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lunedì 29 settembre 2008

Cassazione civ., sez. III, 31/03/2008, n. 8303

Una volta che sia stato stipulato un contratto di locazione di un immobile destinato ad un determinato uso (nella specie attività produttiva), grava sul conduttore l'onere di verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente necessario per lo svolgimento dell'attività per cui è stato locato, anche in relazione al rilascio delle necessarie autorizzazioni amministrative.

CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Sentenza 17 giugno - 29 agosto 2008, n. 21934

V. C., con citazione notificata a mezzo del servizio postale, conveniva in giudizio, dinanzi al Giudice di Pace di Napoli, la R.T.I. spa e la Mediaset spa per sentirle condannare, previa dichiarazione della loro responsabilità, al pagamento della somma di euro 100,00 a titolo di risarcimento danni.

Esponeva l'attore che nel mese di maggio del 2003 si erano svolte le sfide di calcio valide per l'accesso alla finale di Champions League 2002-2003 tra il Milan e l'Inter, nonché tra la Juventus e il Real Madrid.

Organizzatosi con amici per assistere all'incontro di calcio televisivo Milan-Inter del 13 maggio 2003, sin dall'inizio della partita era stato continuamente infastidito e seccato dall'intrusione vocale del telecronista di turno il quale, invece di commentare le azioni di gioco, informava in continuazione i telespettatori che il giovedì successivo agli incontri di calcio sarebbe stato in vendita in tutte le edicole il settimanale sportivo “Controcampo” con il film degli incontri ed altre sorprese attinenti la Champions League.

Rilevava l'istante che tali “spot” non recavano sullo schermo televisivo la scritta “messaggio promozionale”, come previsto dalle normative a tutela dei consumatori, al fine di non ledere la loro libertà negoziale, diritto tutelato dall'art. 41 della Costituzione.

Tale comportamento del cronista palesava una forma di pubblicità occulta, in suo danno,con conseguente alterazione psichica e stress.

Deduceva ancora che tali “spot” pubblicitari erano stati inviati anche durante la partita di calcio del 14 maggio 2003, nonostante i reclami avanzati, nonché durante l'incontro di calcio tra il Milan e la Juventus del 28 maggio 2003.

Instaurato il giudizio, si costituivano le convenute eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice adito, la Mediaset altresì la propria carenza di legittimazione passiva e nel merito entrambe instavano per il rigetto della domanda vertendosi in tema non di pubblicità occulta ma di mera autopromozione.

Con sentenza del 31 marzo 2005 il giudice di pace, rigettate le eccezioni pregiudiziali, accoglieva la domanda attorea condannando le convenute, in solido, al pagamento in favore del C. della somma di euro 100,00, oltre spese del giudizio.

Riteneva quel giudice fondata la domanda di risarcimento danni per pubblicità occulta, osservando come fosse stata violata la delibera AGCOM n. 538/01/CSP, emanata in attuazione della potestà regolamentare concessa dalla Legge n. 249/97, art. 1 comma 6 lettera b) n. 5.

Secondo il giudicante il messaggio in discorso configurava non un'autopromozione, ma un'iniziativa pubblicitaria finalizzata a sollecitare l'acquisto di una rivista di cui si indicava anche il prezzo.

Tale pubblicità aveva determinato un danno “esistenziale” da stress, in quanto il messaggio era stato trasmesso senza seguire le modalità prescritte dalla normativa vigente.

Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione Mediaset spa e RTI spa, sulla base di cinque motivi, il primo ed il quarto attinenti alla giurisdizione.

Non ha spiegato attività difensiva in questa sede l'intimato.

Le ricorrenti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 37 c.p.c. in relazione all'art. 7 D.Lgs. 25 gennaio 1992 n. 74 e successive modificazioni (in particolare art. 1 L. 6 aprile 2005 n. 49, ora art. 26 D.Lgs. n. 206 del 6 settembre 2005 - Codice del Consumo); violazione e falsa applicazione dell'art. 386 c.p.c.. Nonostante la citata normativa stabilisca che spetta all'Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) di presiedere alla “tutela amministrativa e giurisdizionale” contro la pubblicità ingannevole e le sue conseguenze sleali a favore dei soggetti che esercitano un'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e dei consumatori, il giudice “a quo” si era limitato a dichiarare la non fondatezza dell'eccezione delle attuali ricorrenti affermando semplicemente come la domanda avversaria avesse per oggetto la “richiesta di risarcimento danni, per lesione di un diritto soggettivo”.

Ebbene, poiché la reale doglianza espressa da controparte consisteva nella critica rivolta al carattere asseritamente ingannevole del messaggio diffuso dall'emittente televisiva, la valutazione sulla natura pubblicitaria dello stesso e quindi eventualmente sulla presunta sua ingannevolezza o non trasparenza era demandata in via esclusiva all'AGCM, ai sensi dell'art. 7 comma 1 del D.Lgs n. 74/92, ora art. 26 del Codice del consumo, come da precisa scelta del nostro legislatore che, a seguito della libertà lasciata dall'art. 4 della direttiva 84/450/CEE a ciascuno Stato membro di decidere se affidare le competenze in tale materia ad organi giurisdizionali ovvero amministrativi, aveva optato nel senso di sottrarla alla cognizione dell'AGO, fatta salva la deroga, espressamente prevista dalla legge (art. 26 comma 14 D.Lgs. n. 206/2005) per le controversie in materia di concorrenza sleale, a norma dell'art. 2598 c.c., che peraltro non riguardano i consumatori ma le imprese tra loro concorrenti.

Ne conseguiva la correttezza del denunciato difetto di giurisdizione del giudice ordinario.

Il motivo va disatteso, in quanto non pone questione di giurisdizione ai sensi dell'art. 37 c.p.c..

Il D.Lgs. n. 74 del 1992, recante attuazione della direttiva 84/450/CEE come modificata dalla direttiva 97/55/CE in materia di pubblicità ingannevole, al quale occorre far riferimento “ratione temporis”, dispone, all'art. 7, che i concorrenti, i consumatori, le loro associazioni ed organizzazioni, il Ministro dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato, nonché ogni altra Pubblica Amministrazione che ne abbia interesse in relazione ai propri compiti istituzionali, anche su denuncia del pubblico, possono chiedere all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, istituita ai sensi della L. n. 287 del 1990, che siano inibiti gli atti di pubblicità ingannevole (come definita dall'art. 2) o di pubblicità comparativa ritenuta illecita (secondo i criteri di cui all'art. 3 bis), la loro continuazione e che ne siano eliminati gli effetti. L'Autorità, all'esito dell'istruttoria, provvede con decisione motivata, avverso la quale è ammesso ricorso davanti al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva.

La norma prevede quindi una tutela di tipo inibitorio, erogata da una autorità amministrativa, che adotta provvedimenti amministrativi soggetti ad impugnazione davanti al giudice amministrativo. Ed è espressamente fatta salva la giurisdizione del giudice ordinario in materia di concorrenza sleale e, per la pubblicità comparativa, in materia di atti compiuti in violazione della disciplina sul diritto d'autore, del marchio d'impresa protetto, delle denominazioni di origine e altri segni distintivi di imprese, beni e servizi concorrenti.

L'Autorità garante della concorrenza e del mercato non è quindi un organo giurisdizionale, ma una Autorità Amministrativa, sicché non si configura in radice questione di giurisdizione in relazione al giudizio in oggetto, promosso, davanti al giudice ordinario, da un consumatore, per conseguire il risarcimento del danno alla salute da alterazione psichica e stress conseguente al comportamento del cronista nella trasmissione televisiva, facendo valere come elemento costitutivo dell'illecito l'asserita pubblicizzazione di una rivista sportiva.

Ed eguale conclusione vale in ordine alla ritenuta giurisdizione, in alternativa, dell'AGCOM (quarto motivo di ricorso), in considerazione della sua natura non di organo giurisdizionale, ma di Autorità Amministrativa.

Con il secondo motivo si deduce, in riferimento all'art. 360 n.ri 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 100 stesso codice, dell'art. 2697 c.c. in relazione al difetto di legittimazione passiva di Mediaset, nonché omessa motivazione.

Lamentano le ricorrenti che il giudice di pace, omettendo ogni motivazione sul punto, non abbia riconosciuto il difetto di legittimazione passiva di Mediaset spa, non tenuta a subire il giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, in quanto semplice società controllante di RTI che non concorre in alcun modo a determinare modalità o contenuti della programmazione delle reti di titolarità della società controllata.

La censura è fondata e va pertanto accolta.

Come è saldo principio, l'assunto del convenuto circa la sua estraneità al rapporto dedotto in giudizio dà luogo ad una questione che - attenendo al merito e non alla “legitimatio ad causam” - è regolata dagli ordinari criteri sull'onere della prova dettati dall'art. 2697 c.c., sicché spetta all'attore di dimostrare le circostanze relative all'individuazione nel convenuto del soggetto passivo di quel rapporto. Ciò, anche quando la difesa di quest'ultimo non si limiti ad una contestazione generica della pretesa dell'attore, ma si concretizzi nella precisa indicazione del soggetto che si assume essere il vero titolare passivo dell'obbligazione: infatti, una siffatta specificazione non vale a trasformare la difesa in eccezione in senso stretto, con il connesso obbligo di fornire la prova delle relative circostanze di fatto; né in una posizione processuale che si traduca nell'assunzione spontanea dell'“onus probandi”, con esonero della controparte dall'onere sulla stessa gravante a norma dell'art. 2697 c.c. (vedi Cass. n. 3843/94).

Pertanto, contrariamente a quanto statuito dal giudice “a quo”, proprio in ossequio al dettato di questo precetto normativo, non è dato ravvisare alcun evento giuridico che esonerasse il C. dall'onere di dimostrare l'immedesimazione organica tra la società R.T.I. e la Mediaset spa (socia della predetta, di cui deteneva il controllo maggioritario), e che facesse ricadere lo stesso onere sulla convenuta Mediaste che tale immedesimazione aveva contestato.

Ne discende che non avendo l'attuale intimato assolto tale onere, per ciò solo doveva ritenersi dimostrato in causa che l'immedesimazione non sussisteva e, in definitiva, che la controllante Mediaset SPA era un soggetto, avente personalità giuridica distinta ed autonoma rispetto alla controllata R.T.I., che non concorreva in alcun modo a determinare modalità o contenuti della programmazione delle reti di quest'ultima e che non era quindi tenuta a rispondere delle eventuali conseguenze dannose in capo a terzi delle scelte dalla predetta operate in tema di palinsesti.

L'impugnata sentenza va pertanto sul punto cassata senza rinvio, stante il difetto di legittimazione passiva di Mediaset Spa, con la compensazione tra detta società ed il C. delle relative spese dell'intero giudizio, in considerazione della novità della materia trattata.

Con il terzo motivo si denuncia, in riferimento all'art. 360 n. 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'art. 112 stesso codice per mancata osservanza del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

Rileva parte ricorrente che il C. ha richiamato, a fondamento delle proprie argomentazioni in diritto, il testo dell'art. 11 della Legge n. 249/97, cosiddetta legge Maccanico, nonostante questa consti di soli 7 articoli, riproducendo poi alcuni commi contenuti nel disegno di legge n. 1138, presentato al Governo all'inizio della XII legislatura, che non aveva però ricevuto l'approvazione della Camera ed era perciò decaduto.

