura la trasmissione alla competente Corte d'Appello.
La Corte d'Appello pronuncia l'efficacia in Italia della sentenza dichiarativa della nullità del matrimonio, che verrà annotata presso i registri dello stato civile.
La sentenza ecclesiastica di nullità, resa esecutiva con la delibazione, consente di celebrare un nuovo matrimonio in chiesa avente effetti civili.

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venerdì 13 marzo 2009

Cass. Sent 3276/2009 Lavoro - subordinato a tempo determinato

LAVORO SUBORDINATO - A TEMPO DETERMINATO - RISOLUZIONE ANTICIPATA Il rapporto di lavoro a tempo determinato, al di fuori del recesso per giusta causa ex art. 2119 cod. civ., può essere risolto anticipatamente non per giustificato motivo oggettivo, ai sensi dell'art. 3 della legge 15 luglio 1966 n. 603, ma solo se ricorrono le ipotesi di risoluzione del contratto previste dagli art. 1453 ss. cod. civ. con la conseguenza che, qualora il datore di lavoro proceda ad una riorganizzazione del proprio assetto produttivo, non può avvalersi di tale circostanza per risolvere in anticipo un contratto di lavoro a tempo determinato.

Cass. Sent 1547/2009 Condominio: parcheggio

Se il regolamento condominiale non lo preclude esplicitamente è possibile utilizzare il resède comune a parcheggio temporaneo delle autovetture dei condomini con le limitazioni previste per consentire l'accesso agli esercizi commerciali ed artigianali posti al piano terra dell'edificio condominiale, perchè un tale divieto non si può ricavare automaticamente dal disposto dall'art. 1102 c.c..

Cass. Sent. 5001/2009 Ingiuste misure cautelari

MISURE CAUTELARI – RIPARAZIONE PER INGIUSTA DETENZIONE – APPLICAZIONE PROVVISORIA DI MISURE DI SICUREZZA – AMMISSIBILITA’ La Corte ha per la prima volta ritenuto ammissibile la richiesta di riparazione per la ingiusta detenzione in relazione alla restrizione della libertà indebitamente sofferta per l’applicazione provvisoria della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario.

Cass. 6266/2009 Penale: termini processuali, ineffica

TERMINI PROCESSUALI – RESTITUZIONE NEL TERMINE PER IMPUGNARE – INEFFICACIA DELLE MISURE COERCITIVE - ESCLUSIONE La pronuncia afferma che, nel caso di provvedimento di restituzione dell’imputato nel termine per proporre impugnazione ai sensi dell’art.175 cod. proc. pen., la “scarcerazione” dell’imputato detenuto conseguente a tale decisione, di cui al comma settimo, presuppone che sia stata inflitta condanna a pena detentiva e che l’imputato si trovi detenuto in esecuzione del giudicato caducato dalla restituzione; resta conseguentemente impregiudicata, secondo la Corte, l’efficacia delle eventuali misure cautelari già poste a carico dell’imputato al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna e nuovamente operative per effetto del riacquisto dello status di imputato a seguito della intervenuta restituzione nel termine.


Cass. Sent 4829/2009: Spese giudiziali - condanna colpa grave

PROCESSO CIVILE – SPESE GIUDIZIALI – CONDANNA PER COLPA GRAVE E’ stata inflitta alla parte ricorrente, soccombente nel giudizio di cassazione, la condanna per responsabilità aggravata, così come previsto nell’art. 385, quarto comma cod. proc. civ., introdotto dalla L.n. 40 del 2006, per avere omesso negligentemente la formulazione dei quesiti di diritto ed essersi limitato a riproporre le questioni di merito precedentemente dedotte, senza cogliere le “rationes decidendi” e reiterando censure del tutto generiche ed inidonee a evidenziare profili di erroneità della sentenza impugnata

mercoledì 11 marzo 2009

Consulenza: Recupero Credito

Il Decreto Ingiuntivo è un provvedimento emesso dal Giudice su ricorso diella parte, con il quale si ordina ad un soggetto (colui contro il quale il Decreto Ingiuntivo è chiesto) di pagare una data somma ad un altro (colui che chiede l’emissione del Decreto Ingiuntivo).

Funzione del Decreto Ingiuntivo è proprio quella di costituire titolo per dare corso al PROCEDIMENTO DI ESECUZIONE FORZATA.

Se ne potranno avvalere coloro che vanno creditori di una somma liquida di denaro (cioè già determinata nel suo ammontare) o della consegna di una quantità determinata di beni, ovvero della consegna di un bene determinato nei confronti di un dato soggetto.

Perché il Giudice conceda il Decreto Ingiuntivo chi lo richiede deve dare del suo credito prova scritta (tali sono, ad esempio: promesse di pagamento provenienti dal debitore, telegrammi, estratti autentici delle scritture contabili).

Il ricorso per Decreto Ingiuntivo dev’essere presentato al Giudice competente, Tribunale o Giudice di Pace, a seconda che il credito per cui si agisce sia o meno di valore superiore agli € 2.500,00.
Unitamente al ricorso deve depositarsi la documentazione comprovante l’esistenza del credito.
Il Giudice, valutato lo scritto e le prove, potrà decidere di emettere il Decreto Ingiunzione ovvero rigettare la richiesta o sospenderla chiedendo ulteriore documentazione.
Emesso il Decreto Ingiuntivo, esso dovrà essere notificato al debitore a cura del ricorrente.

Al debitore è data facoltà di fare opposizione al decreto, entro 40 giorni dalla ricezione di esso. Con l’opposizione il debitore potrà contestare le affermazioni del presunto creditore, spiegando perché ritiene di non essere obbligato nei suoi confronti.
L’opposizione va fatta con atto di citazione a comparire avanti al Tribunale (o Giudice di Pace nei casi di sua competenza), indicando le ragioni per cui si ritiene che il Decreto Ingiuntivo non sia stato validamente emesso, ovvero la somma non sia dovuta a chi erroneamente si afferma creditore. Segue un procedimento ordinario.

Per ottenere Decreto Ingiuntivo sono sufficienti pochi giorni, al massimo qualche settimana.
Chiaramente, se l’altra parte si oppone, iniziando un procedimento ordinario avanti al Tribunale (o Giudice di Pace nei casi di sua competenza) i tempi saranno più lunghi.
Si precisa però che in alcuni casi sia all’inizio, quando il Giudice emette il Decreto Ingiuntivo, sia nel corso del successivo procedimento di opposizione, al ricorrere di determinati presupposti, previsti dalla legge, sarà possibile ottenere la provvisoria esecutività del Decreto Ingiuntivo. Provvisoria esecutività significa che il decreto, ancorché opposto ovvero ancorché non siano decorsi i 40 giorni per l’opposizione, costituirà valido titolo per iniziare l’esecuzione forzata.

Per il ricorso per Decreto Ingiuntivo la parte deve costituirsi a mezzo di procuratore.

I professionisti di Legal, potranno:

- fornire consulenza preventiva circa l'effettiva possibilità di recuperare il credito

- fornire consulenza preventiva circa l'esistenza dei requisiti per proporre opposizione

Una volta valutata la posizione con l'aiuto di un esperto nell'attività di recupero crediti, l'Avvocato incaricato, su richiesta del cliente potrà:

- procedere alla stesura del ricorso per decreto ingiuntivo

- procedere alla stesura dell'atto di citazione in opposizione al Decreto Ingiuntivo

Cosa serve:

per il creditore

- indicazione del credito per cui s’intende procedere (importo od oggetto di esso, data e luogo in cui è sorto);

- ragioni addotte dalla controparte (se vi sono) per rifiutare il pagamento;

- documentazione esistente attestante l’esistenza del credito

per il debitore:

- copia del decreto ingiuntivo

- ogni eventuale contestazione del lavoro per cui si ingiunge il pagamento

- ogni altra prova dell'insussistenza del credito presunto.

Vai a legal per consultare le schede o per richiedere un parere o una consulenza

lunedì 9 marzo 2009

DIRITTO CANONICO: da oggi sul sito Legal

Da oggi sul sito Legal:

Diritto Canonico

L'espressione “diritto canonico” indica generalmente la manifestazione del diritto nella vita della Chiesa cattolica, un diritto che riguarda una grande comunità umana sparsa in tutto il mondo. Quindi questa espressione si può definire anche come “l'insieme delle norme giuridiche, poste o fatte valere dagli organi competenti della Chiesa cattolica, secondo le quali è organizzata e opera essa Chiesa e dalle quali è regolata l'attività dei fedeli, in relazione ai fini che sono propri della Chiesa”. In maniera più sintetica possiamo dire che il diritto canonico è l'ordinamento giuridico della Chiesa cattolica, cioè l'insieme di fattori che danno alla Chiesa la struttura di una società giuridicamente organizzata. Questa seconda definizione contiene la distinzione tra la giuridicità, che è insita nella Chiesa in quanto Corpo di Cristo che si incarna in un corpo sociale, ed il complesso delle norme poste dall'autorità ecclesiastica; distinzione ampiamente sottolineata anche da Giovanni Paolo II. Ma l'espressione “diritto canonico” può avere anche un altro significato: la scienza che studia la Chiesa nella sua dimensione giuridica e l'esperienza giuridica che essa produce, cioè la scienza che indaga il complesso di norme, che reggono la comunità ecclesiale, e le forme ed il funzionamento dell'organizzazione ecclesiastica. Si tratta infatti di una delle branche della scienza giuridica e quindi l'espressione “diritto canonico” si riferisce anche alla disciplina che è oggetto di insegnamento nelle istituzioni formative della Chiesa e nelle università secolari. In conclusione possiamo dire che l'espressione “diritto canonico” può riferirsi al diritto che disciplina la vita della Chiesa cattolica (quindi l'insieme delle regole o norme), l'organizzazione di questa comunità come realtà organizzata (quindi la società, la comunità umana) e la scienza che studia questo diritto (l'interpretazione di queste norme).