Ritiene però il Collegio che non sussista il denunciato vizio processuale, giacché gli erronei riferimenti legislativi non comportano violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, avendo correttamente il giudice di pace pronunciato sulla domanda attorea identificandola come avente ad oggetto “il risarcimento dei danni subiti per pubblicità occulta, in dispregio della delibera dell'AGCOM n. 538/01/SP, emanata in attuazione della potestà regolamentare concessa dalla L. n. 249/97 art. 1 comma 6 lett. b n. 5 (rectius n. 4)”.

Con il quinto motivo si deduce,in riferimento all'art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione della legge n. 249/97.

Premesso che a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 206 del 2004 l'ammissibilità dell'impugnazione con ricorso per cassazione della sentenza del giudice di pace pronunciata secondo equità, ove il ricorrente ravvisi una violazione da parte dello stesso giudice dei principi informatori della materia, comporta che il ricorrente medesimo debba individuare il principio che si assume violato e come la regola equitativa, individuata da quel giudice, si ponga in contrasto con tale principio, parte ricorrente, sulla base della normativa statuale e comunitaria, sostiene la liceità della diffusione dell'annuncio di cui è processo, in quanto messaggio di carattere informativo e non “pubblicità” nel senso della direttiva 97/36/CE.

Nulla vi era da rimproverare, ad avviso di parte ricorrente, nella condotta del telecronista, il quale rendeva noto agli spettatori che l'indomani avrebbero trovato sull'edizione speciale di "Controcampo" ulteriori notizie, immagini e commenti relativi all'incontro di calcio cui stavano assistendo e che stava presentando e commentando. Con la diffusione di tali annunci il giornalista non faceva altro che indicare agli spettatori una fonte giornalistica da cui attingere informazioni destinate a completare quelle che, nella concitazione dell'evento trasmesso in diretta, erano esposte necessariamente in forma sintetica e senza alcuna possibilità di approfondimento.

Si cita a tal proposito precedenti dell'AGCOM e dell'AGCM in cui era stata esclusa la natura pubblicitaria del messaggio.

Si assume, inoltre, che l'annuncio fatto durante la telecronaca, in quanto riferito ad un “prodotto collaterale”, ai sensi della disciplina nazionale e comunitaria, non aveva natura di telepromozione, bensì di autopromozione sia sul piano soggettivo, sia su quello oggettivo contenutistico, come confermato dalle due delibere dell'AGCOM n. 27/04/CSP e n. 28/04/CSP del 10 marzo 2004 entrambe affermanti che, di fronte a messaggi pubblicitari quali quelli oggetto di causa “sussist(evano) sicuri elementi di collegamento sotto il profilo dei contenuti, tra il giornale in questione (Controcampo) e l'omonima trasmissione televisiva programmata dall'emittente Italia 1”.

Il motivo non può essere accolto.

Con la sentenza additiva n. 206 del 2004, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità del capoverso dell'art. 113 cod. proc. civ., così come interpretato dalla giurisprudenza, nella parte in cui esclude che il giudice di pace debba osservare i principi informatori della materia.

Nell'attuazione della pronuncia di incostituzionalità i principi informatori della materia sono stati individuati da questa Corte (sent. n. 743 del 2005, n. 12147 del 2006) nei principi ai quali il legislatore si ispira nel porre una determinata regola, i quali differiscono dai principi regolatori della materia che vincolavano il giudice conciliatore poiché, mentre il conciliatore doveva osservare le regole fondamentali del rapporto traendole dal complesso di norme preesistenti con le quali il legislatore lo aveva disciplinato, il giudice di pace non deve osservare una regola equitativa tratta dalla disciplina dettata in concreto, ma deve solo curare che essa non contrasti con i principi cui si è ispirato il legislatore medesimo nel dettare una determinata disciplina. Il rispetto dei principi informatori non vincola perciò il giudice di pace all'osservanza di una regola ricavabile dal sistema, ma costituisce unicamente un limite al giudizio di equità al fine di evitare qualsiasi sconfinamento nell'arbitrio: ne consegue che il ricorso per Cassazione contro le sentenza del giudice di pace deve essere diretto a denunciare non già l'inosservanza di una regola, bensì il superamento di quel limite e pertanto il ricorrente non solo deve indicare chiaramente il principio informatore che si assume violato ma deve anche specificare in qual modo la regola equitativa posta a fondamento della pronuncia impugnata si ponga con esso in contrasto al fine di consentire al giudice la verifica della sua esistenza e della sua eventuale violazione.

Ciò premesso, va rilevato che la regola equitativa posta a fondamento della decisione impugnata è quella secondo cui non può ritenersi immeritevole di tutela la posizione di un telespettatore nei cui confronti sia stato ripetutamente inviato, in occasione di una trasmissione televisiva, un messaggio pubblicitario in contrasto con la normativa vigente in materia.

Tale regola non è stata censurata da parte ricorrente (che pur ha espressamente richiamato la sentenza della Corte Costituzionale n. 206 del 2004) con l'indicazione specifica della violazione di alcun principio informatore della materia, violazione che nella specie non è ravvisabile poiché non sussiste alcun contrasto della decisione del giudice di pace con i principi informatori cui il legislatore si ispira in materia di pubblicità occulta, nel contesto della sua diversificazione con la mera “autopromozione” (secondo il giudice “a quo” nel caso di specie si è trattato di vera iniziativa pubblicitaria finalizzata a sollecitare l'acquisto di una rivista, condotta contraria alla vigente normativa).

Con il sesto motivo si denunzia, infine, in riferimento all'art. 360 n.ri 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'art. 2043, degli artt. 1226 e 1227, in relazione all'art. 2697 c.c., nonché omessa e contraddittoria motivazione.

Censura parte ricorrente la decisione del giudice di pace laddove egli ha ritenuto di accertare un danno da stress.

Premessa la non condivisibilità dell'assunto di quel giudice secondo cui lo stress sarebbe stato causato da un supposto difetto di segnalazione, non potendo tale mancanza che cagionare al massimo un mero disappunto o fastidio, osserva parte ricorrente che ciò che difettava nella motivazione della impugnata decisione era l'accertamento se tale fastidio avesse valenza giuridica, o, meglio, se avesse determinato una effettiva lesione di un diritto soggettivo.

Invero eventuali sensazioni, tipo il fastidio di livello infimo, il disappunto, il disagio costituiscono sensazioni del tutto naturali, soggettive, bagatellari e comunque evitabili ex art. 1227 c.c., che rimangono nella sfera personale e non possono presentare valenza giuridica, essendo prive di incidenza lesiva.

Osserva ancora parte ricorrente che tutta la ricostruzione del giudice di pace non trova il benché minimo fondamento teorico mancando ogni riferimento al presunto diritto soggettivo leso. Incombeva invero sul C. provare non solo il fatto, ma soprattutto il nesso di causalità ed il danno, elementi questi ultimi due di cui mancava totalmente la prova, anche ai fini dell'esercizio da parte del giudice del potere di liquidare il danno medesimo in via equitativa ex artt. 1226 e 2056 c.c..

Pur essendo stato invocato il giudizio di equità si rileva che comunque l'onere della prova è un principio fondamentale, se non un principio generale dell'ordinamento. Tal che, dovendo sussistere la prova del danno, il giudice “a quo” era incorso in errore motivando come esso “fosse stato in re ipsa”.

Infine, quel giudice, non aveva indicato alcun criterio per la liquidazione del pregiudizio riconosciuto all'attore.

Anche questo motivo non si sottrae alla sorte del precedente.

Richiamando i principi espressi dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte (vedi da ultimo Cass. n. 284/2007) va ribadito che in tema di giudizio di equità, qual è quello di specie, il ricorrente deve con chiarezza indicare specificamente quale sia il principio informatore della materia violato e come la regola equitativa individuata dal giudice di pace si ponga in contrasto con esso, trattandosi di principi che - non essendo oggettivizzati in norme - devono essere prima individuati da chi ne lamenta la violazione e soltanto successivamente verificati dal giudice di legittimità prima nella loro esistenza e quindi nella loro eventuale violazione.

Ciò non si è affatto verificato nella fattispecie che ne occupa, in cui la regola equitativa posta a fondamento della decisione impugnata (tutela del telespettatore che abbia subito un danno dal messaggio pubblicitario eseguito “contra legem”) non è stata censurata da parte ricorrente con l'indicazione di alcun principio informatore della materia, violazione che nella specie non è ravvisabile, non sussistendo alcun contrasto della qui gravata decisione con i principi informatori cui il legislatore si ispira in materia di risarcimento, considerata l'evoluzione del concetto di danno ingiusto, individuato nella fattispecie nello stress emotivo e nervoso causato dai messaggi “pubblicitari” del cronista.

Né appare deducibile con il ricorso per cassazione, avverso la qui impugnata sentenza pronunciata dal giudice di pace secondo equità, la violazione dell'art. 2697 c.c. sull'onere della prova che, ponendo una regola di diritto sostanziale, da luogo ad un “error in iudicando” e non “in procedendo” (vedi Cass., sent. N. 7581/2007).

Al rigetto del primo, del terzo, del quarto, del quinto e del sesto motivo del ricorso non segue condanna della ricorrente R.T.I. spa alle spese di questo giudizio, stante la mancata costituzione dell'intimato C. V..




P.Q.M.

La Corte, rigetta il primo ed il quarto motivo del ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario.

Accoglie il secondo motivo di ricorso e in relazione ad esso cassa senza rinvio la sentenza impugnata.

Rigetta altresì gli altri motivi.

Nulla a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità tra la R.T.I. spa e C. V..

Compensa tra Mediaset Spa e C. V. le spese dell'intero giudizio

Agenzia delle entrate Circolare 56/E

La circolare 56/E fornisce indicazioni sulle sanzioni amministrative per l’utilizzo di lavoratori irregolari –Modifiche normative e giurisprudenza della Corte costituzionale.

Dal sito dell'Agenzia delle Entrate, il file è in formato Pdf.




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lunedì 22 settembre 2008

Tribunale di Milano, N. 13742 del 8 ottobre 2003

Una non recente ma incontestata sentenza del Tribunale di Milano:

E' affetta da radicale nullità la delibera assembleare la quale abbia imposto ai condomini l'obbligo di svolgere lavori condominiali, eccedendo tale delibera dalle attribuzioni assembleari le quali possono soltanto statuire, a carico di condomini, l'obbligo di versare i contributi necessari al godimento ed alla conservazione delle cose comuni.

Cassazione civile, Sez. Trib., Sentenza del 08/09/2008, n. 22572

La targa professionale assolve il compito di rendere pubblico l'esercizio dell'attività svolta in quel luogo, e questo concetto è da ritenersi compreso nella previsione dell'art. 5 d.lgs. 15.11.1993, n. 507 che considera rilevanti i messaggi diffusi nell'esercizio di un'attività economica allo scopo di promuovere la domanda di beni o servizi, ovvero finalizzati a migliorare l'immagine del soggetto pubblicizzato.

La Corte ha inoltre precisato che, in tema di imposta sulla pubblicità - che si applica, ai sensi dell'art. 6 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 639, quando i mezzi pubblicitari siano esposti o effettuati "in luoghi pubblici o aperti al pubblico o, comunque, da tali luoghi percepibili" - il presupposto dell'imponibilità va ricercato nell'astratta possibilità del messaggio, in rapporto all'ubicazione del mezzo, di avere un numero indeterminato di destinatari, che diventano tali solo perché vengono a trovarsi in quel luogo determinato. Il detto presupposto sussiste, pertanto, rispetto ad una targa indicativa di uno studio esposta in un cortile, il quale, pur se privato, debba ritenersi "aperto al pubblico", perché accessibile durante il giorno ad un numero indeterminato di persone.

E' perciò pubblicitaria la targa di un professionista, e soggetta all'imposta se superiore ai 300 cm quadrati. (art. 7 comma 2 del D. Lgs 507/93).
Infatti, per la Cassazione la targa professionale non si limita a contraddistinguere la sede, ma è un collettore di clientela e di conseguenza vale un principio impositivo diverso da quello sostenuto ogni volta dal Ministero delle Finanze.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 29 aprile 2008, n. 10826

Nel giugno del 1994 C.G. convenne in giudizio il comune di Pulsano innanzi al giudice di pace di Lizzano domandandone la condanna, nei limiti di Euro 1032,91, al risarcimento dei danni che le erano derivati in relazione alle abnormi modalità di riscossione dell'ICI da parte del comune, rivoltosi ad avvocati per esigere il pagamento delle somme di cui agli avvisi di accertamento nn. 1986/93 e 1985/94, che le erano stati notificati il 6.7.2000 per i rispettivi importi di Euro 171,98 e 158,04.

Espose:

a) che con missive del 24.5.2002 e dell'11.9.2002 due avvocati del libero foro le avevano richiesto, per incarico loro conferito dal comune con Delib. 16 gennaio 2002, n. 7, e con avviso di esecuzione forzata in caso di inottemperanza,, il pagamento di Euro 229,87 (in relazione all'avviso di Euro 171,98) e di Euro 218,36 (in relazione a quello di Euro 158,04), "comprensivi di imposta, interessi e spese", invitandola ad avvalersi dei bollettini allegati, ovvero a versare gli importi su un conto corrente postale intestato agli stessi avvocati;

b) che il 27.11.2002 le era stata notificata dal comune ingiunzione fiscale per il pagamento di Euro 465,09 con mandato ai predetti avvocati per l'attività di recupero e che il 27.5.2003 era stato eseguito pignoramento mobiliare in suo danno;

c) che il 3.6.2003 aveva versato agli avvocati suddetti la somma di Euro 337,61, chiedendo contestualmente al sindaco di considerarla liberatoria, in considerazione della circostanza che il D.Lgs. n. 504 del 1992, non contempla l'intervento di avvocati;

d) che il 2.10.2003 era stata invece avvisata che i beni pignorati sarebbero stati asportati in vista della vendita cui si sarebbe proceduto il 30.10.203 ed il 13.11.2003, sicchè il 15.10.2003 aveva provveduto al versamento di ulteriori Euro 386,39 a saldo della procedura esecutiva;

e) che il 14.11.2003 aveva inutilmente diffidato il sindaco di Pulsano a restituirle le somme versate e non dovute per inosservanza del D.Lgs. n. 50 del 1992 e del D.P.R. n. 43 del 1988.

Il comune convenuto eccepì il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a favore delle commissioni tributarie, e resistette subordinatamente nel merito.

Con sentenza n. 18 del 2005 il giudice di pace, ritenuto che la controversia rientrasse nella giurisdizione del giudice ordinario per essere stata proposta una domanda di risarcimento del danno da comportamento illegittimo senza contestazioni "in ordine ad imposte e tasse", ha accolto la richiesta risarcitoria nei limiti di Euro 500,00 previa declaratoria di "illegittimità degli atti e/o provvedimenti emessi dal Comune di Pulsano nei confronti di C.G. con intervento o riferimenti a studi legali".

Avverso la sentenza ricorre per cassazione il comune di Pulsano affidandosi a tre motivi, due dei quali attinenti a questioni di giurisdizione.

Resiste con controricorso la C..

Motivi della decisione

1.1. Col primo motivo di ricorso la sentenza è censurata per aver ravvisato la giurisdizione del giudice ordinario benchè la controversia vertesse in materia di ICI e, comunque, "ad elementi patrimoniali ad essa connessi", e fosse dunque devoluta alle commissioni tributarie provinciali del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex artt. 1 e 2, concernenti anche le forme e le modalità della riscossione tributaria.

1.2. Col secondo motivo la giurisdizione del giudice ordinario è contestata in riferimento alla L. 4 dicembre 1971, n. 1036, art. 3 (ma, recte, 6 dicembre 1971, n. 1034), che devolve ai tribunali amministrativi regionali la cognizione sulla legittimità degli atti amministrativi, invece dichiarata dal giudice di pace anche in relazione agli avvisi di accertamento ed all'atto di ingiunzione fiscale, tra l'altro in assenza di domanda in tal senso, sicchè la sentenza era anche viziata per ultrapetizione.

Si sostiene anche che la sentenza impugnata è errata in diritto, per violazione degli artt. 25, 111 e 113 Cost., e dei principi generali dell'ordinamento, rientrando le scelte e le modalità di riscossione nell'ambito dell'autonomia potestativa comunale delineata dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 56. 1.3. Col terzo motivo è denunciata violazione dei principi costituzionali e generali dell'ordinamento per avere il giudice di pace fondato la decisione relativa alla condanna sulla nota 4.3.2003, n. 179, priva di qualsiasi valore precettivo, con la quale il Garante del contribuente della Regione Puglia aveva ritenuto che il D.Lgs. n. 504 del 1992, in tema di riscossione dell'ICI non prevede "alcuna interpolazione di avvocato". 2. Tutti e tre i motivi sono infondati.

2.1. Quanto al primo, queste sezioni unite hanno chiarito che, sebbene il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, comma 2, nella formulazione antecedente alla riforma del 2001, abbia esteso la giurisdizione esclusiva delle commissioni tributarie anche agli "altri accessori nelle materie di cui al comma 1", per accessori si intendono gli aggi dovuti all'esattore, le spese di notifica, gli interessi moratori ed il maggior danno da svalutazione monetaria (Cass., S.U., n. 722 del 1999).

E' stato anche affermato che se la domanda di risarcimento del danno sia basata sul comportamento illecito dell'ente impositore, la controversia non è sussumibile in una delle fattispecie tipizzate che, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, rientrano nella menzionata giurisdizione esclusiva (Cass., S.U., nn. 15 e 8958 del 2007).

Va dunque escluso che rientri nella giurisdizione esclusiva delle commissioni tributarie, spettandone invece la cognizione al giudice ordinario, una controversia con la quale il privato, adempiuto il debito d'imposta relativo all'ICI non tempestivamente o integralmente versata, domandi il risarcimento dei danni subiti in sede di riscossione coattiva per aver dovuto corrispondere anche le somme pretese dal comune per l'assistenza legale allo stesso prestata da avvocati di cui l'ente pubblico si sia avvalso.

2.2. Quanto al secondo motivo, basta rilevare che il giudice di pace non ha annullato alcun atto amministrativo e non ha dunque invaso il campo proprio della giurisdizione generale di legittimità; ha invece, in funzione della pronuncia di condanna del comune al risarcimento del danno, dichiarato l'illegittimità degli atti o provvedimenti emessi "con intervento o riferimento a studi legali", così intendendo riferirsi, com'è reso assolutamente evidente dalla motivazione della sentenza, al fatto che il comune aveva ingiustificatamente agito in sede di riscossione coattiva anche per le somme dovute dall'ente agli avvocati con i quali aveva ritenuto di stipulare una convenzione per riceverne assistenza nell'attività di riscossione coattiva delle entrate comunali.

2.3. Quanto al terzo motivo, è sufficiente il rilievo che la sentenza impugnata non è affatto basata sulla menzionata nota del Garante (alla quale il giudice di pace ha fatto riferimento solo per porre in luce la colpa del comune per aver insistito nelle proprie pretese nonostante il difforme parere già da quello manifestato e comunicato agli organi comunali) ma sull'assenza di qualsiasi supporto normativo a sostegno della pretesa del comune, avvalsosi della procedura coattiva anche per la riscossione di somme di cui non avrebbe potuto pretendere il pagamento.

3. Il ricorso va conclusivamente rigettato con la declaratoria della giurisdizione del giudice ordinario.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE A SEZIONI UNITE

rigetta il ricorso, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario e condanna il comune di Pulsano alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.600,00 di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori dovuti per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 8 aprile 2008.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2008.