In sostanza è costituito da quell’insieme di norme che:

  • creano i rapporti giuridici canonici, i quali riguardano la situazione giuridica dei fedeli all’interno del corpo sociale della Chiesa;
  • regolano tali rapporti;
  • organizzano la gerarchia degli organi componenti la Chiesa e ne regolano l’attività;
  • valutano e regolano i comportamenti dei fedeli.

Nell'ottobre 2008 Papa benedetto XVI ha approvato la nuova legge sulle fonti del diritto per lo stato del Vaticano. La legge, entrata in vigore l'1 gennaio 2009, sostituisce quella del 7 giugno 1929, che fu emanata in seguito alla stipula dei patti lateranensi l'11 febbraio dello stesso anno.

La nuova legge riconosce che l'ordinamento canonico diventerà la prima fonte normativa e il primo criterio di riferimento interpretativo, mentre le leggi italiane e di altri Stati non verranno più recepite automaticamente, ma entreranno nell'ordinamento solo dopo una previa ed esplicita autorizzazione pontificia.

Vai al sito

venerdì 6 marzo 2009

Cass. 4235/2009 - Incidente stradale - danni del trasportato

RISARCIMENTO DEL DANNO INCIDENTE STRADALE - DANNI DEL TRASPORTATO - RESPONSABILITA' DI UNO DEI CONVENUTI NEGATA IN PRIMO GRADO - APPELLO INCIDENTALE SUBORDINATO - NECESSITA' Nel caso in cui il trasportato proponga domanda risarcitoria nei confronti di due soggetti ed il giudice ritenga uno solo di questi responsabile dell'evento dannoso, nel giudizio di appello promosso da quest'ultimo il danneggiato - che intenda ottenere la condanna anche dell'altro convenuto - ha l'onere di proporre appello incidentale subordinato, restando altrimenti irrilevante nei suoi confronti il regime di solidarietà previsto in astratto dalla legge per la corresponsabilità del sinistro.

Cass. S.U. Sent. 3692/2009 - Tributario - Unico ricorso

PROCESSO CIVILE IMPUGNAZIONE UNO ACTU DI SENTENZE DIVERSE EMESSE TRA LE STESSE PARTI SULLA BASE DELLA MEDESIMA RATIO IN PROCESSI DISTINTI AMMISSIBILITA' Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno ritenuto ammissibile - fermi restando gli eventuali obblighi tributari del ricorrente, in relazione al numero dei provvedimenti impugnati - il ricorso cumulativo avverso più sentenze emesse tra le stesse parti sulla base della medesima ratio in procedimenti in materia tributaria formalmente distinti ma attinenti al medesimo rapporto giuridico d'imposta, pur se riferiti a diverse annualità, e dipendenti per intero dalla soluzione di una identica questione di diritto comune a tutte le cause e in ipotesi suscettibile (v. Cass. sez. un. 13916/06) di dar vita ad un giudicato rilevabile d'ufficio in tutte le cause relative al medesimo rapporto d'imposta.

Cass. Sent 3818/2009 - Impugnazioni Civili - Luogo di notificazione

IMPUGNAZIONI CIVILI - IMPUGNAZIONI IN GENERALE - NOTIFICAZIONE - DELL'ATTO DI IMPUGNAZIONE - LUOGO DI NOTIFICAZIONE - PRESSO IL PROCURATORE COSTITUITO Le Sezioni Unite civili, in tema di impugnazione, nel considerare che la notifica al procuratore costituito o domiciliatario che eserciti la sua attività nel circondario di assegnazione, deve essere effettuata presso il domicilio effettivo, previo riscontro, da parte del notificante, delle risultanze dell'albo professionale, hanno ritenuto che, ove la stessa, nonostante la corretta indicazione del domicilio, abbia avuto esito negativo per caso fortuito o forza maggiore (per l'omessa comunicazione del mutamento del domicilio o per il ritardo della sua annotazione ovvero per la morte del procuratore o, comunque, per altro fatto non imputabile al richiedente attestato dall'ufficiale giudiziario), il procedimento notificatorio, che si trova ancora nella fase perfezionativa per il notificante, può essere riattivato e concluso, anche dopo il decorso dei relativi termini, mediante istanza al giudice ad quem, corredata dall'attestazione dell'omessa notifica, di fissazione di un termine perentorio per il completamento della notificazione ovvero per la rinnovazione dell'impugnazione.

Cass 4493/2005 - Danno Morale per la perdita di un animale domestico

La decisione n. 4493, depositata lo scorso 25 febbraio ha confermato quanto aveva deciso il giudice di pace su una vicenda giudiziaria tra una struttura sanitaria specializzata in animali e il proprietario della bestia. Dalle dichiarazione degli interessati era emerso che la clinica si era comportata in maniera negligente dal momento che l'unico intervento medico che risultava eseguito nel corso della degenza era una fatale trasfusione di sangue. La trasfusione infatti era stata fatta senza prima accertarsi sulle condizioni dell'animale donatore, che dopo alcuni giorni dal prelievo era deceduto, perché affetto da una malattia ematica. A distanza di poco tempo anche il gatto era peggiorato fino a morire quando era ancora ricoverato in clinica.