lunedì 15 settembre 2008

Diritto Sportivo - Modificati gli artt. 29,30 e 46 del Codice

COMUNICATO UFFICIALE N. 29/L
DEL 21 LUGLIO 2008
LEGA ITALIANA CALCIO PROFESSIONISTICO
29/51
Comunicazioni della F.I.G.C.
Si riporta il testo del Com. Uff. n. 26/A della F.I.G.C., pubblicato in data 18 Luglio
2008:
Comunicato Ufficiale n. 26/A
Il Consiglio Federale
- Ritenuto opportuno modificare gli artt. 29, 30 e 46, del Codice di Giustizia Sportiva;
- visto l’ art. 27 dello Statuto Federale
d e l i b e r a
di approvare la modifica gli artt. 29, 30 e 46, del Codice di Giustizia Sportiva secondo il
testo riportato nell’allegato sub A).
Pubblicato in Firenze il 21 Luglio 2008
IL SEGRETARIO IL PRESIDENTE
Dr.ssa Marinella Conigliaro Rag. Mario Macalli
All. sub A)
CODICE DI GIUSTIZIA SPORTIVA
VECCHIO TESTO NUOVO TESTO
Art. 29
Giudici sportivi nazionali e territoriali
Art. 29
Giudici sportivi nazionali e territoriali
1. I Giudici Sportivi si dividono in Giudici
sportivi nazionali e in Giudici sportivi
territoriali. I Giudici sportivi nazionali sono
giudici di primo grado competenti per i
campionati e le competizioni di livello
nazionale, nonché per le attività agonistiche
direttamente organizzate dalla LND. I Giudici
sportivi territoriali sono giudici di primo grado
competenti per i campionati e le competizioni
di livello territoriale.
2. I Giudici sportivi giudicano in prima istanza
in ordine ai fatti, da chiunque commessi,
avvenuti nel corso di tutti i campionati e le
competizioni organizzate dalle Leghe e dal
Settore per l'attività giovanile e scolastica, sulla
base delle risultanze dei documenti ufficiali e
dei mezzi di prova di cui all’art. 35.
3. I Giudici sportivi giudicano, altresì, in prima
istanza sulla regolarità dello svolgimento delle
gare, con esclusione dei fatti che investono
decisioni di natura tecnica o disciplinare
adottate in campo dall’arbitro, o che siano
devoluti alla esclusiva discrezionalità tecnica di
questi ai sensi della regola 5 del Regolamento
di Giuoco.
4. Il procedimento di cui ai commi 2 e 3 è
instaurato:
a) d’ufficio e si svolge sulla base dei documenti
ufficiali;
b) su reclamo, che deve essere preannunciato
entro le ore 24 del giorno successivo a quello
della gara alla quale si riferisce. Le motivazioni
del reclamo e la relativa tassa devono essere
trasmesse nel termine di tre giorni, esclusi i
festivi, da quello in cui si è svolta la gara.
5. I Giudici sportivi giudicano in prima istanza
sulla regolarità del campo di giuoco (porte,
1. INVARIATO
2. INVARIATO
3. INVARIATO
4. INVARIATO
5. INVARIATO
misure del terreno di giuoco, ecc.).
6. Il procedimento di cui al comma 5 è
instaurato:
a) d’ufficio e si svolge sulla base delle
risultanze dei documenti ufficiali;
b) su reclamo, che deve essere preceduto da
specifica riserva scritta presentata all’arbitro
dalla società prima dell’inizio della gara,
ovvero da specifica riserva verbale, nel caso in
cui la irregolarità sia intervenuta durante la gara
o per altre cause eccezionali, formulate dal
capitano della squadra interessata, che l’arbitro
deve ricevere alla presenza del capitano
dell’altra squadra, facendone immediata
annotazione sul cartoncino di gara. Il reclamo
deve essere preannunciato entro le ore 24.00 del
giorno feriale successivo a quello della gara alla
quale si riferisce. Le motivazioni del reclamo e
la relativa tassa devono essere trasmesse nel
termine di tre giorni, esclusi i festivi, da quello
in cui si è svolta la gara .
7. I Giudici sportivi giudicano in prima istanza
sulla posizione irregolare dei calciatori e/o degli
assistenti di parte impiegati in gare, ai sensi
dell’art. 17, comma 5, salvo quanto previsto
dall’art. 46, comma 3.
8. Il procedimento di cui al comma 7 è
instaurato:
a) d’ufficio, sulla base delle risultanze dei
documenti ufficiali di gara;
b) su reclamo, che deve essere preannunciato
entro le ore 24.00 del giorno feriale successivo
a quello della gara alla quale si riferisce. Le
motivazioni del reclamo e la relativa tassa
devono essere trasmesse nel termine di tre
giorni, esclusi i festivi, da quello in cui si è
svolta la gara stessa. Nelle gare di play-off e
play-out il reclamo con la tassa e le relative
motivazioni deve essere presentato entro le ore
24.00 del giorno feriale successivo alla gara.
9. I giudici sportivi giudicano con l’assistenza
di un rappresentante dell’AIA con funzioni
consultive in materia tecnico-agonistica. In caso
di assenza o impedimento, i giudici sportivi
sono sostituiti da Giudici sportivi sostituti, ai
quali è possibile delegare la competenza su
6. INVARIATO
7. I Giudici sportivi giudicano in prima istanza
sulla posizione irregolare dei calciatori e/o degli
assistenti di parte impiegati in gare, ai sensi
dell’art. 17, comma 5.
8. INVARIATO
9. INVARIATO
particolari campionati, nell’ambito della
rispettiva Lega, Comitato o Divisione.
Art. 30
Commissioni disciplinari
Art. 30
Commissioni disciplinari
1. La Commissione disciplinare nazionale è
giudice di primo grado nei procedimenti
instaurati su deferimento del Procuratore
federale per i campionati e le competizioni di
livello nazionale, per le questioni che
riguardano più ambiti territoriali, nei
procedimenti riguardanti i dirigenti federali
nonché gli appartenenti all’aia che svolgono
attività in ambito nazionale e nelle altre materie
previste dalle norme federali; è altresì giudice
di secondo grado sui ricorsi presentati avverso
le decisioni delle Commissioni disciplinari
territoriali nei procedimenti instaurati su
deferimento del Procuratore federale. Le
Commissioni disciplinari territoriali sono
giudici di primo grado nei procedimenti
instaurati su deferimento del Procuratore
federale per i campionati e le competizioni di
livello territoriale, nei procedimenti riguardanti
gli appartenenti all’AIA che svolgono attività in
ambito territoriale e nelle altre materie previste
dalle norme federali, nonché giudici di secondo
grado sui ricorsi presentati avverso le decisioni
dei Giudici sportivi territoriali, salvo quanto
previsto dall'art. 44, comma 1.
2. Le Commissioni disciplinari giudicano in
prima istanza anche in ordine alle sanzioni di
natura non economica irrogate o proposte dalla
società ai loro tesserati non professionisti e
giovani, nonché ai tecnici non professionisti. Il
procedimento instaurato su reclamo del
tesserato deve essere proposto entro il settimo
giorno successivo alla data in cui è pervenuta al
tesserato la comunicazione del provvedimento.
Il reclamo deve essere accompagnato dalla
relativa tassa.
3. La Commissione disciplinare nazionale è
composta da almeno quindici componenti,
compresi il Presidente, e tre Vice presidenti, di
cui uno vicario che svolge le funzioni del
Presidente in caso di impedimento di
quest’ultimo e quelle eventualmente delegategli
dal medesimo. La Commissione disciplinare
1. INVARIATO
2. INVARIATO
3. INVARIATO
territoriale è composta da almeno sette
componenti, compresi un presidente e un vice
presidente che svolge le funzioni del presidente
in caso di impedimento di quest’ultimo e quelle
eventualmente delegategli dal medesimo.
4. La Commissione disciplinare nazionale
giudica con la partecipazione di tre componenti,
compreso il Presidente o uno dei Vice
presidenti; in caso di procedimenti riuniti o di
particolare complessità essa può giudicare con
la partecipazione di cinque componenti. Le
Commissioni disciplinari territoriali giudicano
con la partecipazione del Presidente o del Vice
presidente e di due componenti.
5. Il Presidente di ciascuna commissione
disciplinare definisce preventivamente la
composizione dei singoli collegi giudicanti, con
l’indicazione dei componenti relatori, e l’ordine
del giorno.
6. Il Presidente della Commissione disciplinare
nazionale dispone i casi in cui alla riunione del
collegio debbano partecipare in soprannumero i
due componenti aggiunti con competenze
specifiche in materia gestionale.
7. Le Commissioni disciplinari giudicano con
l’assistenza di un rappresentante dell’AIA con
funzioni consultive in materia tecnicoagonistica.
8. Per il procedimento di prima istanza,
pervenuti gli atti alla Commissione disciplinare
competente, il Presidente, accertata l’avvenuta
notificazione alle parti a cura della Procura
federale dell’atto di contestazione degli
addebiti, da eseguire con le modalità previste
dall’art. 38, dispone la notificazione dell’avviso
di convocazione per la trattazione del giudizio,
con l’avvertimento che gli atti rimangono
depositati fino a cinque giorni prima della data
fissata per il dibattimento e che, entro tale
termine, le parti possono prenderne visione,
richiederne copia, presentare memorie, istanze e
4. La Commissione disciplinare nazionale
giudica con la partecipazione di tre componenti,
compreso il Presidente o uno dei Vice
presidenti; in caso di procedimenti riuniti o di
particolare complessità essa può giudicare con
la partecipazione di cinque componenti. Le
Commissioni disciplinari territoriali giudicano
con la partecipazione del Presidente o del Vice
presidente e di due componenti. In caso di
assenza o impedimento, il Presidente è sostituito dal
Vice presidente ovvero, in assenza o impedimento
di quest’ultimo, dal componente più anziano nella
carica e, nel caso di pari anzianità, da quello più
anziano di età
5. INVARIATO
6. INVARIATO
7. INVARIATO
8. INVARIATO
quanto altro ritengano utile ai fini della difesa.
9. Il termine per comparire innanzi all'Organo
della giustizia sportiva non può essere inferiore
a dieci giorni liberi, decorrenti dalla data di
ricezione dell'avviso di convocazione.
9. INVARIATO
ART. 46
Norme procedurali
ART. 46
Norme procedurali
1. I ricorsi avverso la regolarità dello
svolgimento delle gare previsti dall'art. 29,
commi 2, 3, 5 e 7, devono essere preannunciati
con le modalità di cui all’art. 38, al Giudice
sportivo entro le ore 24.00 del giorno feriale
successivo a quello della gara alla quale si
riferiscono. La motivazione del reclamo e la
relativa tassa devono essere trasmessi entro il
settimo giorno successivo allo svolgimento
della gara stessa. Copia del ricorso deve essere
inviata alla società controparte, con lettera
raccomandata o mezzo equipollente, ai sensi
dell’art. 38, comma 7. L’attestazione dell’invio
alla controparte deve essere allegata alla
documentazione originale del reclamo, da
rimettersi al Giudice sportivo.
2. I risultati ufficiali delle gare sono quelli
conseguiti sul campo e, come tali, indicati
dall'arbitro nel suo referto, salvo il caso che gli
stessi siano modificati:
a) da parte del Giudice sportivo, d'ufficio o su
impugnativa di chi vi sia legittimato;
b) dalla Commissione disciplinare territoriale,
su impugnativa da parte di chi vi sia legittimato;
c) dalla Commissione disciplinare territoriale a
seguito di deferimento della Procura federale;
d) dalla Commissione disciplinare nazionale.
3. I reclami avverso la posizione di tesserati che
abbiano preso parte ad una gara, anche con
l'utilizzazione quali assistenti di parte, sono
proposti alla Commissione disciplinare
territoriale nel termine di sette giorni dallo
svolgimento della gara stessa. Nelle gare di
play-off e play-out il reclamo con la tassa e le
relative motivazioni deve essere effettuato entro
le ore 24.00 del giorno feriale successivo alla
gara.
4. I ricorsi di secondo grado devono essere
1. I ricorsi avverso la regolarità dello
svolgimento delle gare previsti dall'art. 29,
commi 2 e 3, devono essere preannunciati con
le modalità di cui all’art. 38, al Giudice sportivo
entro le ore 24.00 del giorno feriale successivo
a quello della gara alla quale si riferiscono. La
motivazione del reclamo e la relativa tassa
devono essere trasmessi entro il settimo giorno
successivo allo svolgimento della gara stessa.
Copia del ricorso deve essere inviata alla
società controparte, con lettera raccomandata o
mezzo equipollente, ai sensi dell’art. 38,
comma 7. L’attestazione dell’invio alla
controparte deve essere allegata alla
documentazione originale del reclamo, da
rimettersi al Giudice sportivo.
2. INVARIATO
3. I reclami avverso la posizione di tesserati che
abbiano preso parte ad una gara, anche con
l'utilizzazione quali assistenti di parte, sono
proposti al Giudice Sportivo nel termine di sette
giorni dallo svolgimento della gara stessa. Nelle
gare di play-off e play-out il reclamo con la
tassa e le relative motivazioni deve essere
effettuato entro le ore 24.00 del giorno feriale
successivo alla gara
4. INVARIATO
proposti alla Commissione disciplinare entro il
settimo giorno successivo alla data di
pubblicazione del comunicato ufficiale con il
quale è stata resa nota la decisione che si
intende impugnare.
5. Ai reclami deve essere allegata la tassa e, nei
soli casi in cui il gravame verta su episodi e
circostanze che possano modificare il risultato
conseguito, deve essere inviata copia del
reclamo alla controparte con lettera
raccomandata o mezzo equipollente, a norma
dell’art. 38, comma 7.
L’attestazione dell’invio deve essere allegata al
reclamo.
6. Decorso inutilmente il termine di cui al
comma 3, la partecipazione a gare di calciatori
squalificati o comunque non aventi titolo,
comporta provvedimenti disciplinari a carico
della società e del tesserato, applicabili con il
solo rispetto dei termini di prescrizione di cui
all'art. 25 del presente Codice.
7. Per tutto quanto non previsto nel presente
Titolo, si applicano le disposizioni generali di
cui al Titolo IV.
5. INVARIATO
6. INVARIATO
7. INVARIATO