La Corte di Cassazione, insomma allarga un principio(peraltro non acora riconosciuto dalla dottrina maggioritaria) secondo cui, laddove il proprietario dell’animale riesca a provare(con perizie mediche-psicologiche)di aver patito un “quid pluris” rispetto ad un normale“dolore per la perdita del proprio animale”, in modo tale da compromettere la propria salute psichica,potrà ottenere un risarcimento del danno non solo corrispondente al valore economico dell’animale medesimo.

mercoledì 4 marzo 2009

Consulenza On Line : CONDOMINIO

Legal.Affinati.com
può aiutarVi sia fornendo Consulenze - ad amministratori di condominio, proprietari ed affittuari o titolari di diverso diritto di godimento sull’immobile - al fine di individuare su chi incomba l’obbligo di pagamento delle spese nonché porre in essere tutto quanto necessario al fine della tutela del diritto dell’Utente, sia attraverso la redazione di LETTERE DI DIFFIDA in nome e per conto dell’Utente ovvero del legale e fornendo la consequenziale assistenza in fase stragiudiziale, sia mediante la redazione di ATTI GIURIDICI e la susseguente assistenza nel procedimento.
Laddove si tratti di recuperare le spese sostenute e non pagate, dopo un’iniziale CONSULENZA circa l’effettiva spettanza dell’obbligo al soggetto che se ne ritiene destinatario, sarà possibile procedere al recupero delle somme mediante le procedure di RECUPERO CREDITI.

L’IMPUGNAZIONE della DELIBERA ASSEMBLEARE

Per la gestione delle parti comuni e la regolamentazione dei rapporti tra i vari soggetti che fanno parte del condominio è previsto dalla legge un meccanismo tale da garantire la partecipazione di tutti alle decisioni e l’assunzione di esse soltanto all’esito della verifica della volontà di tutti o parte dei condomini alla loro adozione.

A tal fine, il Codice Civile prescrive che per l’assunzione delle decisioni che interessino le parti comuni del Condominio siano indette apposite riunioni tra i condomini (assemblea condominiale), delle quali deve essere fatto avviso a tutti i condomini. Delle delibere prese in tali assemblee verrà redatto idoneo verbale, ma esso potrà, anche essere:

* DELIBERA ANNULLABILE

il ricorso va presentato nel termine di 30 giorni decorrenti dalla data della deliberazione per il condomino presente ma dissenziente e dalla data della comunicazione per il condomino assente. A tale termine peraltro si applica la “sospensione feriale” dal primo agosto al 15 settembre di ogni anno.
Sono esempi di delibere annullabili, secondo la giurisprudenza:
- delibera con vizi relativi alla valida costituzione dell’assemblea;
- delibera adottata con maggioranza inferiore a quella legale od a quella prevista dal regolamento condominiale;
- delibera affetta da vizi formali in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari attinenti al procedimento di convocazione o formazione dell’assemblea;
- delibere che violano norme richiedenti particolari maggioranze

* DELIBERA NULLA

può essere impugnata senza limiti di tempo da chiunque vi abbia interesse, ovverosia da un qualsiasi condomino, ancorché abbia espresso voto favorevole a suo tempo voto favorevole alla delibera stessa.
Sono esempi di delibere nulle, secondo la giurisprudenza:
- delibera che accolla oneri di spesa in capo al singolo condomino per spese di lite, quando questi abbia ritualmente manifestato il proprio dissenso rispetto a detta lite
- delibera con oggetto impossibile od illecito, delibera che non rientra nella competenza dell’assemblea; delibera che incide su diritti individuali sulle cose o diritti comuni ovvero sulla proprietà esclusiva di ciascun condomino; delibere invalide in relazione all’oggetto

Con competenza specifica in materia condominiale vi verrà fornita CONSULENZA circa l’impugnabilità o meno di una delibera assembleare ed i termini dell’eventuale impugnazione sia redigendo gli ATTI GIURIDICI necessari per instaurare o resistere nel relativo procedimento avanti all’Autorità Giudiziaria competente ovvero laddove necessario assistervi nel corso del procedimento medesimo.

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AmministrazioniAC

lunedì 2 marzo 2009

Speciale - Assicurazione per gli infortuni domestici

Campagna 2009 Promossa dall'INAIL

Chi si deve e si può assicurare
Sono obbligati ad assicurarsi coloro, in età compresa tra i 18 ed i 65 anni, che svolgono in via non occasionale, gratuitamente e senza vincolo di subordinazione, lavoro finalizzato alle cure della propria famiglia e dell’ambiente in cui si dimora.
Sono esclusi coloro che svolgono altra attività che comporti l’iscrizione a forme obbligatorie di previdenza sociale.

Adempimenti (Come ci si assicura)

In caso di prima iscrizione
E’ necessario:
a) ritirare il bollettino di pagamento (intestato ad INAIL Assicurazione Infortuni Domestici, P.le Pastore, 6 - 00144 Roma) presso gli Uffici Postali, le Sedi INAIL, le Associazioni di categoria (Donne Europee Federcasalinghe, Moica e Scale Ugl). Compilare il bollettino facendo attenzione ad inserire esattamente i dati e soprattutto il codice fiscale.
b) versare l'importo di € 12,91 presso gli uffici Postali alla data di maturazione dei requisiti assicurativi.
Tale importo (o premio) non è frazionabile su base mensile, ed è deducibile ai fini fiscali.

Per rinnovare iscrizione
In caso di rinnovo dell’iscrizione coloro che si sono già iscritti negli anni passati riceveranno, entro la fine di ogni anno, una lettera dell’INAIL con il bollettino precompilato contenente anche i dati dell’assicurato e l’importo da versare entro il 31 gennaio.
Coloro che, per eventuali disguidi, non dovessero ricevere la suddetta documentazione a domicilio, dovrano utilizzare lo specifico bollettino di pagamento reperibile presso gli Uffici postali, le Sedi INAIL, le Associazioni di categoria e Patronati.

Pagamento del premio online
Da gennaio 2009 è possibile effettuare il pagamento del premio assicurativo online, per la prima iscrizione e per il rinnovo, con carta di credito Visa o Mastercard, carta prepagata Postepay o conto Bancoposta.

Soggetti che non devono pagare il premio
L’inail sul proprio sito ricorda che il premio è a carico dello Stato se l'assicurato per l'anno precedente ha un reddito che non supera i 4.648,11 Euro e se appartiene ad un nucleo familiare il cui reddito complessivo non supera i 9.296,22 Euro.
I soggetti per i quali il pagamento del premio è a carico dello Stato :
- in caso di prima iscrizione devono compilare il modulo di autocertificazione che attesti il possesso dei requisiti per l'esonero. Il modello di autocertificazione è anche reperibile presso le Associazioni delle casalinghe, i Patronati, le Sedi INAIL e, una volta compilato, può essere consegnato agli stessi.

- Per gli anni successivi alla prima iscrizione:
- se rientrano nei limiti di reddito restano automaticamente assicurati senza effettuare nessuna comunicazione;
- se superano i limiti di reddito devono pagare il premio di 12,91 euro, entro il 31 gennaio;
- se perdono anche uno solo dei requisiti per l'iscrizione devono chiedere la cancellazione utilizzando l'apposito modello.

Soggetti esonerati dal pagamento del premio
- Reddito complessivo lordo ai fini IRPEF -
Nel reddito complessivo lordo ai fini IRPEF del soggetto assicurabile e del suo nucleo familiare devono essere compresi tutti i redditi posseduti ed in particolare:
1. redditi di lavoro ed assimilati desumibili dal CUD relativo all’anno precedente:
retribuzioni, compensi per collaborazioni coordinate e continuative, pensioni (escluse quelle di guerra e comprese le pensioni privilegiate ordinarie);
2. redditi dei fabbricati, compresa l’abitazione principale (c.d. «prima casa»), anche se la relativa rendita catastale viene poi dedotta totalmente dal reddito lordo;
3. altri redditi (di terreni, di lavoro autonomo, di capitale, d’impresa e diversi) percepiti nell’anno precedente dal soggetto assicurabile, dal coniuge e dagli altri membri del nucleo familiare, conviventi, anche se non fiscalmente a carico. Il soggetto che possiede redditi scaturenti da attività che comportino l’iscrizione presso forme obbligatorie di previdenza sociale non è soggetto all’obbligo di assicurazione;
4. in caso di assicurato separato o divorziato, l’assegno periodico al coniuge, soltanto per la quota stabilita dal giudice relativamente al mantenimento del coniuge stesso, con esclusione, quindi, di quella relativa al mantenimento dei figli; inoltre, la casa ex residenza coniugale, nel caso in cui il soggetto all’obbligo assicurativo divorziato, separando o separato consensualmente o giudizialmente sia assegnatario dell’abitazione con provvedimento del Tribunale;
5. indennità per inabilità temporanea assoluta erogata dall’INAIL;
6. integrazione della rendita diretta erogata dall’INAIL.

Non concorrono alla formazione del reddito complessivo lordo imponibile ai fini dell’IRPEF, tra l’altro:
1. rendita diretta erogata dall’INAIL per inabilità permanente per eventi antecedenti al 25 luglio 2000;
2. rendita ai superstiti erogata dall’INAIL;
3. rendita di «passaggio» per silicosi ed asbestosi erogata dall’INAIL;
4. assegno erogato dall’INAIL per assistenza personale continuativa;
5. assegno di incollocabilità erogato dall’INAIL;
6. speciale assegno continuativo mensile erogato dall’INAIL;
7. erogazione integrativa INAIL di fine anno;
8. rendita diretta erogata dall’INAIL a seguito di infortunio domestico;
9. indennizzi in capitale o in rendita diretta erogati dall’INAIL per invalidità permanente per eventi successivi al 25 luglio 2000;
10. redditi soggetti a tassazione separata (TFR, competenze arretrate, ecc.);
11. pensioni di guerra, elargizioni a vittime di terrorismo e criminalità;
12. indennità di accompagno agli invalidi civili totali e ai ciechi civili assoluti;
13. pensione di invalidità civile;
14. assegni ricevuti dal coniuge per il mantenimento dei figli;
15. redditi soggetti a ritenuta definitiva (ossia a titolo di imposta), come gli interessi sui depositi bancari;
16. redditi soggetti ad imposta sostitutiva, come gli utili da quote di fondi comuni di investimento;
17. assegni familiari e assimilati;
18. la maggiorazione sociale delle pensioni.