Agenzia Entrate Risoluzione n. 274/E "Fattura per commercio elettronico"

OGGETTO: Istanza di interpello – Art. 11, legge n. 212/2000 - ALFA S.r.l. –Certificazione tramite fattura dei corrispettivi conseguiti nell’ambito del commercio elettronico diretto – Obbligatorietà

Quesito

La società ALFA S.r.l. (nel prosieguo, la “società”) ha come oggetto sociale la ricerca, lo studio, la realizzazione, la pubblicazione di opere di interesse musicale, musicologico, storico, artistico, letterario e in generale attinente a qualsiasi settore culturale attraverso tutti i mezzi messi a disposizione dalla tecnologia come la stampa, l’editoria, la produzione di cd, video, cd rom, sistemi informatici etc., ed il loro commercio in tutte le forme giuridiche previste.

Attualmente, l’attività principale consiste nella vendita al dettaglio di spartiti e testi a carattere musicale, sia di produzione propria che di terzi.

La società è ora intenzionata ad avviare anche il commercio elettronico diretto di spartiti e documenti musicali di propria produzione, nell’ambito del quale l'ordine, la consegna e il pagamento avvengono in tempo reale con modalità elettroniche e l’operazione si conclude interamente via internet.

Tanto precisato, la società chiede se l’incasso delle somme derivanti dal commercio elettronico diretto nei confronti dei privati (direttamente accreditate nel proprio conto corrente in quanto il pagamento avviene con carta di credito) possa essere certificato, in alternativa all’emissione della fattura, mediante riepilogo giornaliero nel registro dei corrispettivi tenuto manualmente nella sede della società.

Soluzione interpretativa prospettata dall’istante

L’interpellante ritiene che gli incassi conseguiti con carta di credito nell’ambito del commercio elettronico diretto nei confronti di privati possano essere certificati, in alternativa all’emissione della fattura, mediante annotazione nel registro dei corrispettivi entro il giorno successivo.

Qualora tale soluzione non fosse accolta, la società paventa il rischio di un eccessivo aggravio dell’attività esercitata – atteso anche l’ulteriore adempimento dell'invio degli elenchi clienti e fornitori, comprensivo dal 2007 delle fatture emesse nei confronti dei privati –, suscettibile di interferire nel libero mercato europeo ed extraeuropeo a tutto vantaggio della concorrenza straniera.

Parere della Direzione

Preliminarmente, si osserva che le operazioni realizzate dalla società, in base ai dati emergenti dall’istanza, sono state correttamente inquadrate fra le operazioni di commercio elettronico diretto e, come tali, considerate ai fini IVA come prestazioni di servizi.

In tal senso l’articolo 56 della direttiva n. 2006/112/CE, entrata in vigore il 1° gennaio 2007, che, nell’individuare il luogo di tassazione di alcune prestazioni di servizio, elenca, tra gli altri, al paragrafo 1, lettera k), “i servizi prestati per via elettronica, segnatamente quelli di cui all’allegato II”, precisando, peraltro, che “2. Il solo fatto che un prestatore di servizi e il suo destinatario comunichino per posta elettronica non implica che il servizio reso sia un servizio elettronico ai sensi del paragrafo 1, lettera k).”

Fra le prestazioni di servizi riportate nell’allegato II – recante l’“Elenco indicativo dei servizi forniti per via elettronica di cui all’articolo 56, paragrafo 1, lettera k)” –, figurano:
“1) Fornitura di siti web e web-hosting, gestione a distanza di programmi e attrezzature;
2) fornitura di software e relativo aggiornamento;
3
3) fornitura di immagini, testi e informazioni e messa a disposizione di basi di dati;
4) fornitura di musica, film, giochi, compresi i giochi di sorte o d'azzardo, programmi o manifestazioni politici, culturali, artistici, sportivi, scientifici o di intrattenimento;
5) fornitura di prestazioni di insegnamento a distanza.”

Le operazioni realizzate dall’istante sono, quindi, riconducibili alla casistica descritta al punto 3) del sopra citato allegato II (fornitura di immagini e testi).

Tanto premesso, trattandosi di prestazioni di servizi rilevanti ai fini IVA, ricorre l'obbligo di documentazione dell'operazione ai sensi dell'articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, nei termini di cui all'articolo 6, comma terzo, del medesimo decreto, secondo il quale il momento di effettuazione si considera coincidente normalmente con il "pagamento del corrispettivo".

Con riguardo all'obbligo della fatturazione, si osserva che le operazioni in argomento non sono riconducibili ad alcuno dei casi di esonero dagli obblighi di certificazione previsti dalla normativa IVA, né possono essere considerate operazioni rientranti nell'ambito applicativo dell'articolo 22 del D.P.R. n. 633 del 1972, mancando le condizioni ivi previste per beneficiare dell'esonero dall'obbligo di emissione della fattura.

A conferma di ciò, si osserva che per le operazioni il cui corrispettivo sia pagato direttamente on-line tramite carta di credito, l'articolo 101 della legge 21 novembre 2000, n. 342 prevede l'emanazione di appositi regolamenti "ai sensi e per gli effetti del predetto articolo 3, comma 136, della citata legge n. 662 del 1996" al fine di semplificare gli adempimenti contabili e formali, "inclusi anche quelli relativi alla effettuazione di transazioni di commercio elettronico aventi ad oggetto beni o servizi regolati con l'intervento di intermediari finanziari abilitati (...) a tal fine potendosi prevedere la non obbligatorietà dell'emissione della fattura in presenza di idonea documentazione."

Il legislatore ha, dunque, previsto la semplificazione degli adempimenti contabili e formali in capo ai contribuenti operanti nel commercio elettronico con l’intervento di intermediari finanziari abilitati, con espresso riferimento alla possibilità di escludere l'obbligo di emissione della fattura.

La prevista semplificazione, tuttavia, è stata subordinata all'emanazione di ulteriori regolamenti ai sensi e per gli effetti dell'articolo 3, comma 136, della citata legge n. 662 del 1996, che ad oggi non risultano ancora emanati.

Allo stato attuale pertanto sussiste l'obbligo di emissione della fattura per la certificazione dei corrispettivi relativi alle operazioni in parola, anche se incassati tramite intermediari finanziari (nello specifico, i gestori delle carte di credito utilizzate dagli acquirenti dei servizi prestati dalla società).

La risposta di cui alla presente nota, sollecitata con istanza di interpello presentata alla Direzione Regionale, viene resa ai sensi dell'articolo 4, comma 1, ultimo periodo, del decreto ministeriale 26 aprile 2001, n. 209.

***

Le Direzioni Regionali vigileranno affinché i principi enunciati nella presente risoluzione vengano applicati con uniformità.

Penale - Cassazione SENTENZA N. 28229 del 10/07/2008

RIFIUTI - NOZIONE DI RIFIUTO - COKE DA PETROLIO (PET - COKE) - MODIFICHE INTRODOTTE DAL D.LGS. N. 4/2008 - ESCLUSIONE DALLA DISCIPLINA SUI RIFIUTI - CONDIZIONI
Con la decisione in esame, la Corte – adita in fase cautelare a seguito del sequestro probatorio avente ad oggetto un cumulo di coke da petrolio importato dall’estero, trasportato via mare e successivamente depositato su un terreno – dopo aver analiticamente ripercorso la disciplina normativa relativa al coke da petrolio utilizzato come combustibile per uso produttivo (D.Lgs. n. 22 del 1997; d.l. n. 22 del 2002, conv. in L. n. 82 del 2002 che ha introdotto l’art. 8 f – quater) del decreto Ronchi; D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 185, comma primo, lett. i)e 293; D.Lgs. n. 4 del 2008) e l’incidenza che su tale disciplina hanno avuto i ripetuti interventi del Giudice comunitario anche con riferimento alla rilevanza sul tema del cosiddetto principio di precauzione (Corte Giustizia CE, 15 gennaio 2004, n. 235/02; Corte Giustzia CE, 14 aprile 2005, n. 6/03), ha affermato che l’esclusione dal campo di applicazione della disciplina dei rifiuti del coke da petrolio (o pet – coke) commercializzato e destinato alla combustione (art. 185, D.Lgs. n. 152 del 2006) è consentita purchè siano rispettate le condizioni di cui all’art. 293 del citato D.Lgs. n. 152; diversamente, la disciplina autorizzatoria prevista in generale per la gestione dei rifiuti si applica anche al pet – coke ove quest’ultimo, commercializzato e destinato alla combustione, non soddisfi le condizioni per tale utilizzo, in particolare nel caso in cui sia presente una quantità di zolfo eccedente la soglia massima prevista dall’allegato X alla parte V del D.Lgs. n. 152 del 2006 e richiede un trattamento per rientrare nei limiti della soglia di utilizzabilità.