L'approfondimento degli esperti:


In Italia, la L. 3.12.1999, n. 493 (norme per la tutela della salute nelle abitazioni ed istituzione dell'assicurazione contro gli infortuni domestici), entrata in vigore il 1.3.2001, cui sono seguiti i relativi regolamenti di attuazione (entrambi emanati con D.M. 15.9.2000), è stata definita una pietra miliare in Europa, in quanto per la prima volta è stato riconosciuto il valore sociale del lavoro prestato in casa per la cura del nucleo familiare

L'emanazione della legge (definita anche "assicurazione delle casalinghe"), è stata agevolata dalla Corte Costituzionale che nel 1995 ha affermato l'equiparabilità del lavoro eseguito nell'ambito familiare, con il suo valore sociale ed economico, alle altre forme di lavoro, riconoscendo allo stesso diritto di tutela previsto dall'art. 35 Cost.

La legge in esame specifica che la tutela assicurativa ha ad oggetto il solo rischio infortunistico, con esclusione, quindi, della malattie professionali (Stancati, Maggiore tutela anche per il lavoro domestico, in Ambiente e Sicurezza, 2002, 3, 56).
L'art. 7, 4° co., stabilisce che l'assicurazione in esame comprende i casi di infortunio dai quali sia derivata un'inabilità permanente al lavoro non inferiore al 33%, escludendo gli infortuni verificatisi al di fuori del territorio nazionale.
L'art. 1, 1257° co., L. 27.12.2006, n. 296 (disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), come riporta la circ. Inail 28.2.2007, n. 10, ha ridotto la percentuale su indicata di inabilità permanente indennizzabile al 27%.
L'art. 2, 3° co., D.M. 15.9.2000 (modalità di attuazione dell'assicurazione contro gli infortuni in ambito domestico, pubblicato su G.U., 22.9.2000, n. 222) ha precisato che, oltre a quelli suddetti, sono esclusi dalla copertura assicurativa anche quelli conseguenti ad un rischio estraneo al lavoro domestico, nonché quelli derivanti da calamità naturali, crollo degli immobili derivanti da cedimenti strutturali, guerra, insurrezione o tumulti popolari. Prevedeva anche tra le ipotesi di esclusione anche l'infortunio mortale, ma oggi la disposizione è stata abrogata dal D.M. 31.1.2006, che ha previsto la copertura assicurativa anche in caso di eventi letali.

L'art. 3 della legge in esame ha sancito che il Servizio sanitario nazionale debba promuovere a livello territoriale la sicurezza e la salute negli ambienti di civile abitazione, sviluppando un'adeguata azione di informazione e di educazione per la prevenzione delle cause di nocività e degli infortuni.
Il Servizio sanitario nazionale è vincolato in tale funzione dalle linee guida, stabilite con decreto, ai sensi dell'art. 5, 1° co., dal Ministro della sanità, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale, della pubblica amministrazione e per le pari opportunità

L'art. 6, 1° co., lett. b), L. 3.12.1999, n. 493, ribadendo il valore sociale ed economico del lavoro svolto in ambito domestico ed i vantaggi che l'intera collettività trae dallo stesso, si preoccupa di definire tale attività ed il suo ambito: al 1° co., lett. a), qualifica quale «lavoro svolto in ambito domestico» quello svolto nell'«insieme degli immobili di civile abitazione e delle relative pertinenze ove dimora il nucleo familiare dell'assicurato; qualora l'immobile faccia parte di un condominio, l'ambito domestico comprende anche le parti comuni condominiali».

Il nuovo intervento normativo non rappresenta un'assoluta novità, perché si inscrive nella tendenza ad attribuire rilevanza sociale al lavoro effettuato all'interno della famiglia che era già posta alla base di interventi come l'istituzione della «Mutualità pensioni» per le casalinghe operata dalla L. 5.3.1963, n. 389, le cui finalità sono state di fatto sostituite dalla tutela assistenziale fornita dalla successiva L. 30.4.1969, n. 153, istituiva della pensione sociale. Si ricordi anche il più recente D.Lgs. 16.9.1996, n. 565, che, superando il limite del sesso, ha sostituito la «Mutualità pensioni» con un «Fondo di previdenza» per le persone che svolgono «lavori di cura non retribuiti derivanti da responsabilità familiare». Tale espressione, tuttavia, non risulta chiarita dalla legge, che comunque estende la possibilità di iscrizione al Fondo, su base volontaria, ai soggetti che svolgono, senza vincoli di subordinazione, «lavori non retribuiti in relazione a responsabilità familiari», precisando la compatibilità dell'iscrizione con lo svolgimento di lavoro su orario ridotto

L'art. 1, 2° co., D.M. 15.9.2000 definisce nucleo familiare l'insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi la medesima dimora abituale. In base alla norma il nucleo familiare può essere costituito anche da una sola persona.