venerdì 12 settembre 2008

Condominio - Cassazione Sent. 2305/08 La nascita del super condominio

Cassazione – II Sez. civile
sentenza 2 ottobre 2007 – 31 gennaio 2008 n. 2305
Svolgimento del processo
Il Giudice di Pace di Bassano del Grappa, con sentenza 30.4.02, disattesa l'istanza di sospensione,respinge l'opposizione proposta da Maurizio C. avverso il decreto ingiuntivo ottenuto nei suoi
confronti dal supercondominio denominato Complesso Residenziale Le L. e C. sito in Conco (Vi),relativamente al pagamento di spese condominiali per circa L. 1.518.000, sulla considerazione: che non sussistesse rapporto di pregiudizialità necessaria tra l'opposizione al decreto ingiuntivo e l'impugnazione delle deliberazioni assembleari poste a base dell'istanza in monitorio; che risultasse documentalmente provata l'esistenza sia del supercondominio istante sia del condominio C. R/S,
autonomi e con proprie assemblee deliberanti; che il condominio C. R/S fosse uno degli edifici del supercondominio usufruente d'impianti comuni; che gli immobili dell'attore facessero parte d'entrambi gli enti di gestione amministrati dal rag. G. ; che il credito azionato risultasse da bilanci regolarmente approvati con deliberazioni assembleari esecutive, non impugnate nel termine di cui
all'art. 1137 c.c.; che legittimamente il decreto fosse stato richiesto sulla base del preventivo approvato dall'assemblea per spese di gestione quali il riscaldamento e la manutenzione dei servizi comuni.
Maurizio C. impugna per cassazione tale sentenza deducendo con le svolte censure: a) violazione degli artt. 116 e 183 del codice di rito, per essersi l'amministratore presentato in udienza senza aver preventivamente convocato un'assemblea condominiale onde informare i condomini ed essere autorizzato ad eventuale transazione; b) omessa sospensione del giudizio in violazione dell'art. 295 c.p.c.; c) violazione delle norme codicistiche in tema di comunione e condominio, non esistendo
una "soggettività giuridica" denominata Complesso Residenziale Le L. e C. e non essendo di esso amministratore il "mero mandatario giudiziale" rag. G. ; d) difetto di motivazione per illogicità sulla ritenuta coesistenza di condominio e supercondominio.
L'intimato Complesso Residenziale resiste con controricorso.
Il ricorrente deposita memoria.
Con ordinanza interlocutoria 15.7.05 n. 15085, la Seconda Sezione rileva che il secondo motivo di ricorso, concernente la violazione del disposto in tema di sospensione necessaria del processo ex art. 295 c.p.c., involge questione su cui si registra contrasto di giurisprudenza e rimette la causa al Primo Presidente che ne assegna la trattazione alle Sezioni Unite.
Queste, con sentenza 27.2.07 n. 4421, respingono l'esaminato motivo di ricorso sulla considerazione che "la sospensione necessaria del processo ex art. 295 cod. proc. civ., nell'ipotesi di giudizio promosso per il riconoscimento di diritti derivanti da titolo, ricorre quando in un diverso giudizio tra le stesse parti si controverte dell'inesistenza o della nullità assoluta del titolo stesso, poiché al
giudicato d'accertamento della nullità - la quale impedisce all'atto di produrre ab origine qualunque effetto, sia pure interinale - si potrebbe contrapporre un distinto giudicato, di accoglimento della pretesa basata su quel medesimo titolo, contrastante con il primo; detto principio d'inesecutività del
titolo impugnato a seguito di allegazione della sua originaria invalidità assoluta è derogato, nella disciplina del condominio, da un sistema normativo che mira all'immediata esecutività del titolo, pur in pendenza di controversia, a tutela d'interessi generali ritenuti prevalenti e meritevoli d'autonoma considerazione, sicché il giudice non ha il potere di disporre la sospensione della causa
di opposizione a decreto ingiuntivo, ottenuto ai sensi dell'art. 63 disp. att. cod. civ., in relazione alla pendenza del giudizio in cui sia stata impugnata la relativa delibera condominiale, restando riservato al giudice dell'impugnazione il potere di sospendere ex art. 1137 comma secondo, cod. civ., l'esecuzione della delibera; non osta a tale disciplina derogatoria il possibile contrasto di giudicati in caso di rigetto dell'opposizione all'ingiunzione e di accoglimento dell'impugnativa della
delibera, poiché le conseguenze possono essere superate in sede esecutiva, facendo valere la sopravvenuta inefficacia del provvedimento monitorio, ovvero in sede ordinaria, mediante azione di ripetizione dell'indebito".
Il giudizio prosegue innanzi alla Sezione ordinaria per l'esame degli ulteriori motivi.
Il resistente deposita ulteriore memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, parte ricorrente - denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 183/1 e 116/2 c.p.c. - si duole che il giudice a quo abbia omesso di "argomentare" sul fatto che il rag. G. si fosse affermato amministratore d'un supercondominio ed in tale veste avesse agito senza previamente informare i condomini delle iniziative in corso e senza ottenere al riguardo dall'assemblea i necessari poteri.
Il motivo non merita accoglimento, in quanto inammissibile ancor prima che palesemente infondato.
Ammesso che per "argomentare" si sia inteso il prendere in considerazione una questione prospettata dalla parte e motivatamente deciderne, la censura avrebbe ad oggetto un assunto vizio dell'impugnata sentenza per omessa pronunzia. Ora, come ripetutamente evidenziato da questa Corte, l'omessa pronunzia, quale vizio della sentenza, dev'essere, anzi tutto, fatta valere dal ricorrente per cassazione esclusivamente attraverso la deduzione del relativo error in procedendo e
della violazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360 n. 4 c.p.c., e non già con la denunzia della violazione di differenti norme di diritto processuale o di norme di diritto sostanziale ovvero del vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., (Cass. 22.11.06 n. 24856, 14.2.06 n. 3190, 19.5.06 n.
11844, 27.01.06 n. 1755, ma già 24.6.02 n. 9159, 11.1.02 n. 317, 27.9.00 n. 12790, 28.8.00 n. 11260, 10.4.00 n. 4496, 6.11.99 n. 12366); perché, poi, possa utilmente dedursi il detto vizio, è necessario, da un lato, che al giudice del merito fossero state rivolte una domanda od un'eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si rendesse necessaria ed ineludibile, e, dall'altro, che tali domanda od eccezione siano
riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente e/o per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per Cassazione, con l'indicazione specifica, altresì, dell'atto difensivo del giudizio di merito nel quale l'una o l'altra erano state proposte, onde consentire al giudice di
legittimità di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività della proposizione nel giudizio a quo ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi; ove, infatti, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, dell'art. 112 c.p.c., ciò che configura un'ipotesi di error in
procedendo per il quale questa Corte è giudice anche del "fatto processuale", detto vizio, non essendo rilevabile d'ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità d'esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato all'adempimento da parte del ricorrente, per il principio d'autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l'altro,
il rinvio per relationem agli atti della fase di merito, dell'onere d'indicarli compiutamente, non essendo consentita al giudice stesso una loro autonoma ricerca ma solo una loro verifica (Case. 19.3.07 n. 63 61, 28.7.05 n. 15781 SS.UU., 23.9.02 n. 13833, 11.1.02 n. 317, 10.5.01 n. 6502).
Nella specie, parte ricorrente non ha rispettato alcuna delle evidenziate condizioni d'ammissibilità d'una censura per omessa pronunzia, onde la stessa non può essere esaminata. Il che determina l'inammissibilità anche della questione di merito, poiché introduce temi di dibattito completamente nuovi, implicando accertamenti in fatto non acquisiti agli atti e decisione su elementi di giudizio
pure in fatto che, all'esame dell'impugnata sentenza, non risulta abbiano formato oggetto di contraddittorio nella fase di merito, stanti la natura ed i limiti del giudizio di legittimità, inteso solo alla revisione della sentenza impugnata in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto nello stesso già proposte. In proposito questa Corte ha, infatti, avuto
ripetutamente occasione d'evidenziare come i motivi del ricorso per cassazione debbano investire, a pena d'inammissibilità, statuizioni e questioni che abbiano già formato oggetto di gravame e che siano, dunque, già comprese nel thema decidendum del giudizio di merito quale fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti, mentre non è consentita, a parte le questioni rilevabili
anche d'ufficio, la prospettazione di questioni che modifichino la precedente impostazione difensiva ponendo a fondamento delle domande od eccezioni titoli diversi da quelli fatti valere nella fase di merito o questioni di diritto fondate su elementi di fatto nuovi o diversi da quelli dedotti in detta
fase (e pluribus, Cass. 22.10.02 n. 14905, 16.9.02 n. 13470, 21.6.02 n. 9097, ma già Cass. 9.12.99 n. 13819, 4.10.99 n. 11021, 19.5.99 n. 4852, 15.4.99 n. 3737, 15.5.98 n. 4910).
Non senza considerare, sia pur solo ad abundantiam ed in via puramente teorica, che la questione è anche manifestamente infondata, dacché per costante interpretazione degli artt. 1130 e 1131 c.c., rientra nella attribuzioni dell'amministratore la riscossione dei contributi condominiali in base alle
pertinenti deliberazioni assembleari ed, al fine di svolgere tale sua funzione, l'amministratore è legittimato ad agire ed a resistere in giudizio senza necessità alcuna d'autorizzazione da parte dell'assemblea (e pluribus, Cass. 9.12.05 n. 27292, 5.1.00 n. 29, 2 9.12.99 n. 14665, 15.5.98 n. 4900, 15.3.94 n. 2452).
È, peraltro, proprio sull'insussistenza di tali presupposti che parte ricorrente svolge la terza e la quarta censura, con le quali - denunziando, rispettivamente, con l'una, violazione o falsa applicazione degli artt. 1100, 1108/3, artt. 1117, 1118, 1131, 1135, 1136, 1138, 832 c.c., e, con l'altra, omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione - si duole che il giudice a quo abbia
erroneamente ed immotivatamente disatteso quelle sue difese con le quali aveva contestato l'esistenza del soggetto (supercondominio) in nome e per conto del quale il G. aveva agito e resistito in giudizio, il potere stesso di rappresentanza affermato dal G. , l'illegittimità delle deliberazioni assembleari poste a base della procedura monitoria.
Detti motivi non meritano accoglimento.
Quanto al terzo, devesi, anzi tutto, considerare come il vizio della sentenza previsto dall'art. 360 n. 3 c.p.c., debba esser dedotto non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, chiaramente intelligibili ed adeguatamente
esaurienti, intese a motivatamente dimostrare come determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata risultino in contrasto con le invocate norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità e/o dalla prevalente dottrina,
diversamente non ponendosi la Corte regolatrice in condizione di adempiere al proprio istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.
Nella specie, per contro, all'enunciazione iniziale della violazione d'una rilevante pluralità di norme disparate non fa, poi, seguito una trattazione puntuale nella quale, attraverso un'argomentazione sillogistica pertinente a ciascuna di esse, vengano sviluppati argomenti (non in fatto ma) in diritto
con i contenuti richiesti dal combinato disposto degli artt. 360 n. 3 e 366 n. 4 c.p.c., perché al motivo di ricorso, proposto ai sensi dell'uno, possa essere riconosciuto il requisito della specificità,
imposto dall'altro, che ne consente la valutazione da parte di questa Corte; parte ricorrente non ha, infatti, sviluppato nell'esposizione argomento alcuno in diritto, inteso nel senso sopra precisato, per contestare, con specifico riferimento a ciascuna delle tante norme assuntivamente violate singolarmente considerata, in relazione a quale determinato convincimento giuridico espresso dal
giudice del merito possa essere ravvisata un'altrettanto determinata applicazione erronea o falsa d'ogni singola norma, onde le varie censure la cui prospettazione sia ipotizzabile in ragione dell'intestazione del motivo risultano, sotto l'esaminato profilo, inammissibili per assoluto difetto della necessaria specificità.
Tanto è assorbente per la reiezione del motivo.
Volendo, non di meno, estrarre dal contesto del motivo stesso, gravato di plurime argomentazioni irrilevanti ai fini della decisione ed estranee al thema decidendum, le questioni di diritto che in qualche modo possono ritenersi identificabili ed ammissibili, in quanto pertinenti all'oggetto del giudizio e suscettibili d'esame così in sede di merito come in questa sede, devesi rilevare come tutte
le questioni attinenti a ragioni di pretesa invalidità delle deliberazioni poste a base della procedura monitoria fossero, comunque, inammissibili quali motivi d'opposizione al decreto emesso all'esito della detta procedura.
In vero, come le SS.UU. di questa Corte hanno già evidenziato decidendo, in questo stesso giudizio, del secondo motivo di ricorso, in tema d'opposizione a decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo emesso ai sensi dell'art. 63/1 disp. att. c.c., per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, il condomino opponente non può far valere questioni
attinenti alla validità della delibera condominiale che sia stata già impugnata nella competente sede ex art. 1137 c.c., ma solo questioni riguardanti l'efficacia della delibera medesima. Le ragioni della reiezione dei motivi d'opposizione sul punto svolte dal giudice a quo, non che erronee come ritenuto
da parte ricorrente, risultano, piuttosto, superflue, non altro dovendosi rilevare, al riguardo, se non l'inammissibilità dei motivi stessi ed in tal senso, conforme a diritto essendo il dispositivo, va corretta la motivazione ex art. 384 u.c. c.p.c..
Per il che si rammostra infondato anche il quarto motivo di ricorso, nessun'altra giustificazione dell'adottata decisione sul punto essendo tenuto a fornire il giudice a quo una volta rilevata l'assorbente inammissibilità, quali motivi d'opposizione al decreto ingiuntivo ex art. 63/1 disp. att.
c.c., dei dedotti vizi di validità delle delibere poste a base del decreto stesso. Fermo tutto quanto sin qui argomentato e deciso, sembra opportuna un'ulteriore considerazione.
Parte ricorrente opera ripetuti riferimenti al fatto d'aver eccepito l'inesistenza sia del supercondominio sia dell'amministratore dello stesso e si duole che il giudice a quo abbia omesso di pronunziare al riguardo e/o ne abbia erroneamente deciso. Sotto il primo profilo, la censura è inammissibile per le stesse ragioni già svolte in relazione all'analoga censura prospettata con il primo motivo, ma è anche infondata, perché il giudice a quo si è espressamente pronunziato su entrambe le questioni. Sotto il secondo profilo, è infondata, in quanto l'eccezione era inammissibile, sia che con l'allegazione dell'inesistenza dei detti soggetti si fosse inteso dedurre l'invalidità delle delibere, valendo al riguardo quanto già evidenziato in precedenza, sia che con la stessa allegazione
si fosse inteso contestare tanto la carenza di titolarità del diritto in capo al supercondominio quanto il potere di rappresentanza dello stesso nel processo da parte dell'amministratore, entrambe le questioni non risultando essere state proposte nei corretti termini giusprocessualistici.
Questioni che, d'altronde, si manifestano del tutto infondate, dacché erra parte ricorrente nel ritenere sia che il supercondomio possa costituirsi solo per manifestazione di volontà dell'originario costruttore o di tutti i proprietari di unità immobiliari in più condomini, sia che il G. non fosse
legittimo amministratore del supercondominio.
Come, in vero, la particolare comunione regolata dall'art. 1117 ss. c.c., si costituisce, ipso iure et facto, senza bisogno d'apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni e tanto meno d'approvazioni assembleari, nel momento in cui l'unico proprietario d'un edificio questo frazioni in più porzioni autonome la cui proprietà esclusiva trasferisca ad una pluralità di soggetti od anche
solo al primo di essi, ovvero ove più soggetti costruiscano su un suolo comune, ovvero ancora quando l'unico proprietario di un edificio ne ceda a terzi piani o porzioni di piano in proprietà esclusiva, realizzando l'oggettiva condizione del frazionamento che ad esso da origine. (Cass.
4.10.04 n. 19829, 10.9.04 n. 18226, 19.2.04 n. 3257, 5.10.83 n. 5794, 18.1.82 n. 319, 18.12.78 n.6073, 3.1.77 n. 1), così anche il supercondominio, istituto d'elaborazione dottrinaria egiurisprudenziale basata sull'interpretazione estensiva delle norme dettate per il condominio negliedifici, viene in essere, del pari ipso iure et facto, se il titolo non dispone altrimenti, sol che singoli
edifici, costituiti in altrettanti condomini, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi (viale d'ingresso, impianto centrale per il riscaldamento, parcheggio, locali per la portineria e/o per l'alloggio del portiere, ecc.) legati, attraverso la relazione di accessorio a principale, con gli edifici
medesimi e per ciò appartenenti, pro quota, ai proprietari delle singole unità immobiliari comprese nei diversi fabbricati (Cass. 18.4.05 n. 8066, 3.10.03 n. 14791, 7.7.00 n. 9096, 8.8.96 n. 7286). In tal caso, i comunisti debbono nominare un amministratore che dei detti beni, comuni a tutti i condomini dei vari condomini, assicuri la gestione, in difetto di che può intervenire, a richiesta degli
interessati, il provvedimento dell'autorità giudiziaria ex art. 1129, primo comma, secondo periodo,c.c..
Nella specie, tale provvedimento è stato adottato, previa adeguata valutazione delle emergenze istruttorie e particolarmente della raccomandazione approvata a larga maggioranza proprio dall'assemblea del "Centro Residenziale Le L. - C. ", dal tribunale di Bassano del Grappa il 26.3.99, con nomina del G. ad amministratore (oltre che del "Condominio C. R-S", del "Condominio Le L.
A-B - C. " e del "Condominio C. C") anche del "Centro Residenziale Le L. - C. ", che è, appunto, il supercondominio del quale si discute.
Ond'è che non può fondatamente negarsi l'esistenza né del supercondominio né del suo
amministratore nella persona del G. .
Nessuno degli esaminati motivi meritando accoglimento, il ricorso va, dunque, respinto. Le spese,
liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso e condanna il ricorrente alle spese che liquida in Euro 100,00 per
esborsi ed Euro 1.000,00 per onorari oltre ad accessori di legge.