Ai sensi dell'art. 3, 1° co., D.M. 15.9.2000 (assicurazione contro gli infortuni in ambito domestico. Individuazione dei requisiti delle persone soggette all'obbligo assicurativo), l'Inail, ai fini di individuare le persone soggette all'obbligo dell'assicurazione, si avvale dei dati disponibili presso i servizi comunali di anagrafe e presso l'amministrazione finanziaria.

L'art. 6, 1° co., lett. c), L. 3.12.1999, n. 493 e così l'art. 1, 1° co., D.M. 15.9.2000 stabiliscono quali requisiti per beneficiare dell'assicurazione in esame un'età compresa tra i diciotto ed i sessantacinque anni compiuti (per coloro che matureranno i sessantacinque anni in corso di assicurazione, la stessa sarà valida fino alla successiva scadenza annuale del premio), che svolga il lavoro domestico in via esclusiva senza svolgere altre attività, che comportino l'iscrizione presso forme obbligatorie di previdenza sociale

Nel sistema italiano di riparazione del danno alla persona gli accidenti domestici strettamente connessi allo svolgimento delle attività ordinarie dell'esistenza e spesso imputabili alla casualità ovvero alla disattenzione della stessa vittima, occupavano l'ultimo gradino della scala di rilevanza sociale: il nostro ordinamento, come i più, non appronta per le ipotesi – assunte dai teorici come emblematiche perché espressione del c.d. bathub argument – «della caduta nella vasca da bagno» o «da una scala scivolosa», nessun rimedio di carattere indennitario o nessun meccanismo speciale di "accidents compensation". I danni derivanti da tale tipologia di eventi possono trovare una qualche forma di ristoro solo attraverso il ricorso all'assicurazione volontaria, di fatto lo strumento più diffuso per traslare su alti le conseguenze del danno alla persona, specie dove non riescano ad operare le regole di responsabilità. Evidentemente il legislatore ha reputato non più sufficiente o comunque non più giustificato l'impiego dell'"autoassicurazione" e questo mentre in altri ordinamenti si vanno proprio proclamando i benefici di tale rimedio

Non sono soggetti ad alcun obbligo assicurativo: 1. i lavoratori impegnati in lavori socialmente utili (l.s.u.), borse lavoro, corsi di formazione, tirocini formativi e di orientamento, in quanto svolgono comunque attività assimilata a quella lavorativa prevista dalla legge; 2. coloro che svolgono lavoro part time, orizzontale, verticale o misto, in quanto si tratta sempre di un'attività lavorativa a tempo indeterminato, anche se interrotta, che comporta l'iscrizione presso forme obbligatorie di previdenza sociale.
Né sono soggetti all'obbligo assicurativo in esame i religiosi e le religiose, in quanto non fanno parte di un nucleo familiare, così come definito dal D.M. 15.9.2000.

La denuncia di infortunio domestico non esiste, contrariamente a quanto avviene per tutti gli altri infortuni sul lavoro. La legge, infatti, prevede solo la richiesta di rendita, per cui è sufficiente, nel caso in cui si verifichi un infortunio domestico, rivolgersi ad un ospedale od al proprio medico di famiglia per le consuete prestazioni erogate dal Servizio Sanitario Nazionale, precisando il tipo di infortunio occorso .
La segnalazione all'Inail, quindi, dovrà essere fatta solo a guarigione clinica avvenuta e solo se: 1. il medico ritiene che dall'infortunio sia derivata un'invalidità permanente presumibilmente pari o superiore al 33%; 2. l'interessato è in regola con il pagamento del premio annuo od ha presentato l'autocertificazione attestante l'esonero dal pagamento, in quanto in possesso dei requisiti previsti dalla normativa; 3. l'interessato possedeva i requisiti di assicurabilità anche al momento dell'infortunio

La norma in esame, ripresa poi integralmente dall'art. 3, D.M. 15.9.2000, determina il premio assicurativo in lire 25.000 (oggi euro 12,91) annue, esenti da oneri fiscali, che, ai sensi dell'art. 7, D.M. 15.9.2000 e dell'art. 8, L. 3.12.1999, n. 493, rimane a carico dello Stato in presenza di specifici requisiti: 1. la titolarità di redditi lordi propri non superiori a lire 9.000.000 (oggi euro 4.648,11); 2. l'appartenenza ad un nucleo familiare, il cui reddito complessivo lordo ai fini Irpef non superi lire 18.000.000 (pari ad euro 9.296,22).