Corte di Giustizia della Comunità Europea, Sentenza del 17/07/2008

FISCALITA' - SESTA DIRETTIVA IVA - ARMONIZZAZIONE DELLE LEGISLAZIONI DEGLI STATI MEMBRI - CONTROLLO DELLE OPERAZIONI IMPONIBILI - CONDONO - INADEMPIMENTO DELL'ITALIA

La Corte di Giustizia ha dichiarato che la Repubblica italiana, avendo previsto agli artt. 8 e 9 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, una rinunzia generale ed indiscriminata all'accertamento delle operazioni imponibili effettuate nel corso di una serie di periodi di imposta (anni compresi fra il 1998 ed il 2001), è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 2 e 22 della VI Direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra degli affari – sistema comune di imposta sul valore aggiunto, nonchè dell'art. 10 del Trattato CE. Secondo la Corte, in particolare, se è vero che gli Stati membri beneficiano di una certa libertà nell'applicazione dei mezzi a loro disposizione, essi sono tenuti, tuttavia, a garantire una effettiva riscossione delle risorse proprie della Comunità e a non creare significative differenze nel modo di trattare i contribuenti. La legge italiana, invece, induce i contribuenti o a dichiarare soltanto una parte del debito effettivo, o a versare una somma forfettaria, invece di un importo proporzionale al fatturato realizzato, evitando in tal modo qualunque accertamento o sanzione. Ne consegue che lo squilibrio significativo esistente tra gli importi effettivamente dovuti e quelli corrisposti dai contribuenti che beneficiano del condono fiscale conduce ad una quasi-esenzione fiscale che, per la sua entità, pregiudica seriamente il corretto funzionamento del sistema comune dell'IVA e danneggia il mercato comune.

Corte Europea dei diritti dell'Uomo Sentenza del 10/06/2008

PENA - ESECUZIONE - GRAVE INFERMITA' FISICA - MODALITA' DI ESECUZIONE

Il ricorrente, condannato all’ergastolo per l’omicidio della moglie ed il ferimento del figlio, aveva dedotto di essere stato sottoposto ad un trattamento penitenziario in violazione dell’art. 3 della Convenzione, in quanto, tenuto conto del suo stato di salute di persona gravemente disabile, non era stato trasferito in una struttura ospedaliera adeguata alle sue condizioni. In particolare, costui sin dal 2003 aveva chiesto senza esito di essere trasferito dal carcere romano di Regina Coeli a un’altra struttura adatta ad ospitare disabili. Solo nel settembre del 2007 è stato trasferito nel carcere di Parma, che ha una sezione per disabili. La Corte ha ricordato che l’art. 3 cit impone agli Stati l’obbligazione positiva di assicurare che tutti i detenuti siano trattati con condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana e che le modalità di esecuzione della pena non eccedano il livello inevitabile di sofferenza inerente alla detenzione stessa e che la salute ed il benessere del detenuto siano garantiti in modo adeguato, in particolare con la somministrazione delle necessarie cure mediche. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che il mantenimento prolungato dello stato di detenzione di una persona di età avanzata e disabile abbia violato l’art. 3, condannando lo Stato italiano a pagare 10mila euro di risarcimento

Modello di comunicazione dell’adesione ai verbali di constatazione

Modello di comunicazione dell’adesione ai verbali di constatazione (Imposte sui redditi - IVA)

Troverete i modelli, dal sito dell'Agenzia delle entrate
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lunedì 8 settembre 2008

TAR Puglia, Sez. III, 6 febbraio 2008 n. 361

Il TAR Puglia, con la sentenza n. 361 del 6 febbraio 2008, ha dichiarato l'illegittimità del diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, rilevando la contraddittorietà del comportamento della P.A. rispetto al precedente provvedimento di rilascio del titolo autorizzativo al soggiorno. Infatti, poichè all'epoca del primo rilascio del permesso lo straniero era già stato oggetto di espulsione, ciò significa che l'amministrazione aveva ritenuto l'interessato nella condizione per il rilascio del titolo, "e che quindi il precedente decreto di espulsione fosse oramai superato".

Cass. civ., sez. III, 12 marzo 2008, n. 6632

Cass. civ., sez. III, 12 marzo 2008, n. 6632, pres. Nanni, rel. Federico – “LA RESPONSABILITA’ EX ART. 2049 c.c. SUSSISTE ANCHE SE IL DIPENDENTE TRASGREDISCE GLI ORDINI RICEVUTI”

La sentenza impugnata non ha in realtà spiegato, in modo logico e convincente, le ragioni per le quali ha escluso che l'operazione finanziaria in questione non sia stata fatta propria, per effetto del suddetto accredito e della conseguente trasmissione agli interessati dei relativi estratti conto, dall'azienda di credito, tenuto conto anche che l'attività di gestione patrimoniale rientrava nell'ambito delle attività della banca stessa ed era oggetto di un rapporto da tempo in essere con gli odierni ricorrenti, né ha spiegato ragionevolmente i motivi per cui ha ritenuto che le mansioni in concreto svolte dal Leoni nell'ambito dell'azienda di credito non abbiano reso possibile o comunque agevolato il fatto generatore del danno.
L'insufficiente motivazione su quest'ultimo punto investe un presupposto essenziale della responsabilità indiretta del committente per fatto dannoso del dipendente ex art. 2049 cc, e cioè l'esistenza di un nesso di occasionalità necessaria tra l'illecito ed il rapporto che lega i due soggetti, nel senso sopra precisato che l'incombenza svolta dal dipendente abbia determinato una situazione tale da agevolare e rendere possibile il fatto illecito e l'evento dannoso (v. Cass. n. 4951/02).
Poiché è stato ritenuto da questa Corte che detto rapporto di occasionalità necessaria deve intendersi esistente "anche se il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, o persino trasgredendo gli ordini ricevuti, purché sempre entro l'ambito delle proprie mansioni" (Cass. n. 2574/99), ne deriva che la sentenza impugnata sia incorsa nella violazione del citato art. 2049 cc laddove essa ha concluso per l'esclusione nel caso di specie della sussistenza di quel nesso di occasionalità necessaria per la presenza, nella condotta del dipendente infedele, di elementi "di anomalia" rispetto al corretto e normale esercizio delle mansioni di un dipendente addetto alla gestione titoli della clientela.