L'art. 9, L. 3.12.1999, n. 493, richiamato dall'art. 10, D.M. 15.9.2000, stabilisce che la prestazione consiste in una rendita per inabilità permanente, esente da oneri fiscali, che viene corrisposta con effetto dal primo giorno successivo a quello della cessazione del periodo di inabilità temporanea assoluta, in misura proporzionale all'effettiva entità dell'invalidità medesima, che, comunque, non può essere inferiore al 33% e, dal 1.1.2007, al 27%.
Tale percentuale è stata fissata dall'art. 1, 1257° co., L. 27.12.2006, n. 296 (disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007).
Nella valutazione dei postumi non si tiene conto di invalidità preesistenti se coesistenti.
La prestazione viene calcolata su una retribuzione convenzionale pari alla retribuzione annua minima fiscale per il calcolo delle rendite del settore industriale, rivalutabile ai sensi dell'art. 116, D.P.R. 30.6.1965, n. 1124 e successive modificazioni. Il 3° co. della medesima disposizione, che ritroviamo nell'art. 8, D.M. 15.9.2000, sancisce l'inapplicabilità all'assicurazione in esame del principio di automaticità delle prestazioni.

L'art. 85, D.P.R. 30.6.1965, n. 1124 (d'ora in poi "t.u."), così come modificato dall'art. 7, L. 10.5.1982, n. 251 (norme in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), determina le percentuali di rendita spettanti ai superstiti: a) il 50% al coniuge superstite fino alla morte od a nuovo matrimonio: in tal caso, la somma corrisposta è pari a tre annualità; b) il 20% a ciascun figlio legittimo, naturale o riconosciuto o riconoscibile, ed adottivo, fino al raggiungimento del diciottesimo anno di età ed il 40%, se si tratti di orfani di entrambi i genitori e, nel caso di figli adottivi, siano deceduti anche entrambi gli adottanti. Per i figli viventi a carico del lavoratore infortunato al momento del decesso e che non prestino lavoro retribuito, le quote sono corrisposte fino al raggiungimento del ventunesimo anno di età, se studenti di scuola media o professionale e per tutta la durata nomale del corso, ma non oltre il ventiseiesimo anno di età, se studenti universitari. Se sono superstiti figli inabili al lavoro, la rendita è loro corrisposta finché dura l'inabilità. Giova ricordare che tra i superstiti sono ricompresi, dal giorno della nascita, i figli concepiti alla data dell'infortunio, che, salvo prova contraria, si presumono concepiti entro i trecento giorni da tale data; c) in mancanza di superstiti, il 20% a ciascuno degli ascendenti e dei genitori adottanti se viventi a carico del defunto e fino alla morte; d) in mancanza di superstiti, il 20% a ciascuno dei fratello o sorelle se conviventi con l'infortunato ed a suo carico nei limiti e nelle condizioni stabiliti per i figli. L'art. 85, D.P.R. 30.6.1965, 1124 precisa che sono equiparati ai figli gli altri discendenti viventi a carico del defunto che siano orfani di ambedue i genitori o figli di genitori inabili al lavoro, gli affiliati e gli esposti regolarmente affidati, e sono equiparati agli ascendenti gli affilianti e le persone a cui gli esposti sono regolarmente affidati.
Il 2° co. della medesima disposizione sancisce, inoltre, che per la liquidazione della rendita viene considerata quale retribuzione convenzionale quella annua minima di cui all'art. 9, 1° co., L. 3.12.1999, n. 493.

L'art. 4, L. 3.12.1999, n. 493 ha previsto l'istituzione presso l'Istituto superiore di sanità di un sistema informativo per la raccolta dei dati inerenti gli infortuni in esame, nel rispetto della normativa sulla privacy, sancita dalla L. 31.12.1996, n. 675 e successive modificazioni, allo scopo di: a) valutare ed elaborare i dati medesimi; b) valutare l'efficacia delle misure di prevenzione e di educazione sanitaria poste in opera; c) redigere piani mirati ai rischi più gravi e diffusi per prevenire i fenomeni ed eliminare le cause di nocività; d) redigere una relazione annuale sul numero degli infortuni e sulle loro cause.

Ai sensi dell'art. 10, 3° co., lett. c), L. 3.12.1999, n. 493 ed ai sensi dell'art. 19, D.M. 15.9.2000 l'assicurato che non riconosca fondati i motivi del provvedimento dell'istituto assicuratore inerenti l'obbligo assicurativo, la contribuzione, il diritto alla prestazione, nonché la misura della prestazione stessa, può presentare ricorso al comitato amministratore, tramite la sede dell'Inail che ha emanato il provvedimento, a mezzo di raccomandata con ricevuta di ritorno entro novanta giorni dalla data del provvedimento impugnato, allegando anche gli elementi giustificativi dell'opposizione; decorsi inutilmente centoventi giorni dalla data di presentazione del ricorso, in difetto di riscontro od in caso di riscontro ritenuto insufficiente, gli interessati hanno la facoltà di adire l'autorità giudiziaria, ma la proposizione del gravame non sospende il provvedimento.