Prestazioni alberghiere e di somministrazioni di alimenti e bevande. Trattamento ai fini dell’IVA

Il testo integrale della circolare 53/E che fornisce l'interpretazione sull'Articolo 83, commi 28-bis, ter, quater e quinquies del decreto-legge n. 112 del 25 giugno 2008, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 – Prestazioni alberghiere e di somministrazioni di alimenti e bevande. Trattamento ai fini dell’IVA e delle imposte sul reddito.

circolare 53/E

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venerdì 5 settembre 2008

Corte dei conti - decreto di pensione

Adozione di decreto di pensione molto oltre i tempi procedimentali – Somme a credito dell’amministrazione a titolo di conguaglio rispetto all’erogazione provvisoria – Ripetibilità - i dovuta, irrinunciabile e munita di potere –Rispetto di una vita libera e dignitosa ex art.38 Cost.- Possibilità di rateizzazione sino a somme oltremodo basse


Ritardo nell’adozione del decreto definitivo di pensione – Decadenza dal potere di ripetizione di indebito scaduti i prescritti tempi regolamentari perla predetta adozione – Insussistenza – Opposizione unita, in subordine, a richiesta danno da ritardo – Danno da ritardo per lesione dell’interesse pretensivo al provvedimento – Lesione al principio della certezza del diritto e dell’affidamento – Sussistenza


In caso di notevole ritardo fra l’adozione del provvedimento di pensione definitiva rispetto all’erogazione provvisoria, l’Amministrazione, scaduti i tempi procedimentali per l’adozione del summenzionato atto definitivo, non decade dal potere di richiedere le somme eventualmente dovute, essendo tenuta, ex art. 38 Cost. ad assicurare, con una ponderata rateizzazione, condizioni di vita libere e dignitose per il pensionato.
Se vi è espresso “ petitum”, l’amministrazione, in caso di ritardo nell’ adozione del provvedimento di liquidazione definitiva,risponderà per lesione dei principi della certezza del diritto e dell’affidamento

Condominio - Classamento e attribuzione della rendita catastale di un area condominiale - Attribuzioni dell'amministratore

L'art. 1130, comma 1, n. 4), c.c. fa obbligo all'amministratore del condominio di «compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio». L'art. 1131 c.c., a sua volta, attribuisce all'amministratore il potere di rappresentanza attiva «nei limiti delle attribuzioni stabilite dall'articolo precedente o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall'assemblea».
Dal combinato disposto degli artt. 1130 e 1131, comma 1 del c.c. si evince che, al di fuori delle ipotesi di maggiori poteri attribuitigli dal regolamento di condominio o dall'assemblea, l'amministratore può agire in giudizio senza che occorra un'apposita autorizzazione solo nell'ambito delle attribuzioni conferitegli dalla legge - e propriamente dall'art. 1130 - le quali concernono in generale l'amministrazione ordinaria (Cass., sez. II civile, sentenza n. 11272 del 22 novembre 1990 ).
L'impugnazione dell'avviso di attribuzione di rendita catastale all'unità immobiliare in esso descritta non rientra di certo nel novero degli atti conservativi di cui all'art. 1130, n. 4 c.c. il classamento e la conseguente attribuzione della rendita catastale non arrecano infatti pregiudizio alcuno alla parte comune dell'edificio.
L'amministratore, quindi, in mancanza dell'autorizzazione dell'assemblea dei condomini non era legittimato a presentare ricorso avverso l'atto impugnato.
Il ricorso poiché proposto da soggetto privo di legittimazione ad agire deve pertanto essere rigettato.
(Nella specie l'amministratore chiese l'annullamento dell'impugnato «avviso di attribuzione di rendita... con ritorno allo stato precedente dei fatti».
Precisando che «la richiesta di cambio di destinazione di area condominiale indivisa a frazionamento in posti auto» venne presentata dall'amministratore in carica senza essere stata in alcun modo deliberata da alcuna assemblea ordinaria e/o straordinaria.)

mercoledì 3 settembre 2008

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lunedì 1 settembre 2008

Agenzia delle Entrate, Scadenzario adempimenti per il mese di settembre 2008

Un nuovo utile strumento, direttamente dall'Agenzia delle Entrate lo scadenzario degli adempimenti fiscali per il mese di settembre 2008.

Vi invitiamo a seguirci dal dal prossimo mese, ogni 26 la puublicazione del link apposito.

scadenzario 2008

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IVA,importazioni auto, guida adempimenti

Circolare 52/E dell'Agenzia delle entrate riguardo agli adempimenti per l'IVA per l'importazione di auto.

La trovi qui in formato .pdf
circolare 52/E


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DIRITTO D’AUTORE, MARCHI E BREVETTI – REATI CONCERNENTI SUPPORTI PRIVI DI CONTRASSEGNO SIAE EFFETTI DELLA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA 8.11.2008

SENTENZA N. 21579 UD.06/03/2008

la Corte torna a valutare, successivamente alle plurime decisioni della terza sezione depositate il 2 aprile 2008 e in maniera parzialmente difforme dalle stesse, gli effetti, sui reati essenzialmente previsti dagli artt. 171 bis e ter della legge n. 633 del 1941, della sentenza della Corte di Giustizia C. E. 8/11/2007, Schwibbert, secondo cui le disposizioni nazionali che hanno stabilito, successivamente all’entrata in vigore della direttiva comunitaria n. 189 del 1983, l’obbligo di apporre sui supporti il contrassegno Siae, costituiscono una regola tecnica che, ove non notificata alla Commissione, è inopponibile al privato. La Corte, in particolare, pur muovendo dal presupposto, comune alle altre decisioni, che il contrassegno Siae relativo a supporti non cartacei risulta introdotto nell’ordinamento italiano da norme successive all’approvazione della citata direttiva, e non comunicate, quanto meno sino alla data della sentenza della Corte di Giustizia, alla Commissione, ha tuttavia ritenuto che la non opponibilità ai privati di dette norme debba comportare l’assoluzione dell’imputato non già “perché il fatto non sussiste” ma “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”; ha altresì precisato, anche in tal caso difformemente dall’indirizzo della terza sezione, che in ordine ai reati aventi invece ad oggetto supporti illecitamente duplicati o riprodotti, e che, non prevedendo come elemento essenziale tipico la mancanza del contrassegno (come il reato ex art. 171 ter, comma primo, lett. c), restano punibili, come alla mancanza del contrassegno non si possa attribuire alcun valore, neppure meramente indiziario, circa la illecita duplicazione o riproduzione. Ha infine chiarito che ove il ricorso per cassazione fosse inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi, ciò non impedirebbe (difformemente in particolare da quanto affermato dalla sentenza n. 13853) la possibilità di adottare, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., l’immediata declaratoria di annullamento della sentenza impugnata per mancata previsione, sin dall’origine, come reato, del fatto stesso.

IMPUGNAZIONI – "PATTEGGIAMENTO" IN APPELLO – ABROGAZIONE DELL’ISTITUTO AD OPERA DEL D.L. N. 92 DEL 2008 – CONSEGUENZE

La Corte ha precisato che la sentenza con cui il giudice d’appello ratifica l’accordo intervenuto tra le parti ai sensi dell’art. 599, commi quarto e quinto, cod. proc. pen. dopo l’entrata in vigore del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, il quale ha abrogato l’istituto del c.d. “patteggiamento” in appello, oltre a integrare una nullità a regime intermedio ai sensi degli artt. 178 b) e c) cod. proc. pen., peraltro sanabile essendo state le parti a dar causa all’invalidità, costituisce la violazione di una regola tassativa concernente l’ordo judiciorum, che si risolve nell’esercizio di un potere non più attribuito all’organo giurisdizionale e deve dunque essere annullata con rinvio per lo svolgimento nelle forme ordinarie del giudizio d’appello.

ESECUZIONE - PENA DETENTIVA - CUSTODIA CAUTELARE E PER ALTRO REATO - RIPARAZIONE PER INGIUSTA DETENZIONE - COMPUTO EX ART. 657 C.P.P.

SENTENZA N. 31416 UD. 10/07/2008

Le Sezioni unite hanno affermato che, nella determinazione della pena detentiva da eseguire, occorre computare il periodo di custodia cautelare subìto per altro reato, anche nel caso in cui, per detto periodo, il condannato abbia ottenuto l’equa riparazione per ingiusta detenzione.

CONTRATTI COLLETTIVI – PROCEDIMENTO PER L’ACCERTAMENTO PREGIUDIZIALE SU EFFICACIA, VALIDITA’ E INTERPRETAZIONE ACCORDO RAGGIUNTO DALLE PARTI.

SENTENZA N. 16504 DEL 18/06/2008

Il giudice del merito, una volta che sia stato attivato lo speciale procedimento per l’accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi, di cui all'art. 64 del d.lgs. n. 165 del 2001, in ipotesi di invalidità della clausola controversa, non è vincolato, al fine di decidere se emettere o meno sentenza sulla questione di validità, a considerare raggiunto l'accordo ogni qualvolta le parti collettive attestino tale conclusione a prescindere dal contenuto concreto dell'atto conclusivo del procedimento.

FALLIMENTO E PROCEDURE CONCORSUALI – CONCORDATO PREVENTIVO CON CESSIONE BENI – DECRETO DI VENDITA DEL G.D. – RECLAMO DECISIONE RICORSO STRAORDINARIO

SENTENZA N. 19506 DEL 16/07/2008

Le S.U. hanno ritenuto ammissibile il ricorso straordinario per cassazione avverso il provvedimento con cui il tribunale decida un reclamo, proposto contro un decreto emesso dal giudice delegato in tema di vendita dei beni del debitore nella fase esecutiva di un concordato preventivo per cessione dei beni omologato dal tribunale, rientrando essi (come quelle emessi dal giudice delegato in attuazione della sentenza, ora decreto, di omologazione del concordato) nel novero degli atti di giurisdizione esecutiva, assolvendo una funzione corrispondente a quella dei provvedimenti di analogo tenore emessi nell’ambito della liquidazione fallimentare.

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